LE NOTE DI "GIUSEPPE GIUDICE"

IL “CORPO MISTICO DEL PSI”

di Giuseppe Giudice
Leggo un po’ divertito ed un po’ scoglionato che gli eroici esponenti “socialisti” nel PDL da De Michelis a Cicchitto a Stefania Craxi avrebbero dato vita ad una Associazione chiamata ReS (Riformisti e Socialisti) con l’ambizione di andare “oltre” (oggi tutti vogliono andare oltre – verso cosa non si sa) il PDL “ma non in questo centrosinistra”. Ottima notizia. Ovviamente con costoro io non sarei disposto neanche a prendere un caffè insieme. E’ anche il segnale forte di una crisi strutturale del centrodestra: quando la nave affonda i topi scappano.
Ma è anche il frutto di un equivoco colossale che si è creato sulla “questione socialista”. Felice Besostri, e più modestamente il sottoscritto, abbiamo più volte sottolineato che mai e poi mai la questione socialista avrebbe potuto essere ridotta alla ricomposizione di quello che era il “corpo mistico del PSI”. Tale espressione mi è stata scherzosamente suggerita dal compagno Turci. Per San Paolo “corpo mistico” è l’unione organica di tutti i cristiani in Gesù e nella Chiesa nella Comunione dei Santi. San Paolo ha cercato di ellenizzare il cristianesimo utilizzando concetti della filosofia platonica e cerando di reciderne le radici ebraiche. Ma la teologia post-conciliare ha effettuato il percorso contrario: recuperare il concetto ebraico della “inconoscibilità di Dio” e della impossibilità di concettualizzarlo secondo i parametri ellenistici.
Quindi il craxismo ed il postcraxismo si muovono inconsapevolmente lungo i percorsi della teologia pre-conciliare.
Ma lasciamo perdere questa caduta nell’alta dottrina. Il PSI che io ho conosciuto fin da piccolo (provenendo da una famiglia con una forte connotazione socialista) era tutt’altro che un “corpo mistico”. Era una struttura piuttosto anarcoide e proprio per questo simpatica: dove Riccardo Lombardi diceva che alla fine i partiti sono solo uno strumento per realizzare progetti ed ideali ma non dovevano mai essere considerati dei feticci da adorare acriticamente.
Ma negli anni 80 Craxi impone una svolta regressiva. La prima fase della segreteria Craxi fu densa di elaborazioni e proposte innovative per tutta la sinistra. Con i contributi di Norberto Bobbio, Giorgio Ruffolo, Luciano Gallino, dell’ultimo Lombardi, Di Giolitti di Massimo Salvadori.
Ma negli anni 80 questo grande patrimonio di elaborazione viene buttato a mare sull’altare del Pentapartito, della governabilità, di una concezione bonapartista e peronista della gestione del partito e con un patto scellerato con il “partito degli assessori” stigmatizzato ai suoi tempi da Pietro Nenni.
Ora è vero che dopo Tangentopoli c’è stata una demonizzazione dei socialisti che è andata ben oltre le colpe vere del gruppo dirigente degli anni 80. E’ anche vero che Craxi è diventato il capro espiatorio di una sistema molto più vasto e complesso. E’ vero che un pezzo della magistratura ha fatto scempio dello stato di diritto (io sono per la separazione delle carriere dei magistrati – esiste in tutti i paesi democratici d’Europa ed è sostenuto da tutti i partiti di sinistra ed era sostenuta da Giovani Falcone, con buona pace di un ex fascista come Travaglio). Vorrei solo ricordare che una persona integerrima come Rino Formica ha dovuto aspettare ben 17 anni (che sono tempi lunghissimi anche per i tempi biblici della giustizia penale italiana) per aver riconosciuta la piena innocenza.
Ma, guardiamoci tutti allo specchio. E vero che nel Psi (soprattutto nella II metà degli anni 80) siano penetrati fior di lazzaroni e furfanti che si sono inseriti nel finanziamento illegale (condiviso a 360° da tutto il sistema dei partiti) solo per gonfiare il loro portafoglio di emeriti mascalzoni? E che questo è stato largamente tollerato in nome della crescita elettorale? Questa è la colpa vera di Craxi il quale per me ha utilizzato quel sistema perverso non per arricchirsi ma per fare politica, ma che all’interno di una sistema di ricatti reciproci ha finito per favorire gente della peggiore risma come Mario Chiesa….
Per questo di gran parte degli anni 80 occorre fare tabula rasa perché hanno distrutto un patrimonio politico e culturale fondamentale per tutta la sinistra!
E soprattutto non possiamo tollerare la riemersione di un personaggio come De Michelis che di quel sistema perverso è stato il principale cultore. Nonché di una visione spregiudicata e rampante della politica che faceva a pugni con l’etica socialista.
E’ vero che la corruzione e la immoralità negli anni 90 è addirittura aumentata e si è accresciuta a dismisura ed ha certo coinvolto gli stessi DS. Ma questo non giustifica nulla.
Quindi “il corpo mistico del PSI” è una stronzata. Il recupero del socialismo da parte della sinistra italiana non può essere assolutamente confuso con una adunata dei “reduci” che continuerebbe solo a far male al recupero di una prospettiva di “socialismo largo” da parte della sinistra.
Il limite di Bertinoro fu questo: di fronte alla nascita di un PD che basava la sua incerta identità su una fuoriuscita a destra dal socialismo, si fece l’appello ai “socialisti ovunque si trovassero” perpetuando un equivoco politico ed ideologico e recuperando dalla spazzatura politica i De Michelis e Del Bue.
Ma un altro grande errore fu commesso da SD e da Mussi in particolare. Dopo aver fatto una battaglia congressuale sul Socialismo Europeo si finisce per confluire nel marasma dell’Arcobaleno! E’ vero che Bertinotti aveva fatto delle significative aperture al socialismo europeo. Ma era stato solo Bertinotti. Ferrero, Diliberto Tutankamon e Pecoraro Scanio erano lontanissimi da una sinistra di governo di ispirazione socialista.
Certo meraviglia (ma fino ad un certo punto) la maggiore apertura di Vendola rispetto alla cultura socialista rispetto a Mussi e Fava. In verità un pezzo della sinistra DS è rimasto ideologicamente conservatore e troppo legato ad un berlinguerismo liturgico (la vecchia e mai sopita diffidenza berlingueriana verso la socialdemocrazia – III via Eurocomunismo ed egli allora aveva di fronte non certo Tony Blair ma Brandt, Palme e Keisky!).
Con il processo di ricollocazione a sinistra (ed al recupero dei valori forti del socialismo democratico) dei principali partiti socialisti europei – SPD, PSF, Labour – non può che agganciarsi ad un nuovo socialismo democratico il tormentato processo di ricostruzione di una sinistra italiana larga e popolare che l’azione di Vendola rende certo più possibile.
Per questo occorre ricostruire una cultura politica della sinistra e non solo avere un grande leader.
Senza grandi pretese noi intendiamo attivare un network per il socialismo europeo che è rigorosamente vietato ad ogni forma di “reducismo” socialista ma che è uno strumento per discutere e far discutere nella sinistra sul suo progetto e sul suo profilo identitario. Uno strumento aperto a tutti coloro che si riconoscono nella cultura di un socialismo europeo rifondato ed a tutte le passate provenienze. Uno strumento aperto naturalmente alla piena collaborazione con altre soggettività come la Lega dei Socialisti ed il Gruppo di Volpedo.

