venerdì 3 ottobre 2008

*IMG PRESS - IL FOGLIO ELETTRONICO*

ANNA GERMONI INTERVISTA SALVATORE BORSELLINO, FRATELLO DEL GIUDICE PAOLO BORSELLINO

Borsellino“Nel nome di Paolo e dei suoi angeli custodi: verità e giustizia su questa strage di Stato”. Con queste parole Salvatore Borsellino, fratello del giudice assassinato, insieme a Walter Eddie Cosina, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina, nella strage di Via D'Amelio, denuncia i fitti misteri che aleggiano intorno a quel vile massacro del 12 luglio del 1992. In fondo le Stragi non cadono in prescrizione e Salvatore Borsellino ci svela che sul sangue di Falcone e Borsellino ci sono le impronte dei servizi segreti, massoneria, mafia e Stato. Tutti insieme torbidamente e appassionatamente.

Sembra provocatorio ma non lo è, perché sappiamo una mezza verità, chi ha ucciso veramente il giudice Paolo Borsellino?
“Questa risposta l’ha data lo stesso Paolo nei 57 giorni intercorsi tra l'assassinio di Falcone e la strage di Via D'Amelio, quando disse più volte a sua moglie Agnese e a nostra madre queste parole: quando mi uccideranno sarà stata la mafia ad uccidermi materialmente ma non sarà stata solo la mafia a volere la mia morte”.


Quindi strage di Mafia e di Stato?
“Strage di Stato. L'ultima delle innumerevoli stragi di Stato che si sono susseguite in Italia a partire da Portella della Ginestra e delle quali, tra innumerevoli depistaggi, si conoscono solo qualche volta gli esecutori materiali, mai i mandanti e spesso neppure il motivo per il quale sono state perpetrate anche se lo si può intuire: influire o determinare tramite quelle stragi l'equilibrio del potere in Italia”.


“Noi non dobbiamo andare oltre quelli che sono riscontri oggettivi”, così ha detto Barillà, il giudice estensore d’appello nel processo Borsellino bis. Ma nelle sentenza c’è anche scritto: “…interessi esterni possono aver favorito il processo di accelerazione”. Interessi esterni, riferimenti vaghi nei troppi misteri d’Italia. Perché si ha paura, di dire la verità e di chiamare le cose per nome?
“Non si ha paura di dire la verità, non si può dire la verità perchè, come disse Leonardo Sciascia : "Lo Stato non può processare se stesso".


Gaspare Mutolo, due giorni prima della strage di Via D’Amelio, venne ascoltato dal giudice Borsellino. Il boss fece nomi e cognomi, di un magistrato e di un agente del Sisde, indicandoli come attori principali in una trattativa segreta tra i Ros e la Mafia, attraverso Vito Ciancimino. Un patto perverso tra Cosa Nostra e Stato per eliminare Falcone e Borsellino?
“Racconta la moglie di Paolo, Agnese, che ritornando a casa dopo avere raccolto le rivelazioni di Gaspare Mutolo, Paolo avesse vomitato più volte. Questo era l'effetto, per lui che credeva così fermamente nelle Istituzioni, nel vedere come nello Stato si annidasse l'Antistato, come chi avrebbe dovuto combattere al suo fianco stesse invece dall'altra parte, tradisse il giuramento fatto allo Stato. Non quindi un patto perverso, ma le stesse Istituzioni dello Stato, chiamiamole deviate solo per carità di una Patria che non meriterebbe neanche quello, che chiedono alla criminalità mafiosa di eliminare quello che è diventato un corpo estraneo, un ostacolo a concludere quella scellerata trattativa, e di questa strage si assumono direttamente la regia”.


Quel magistrato e l’agente del Sisde che fine hanno fatto?
“Quel magistrato si è suicidato posto davanti alla realtà della vergogna del suo tradimento. Per l’agente, se lei si riferisce a Bruno Contrada, è in atto una manovra corale da parte dei suoi complici per tirarlo fuori dalla galera dove meriterebbe di scontare fino all'ultimo giorno della giusta pena a cui è stato condannato per il suo tradimento, per non parlare degli altri delitti sui cui non si è ancora sufficientemente indagato e per cui potrebbe meritare una condanna ben più pesante”.