PEPPE GIUDICE

Ricostruire la verità storica per ricostruire la sinistra.

di Giuseppe Giudice

Un paio di giorni fa lessi su un sito internet che trattava di esponenti della sinistra uccisi dai fascisti o dalla mafia, che “Placido Rizzotto era un sindacalista comunista rapito ed ucciso dalla mafia”. Ora Rizzotto fu effettivamente rapito ed ucciso dalla mafia, era un dirigente della CGIL ma era, guarda caso, anche il segretario della sezione del PSI di Corleone; così come socialista era Salvatore Carnevale e tanti altri sindacalisti e dirigenti di partito ammazzati in Sicilia. Dieci anni fa fu fatto un film su Rizzotto da un regista, credo veltroniano, in cui si ometteva di dire che Rizzotto era socialista (ma che era di “una sinistra senza aggettivi” come si usa dire secondo il “politically correct” corrente).
Emanuele Macaluso fece un serio appunto al regista. Macaluso che allora non era solo dirigente del PCI ma anche segretario regionale della CGIL (era il 1948) e conosceva personalmente Rizzotto. Ebbene il compagno Macaluso disse che in quel periodo ci fu una vera e propria offensiva della mafia in Sicilia contro il PSI di Nenni (oltre Rizzotto vennero uccisi altri esponenti del PSI).
La vicenda Rizzotto è emblematica del deleterio “politically correct” imposto proprio da quella parte del gruppo postcomunista che poi ha distrutto la sinistra nel PD.
Non si può ricostruire la sinistra senza la verità storica. Quando si fanno operazioni che hanno teso a cancellare un pezzo essenziale della storia e della cultura politica della sinistra e della democrazia italiana, si fa come nella Russia di Stalin quando venivano ritoccate le fotografie per cancellare la immagine di TRotzky a fianco a Lenin.
Ora questa “damnatio memoriae” è stata voluta dai Veltroni e dai D’Alema per uno scopo politico preciso. Cancellare la memoria socialista per favorire l’incontro con i postdemocristiani, prima nell’Ulivo, poi nel PD. Non tutti i dirigenti dei DS (di matrice PCI) ovviamente hanno avuto questo atteggiamento. Non lo ha certo avuto Fassino, non l’hanno avuto Angius, Salvi e chiaramente i Napolitano ed i Macaluso . Ma è l’azione deleteria dei due massimi responsabili della fine della sinistra che è poi penetrata nel corpo di quello che è il popolo della sinistra. Molti giovani militanti della sinistra si sono formati negli anni 90 ed ovviamente hanno recepito la mistificante ricostruzione storica di quegli anni.
Per cui la storia del PSI è coincisa con quella del craxismo (nella sua fase peggiore, fra l’altro). E’ stato drasticamente sottovalutato l’impatto riformatore del primo centrosinistra di Lombardi, Giolitti e Brodolini. Così come il notevole contributo dato alla elaborazione culturale della rivista Mondoperaio alla fine degli anni 70.
L’unica voce fuori dal coro, in quegli anni, è stata quella della rivista “le Ragioni del Socialismo” di un ex importante dirigente del PCI, convintamente socialdemocratico come Emanuele Macaluso.
Se questi sono i fatti non mi sento di rimproverare quei giovani che nutrono diffidenze verso i socialisti: diffidenze, c’è da dire, che sono state amplificate dai mentecatti che hanno nascosto dietro una presunta sigla socialista i loro giochi di bottega (mi riferisco ovviamente allo SDI ed a Boselli e Nencini). Non mi sento di rimproverarli perché hanno avuto una informazione profondamente distorta dal un “politically correct” con connotati di regime.
Se vogliamo ricostruire le basi culturali della sinistra dobbiamo distruggere questo “politically correct” . Per la verità mi sento di ringraziare di cuore Vendola (ma anche Bertinotti) per aver riconosciuto la centralità della tradizione socialista. Vendola lo ha fatto più volte (e questo dimostra la sua grande onestà intellettuale, oltre che il suo innegabile spessore di leader).