Gioacchino Genchi, mago informatico della polizia ha rilevato che dal Monte Pellegrino, c’era un postazione d’ascolto clandestina. Proprio da lì, Genchi ipotizza, sia stato premuto il telecomando. Poco prima che il giudice fosse ucciso, sono partite da quel luogo, alcune utente telefoniche che risalgono ai servizi segreti. Chi ha azionato il telecomando?
“Sul castello Utveggio, proprio sopra il monte Pellegrino, c’era un centro dei servizi segreti smantellato subito dopo la strage. Lì era installata la cabina di regia della strage di Via D'Amelio. E proprio da lì partì anche la telefonata su un'utenza riconducibile a Bruno Contrada o a uno dei suoi accoliti che gli permise di sapere in 140 secondi dall'esplosione, che Paolo era stato eliminato. Il resto degli italiani, e io stesso, lo abbiamo saputo con certezza solo dopo 4 o 5 ore”.


Che fine ha fatto l’agenda rossa di suo fratello?
“L'agenda rossa di Paolo era custodita nella sua una borsa e si trovava nella sua auto. Ci sono fotografie e persino un filmato che inquadrano il capitano Arcangioli mentre preleva la valigetta 24 ore di Paolo dalla macchina ancora in fiamme per poi allontanarsi in gran fretta. Nonostante questa prova inconfutabile, non è stato ancora sottoposto a processo. E quell’agenda oggi serve sicuramente a gestire quella rete di ricatti incrociati necessari a mantenere tuttora il potere in Italia”.


Da Aldo Moro al generale Dalla Chiesa, a Giovanni Falcone, arrivando fino al giudice Borsellino, la sparizione di agende, borse o documenti è di matrice terroristico-politica e non mafiosa…
“I mafiosi non hanno bisogno di sottrarre borse e documenti, chi ne ha bisogno sono i traditori dello Stato perchè, tramite il loro contenuto, il loro tradimento e i loro crimini non verranno mai alla luce”.


Sul suo blog, lei ha pubblicato le lettere e i memoriali dell’ex collaboratore di giustizia, Vincenzo Paolo Calcara, che aveva ricevuto l’ordine da Francesco Messina Denaro, di uccidere il giudice Borsellino. Perché?
“Ho pubblicato quei memoriali perchè contengono rivelazioni terribili sulle entità deviate che gestiscono le sorti di questo nostro disgraziato paese. Ritengo che finora non siano state utilizzati nella loro interezza in sede giudiziaria come meriterebbero, e soprattutto perchè non sono assolutamente note all'opinione pubblica che invece deve rendersi conto del cancro che sta corrodendo il nostro paese”.


In un passo Vincenzo Calcara scrive: ”Quel pentito a metà di Giuffrè ha confermato ciò che io dissi in Corte d’Assise a Palermo. Ma per quanto riguarda ciò che va oltre, Cosa Nostra, il collaboratore di giustizia Giuffrè ha paura di parlare”. Verità e giustizia cosa sono per lei?
“I collaboratori di giustizia hanno sempre rivelato solamente i reati commessi dagli appartenenti alle loro stesse cosche e famiglie. Ma non hanno mai parlato, o lo hanno fatto solo raramente, delle altre entità come massoneria deviata, servizi deviati, istituzioni deviate. Come se avessero più paura della possibile vendetta di queste rispetto a quella che potrebbe arrivare dalla criminalità organizzata alla quale appartengono, anche se di questa conoscono l'efferatezza e la crudeltà, essendo persone abituate ad uccidere, a torturare, a sciogliere nell'acido le vittime anche se bambini. Ritengono evidentemente quelle entità ancora più potenti ed efferate e capaci di colpirli dovunque. Verità e Giustizia dovrebbero procedere insieme, non è quello che succede oggi dove la Giustizia viene ostacolata e la Verità rimane nascosta. La mia risposta a questa domanda, sebbene amara, non può essere che questa: la Verità è nascosta e la Giustizia è negata”.

Anna Germoni

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