Ma ancora la diffidenza permane. Per questo è essenziale un lavoro di ricostruzione della verità. Per carità il socialismo italiano ha avuto le sue zone d’ombra, i suoi errori e le sue colpe, insieme ai suoi innegabili meriti. Solo che questi ultimi sono stati nascosti e sottovalutati.
E non si può dire, come un carissimo e stimabilissimo compagno (in assoluto uno dei più intelligenti e preparati della sinistra) come Alfonso Gianni che ha riparlato di “sinistra senza aggettivi” (contraddicendosi perché poco prima aveva affermato che non c’è sinistra senza socialismo). Io capisco la preoccupazione di Alfonso: il termine “sinistra senza aggettivi” può accontentare tutti, se si parla di sinistra socialista si crea divisione. Ma caro Alfonso: non si può andare avanti con il “politicamente corretto”.
Se è vero che dobbiamo guardare al futuro (infatti parliamo di “socialismo del XXI Secolo”) e non bisogna chiedere a nessuno di abiurare il proprio passato (non ha senso) non possiamo esimerci dal formulare dei giudizi storici non come fatto accademico ma quale giudizio politico. Alfonso Gianni (ed altri compagni) credo che in cuor loro sappiano che Kautsky, Turati e Rosselli abbiano avuto ragione su Lenin. Come ne era convinto uno dei fondatori del PCI, Umberto Terracini, il quale lo disse esplicitamente: Turati nel 21 aveva ragione e sbagliammo a non seguire la via che egli indicava. Terracini nel 21 fu uno dei più duri verso Turati. Come dire: in politica è inevitabile commettere errori, l’importante è poi riconoscerli. Questo non significa che il PCI abbia sempre avuto torto o il PSI sempre ragione: assolutamente. Noi socialisti (a parte qualche fanatico craxiano) i nostri torti li abbiamo saputi riconoscere anche perché veniamo da una cultura laica che ci insegna che i partiti non sono affatto infallibili. Crediamo che sia giusto che li riconoscano anche gli altri. Anche perché la sinistra italiana susciterà sempre diffidenze senza una autocritica seria.
Quindi affermare che Kautsky, Turati o Rosselli (e su questo punto anche Rosa Luxemburg) hanno avuto ragione su Lenin è riconoscere una scelta di valore semplicissima: che socialismo e libertà sono indissolubili: e su questo principio basilare  ricostruire sinistra e socialismo nel XXI Secolo. Ribadendo il concetto dell' aggancio ad un PSE rifondato a sinistra. Quello della ricostruzione della verità è uno dei compiti che ci proponiamo come network socialista per la sinistra e specificatamente come Lega.
L’appuntamento è a Gennaio a Livorno (nel 90° anniversario della scissione) per una riflessione collettiva (che intendiamo organizzare come network di associazioni). Non è rimuovendo il passato che si costruisce il futuro, ma tramite una capacità di riflettere criticamente su di esso.
A Livorno, dunque!

PEPPE GIUDICE


Liberare la democrazia dal dipietrismo

di Giuseppe Giudice

Chi viene come me da una regione del mezzogiorno appennico (che va dal Molise all’alta Calabria includendo Irpinia e Lucania) sa probabilmente meglio di altri cosa si nasconde dietro un personaggio come Antonio Di Pietro. Tale area è abitata da gente generalmente laboriosa, tenace, leale ed onesta. Ma è anche l’area che ha prodotto veri e propri potentati di ras democristiani: Ciriaco De Mita ed Emilio Colombo (che oggi, nella mia regione, viene omaggiato con tutti gli onori da ex PCI presenti nel PD) ne sono gli esempi più tipici. Un sistema di potere forte pervasivo che ha sempre impedito la crescita civile e democratica (perlomeno fino agli inizi degli anni 70); un sistema di controllo sociale fondato sull’uso scientifico del clientelismo e sul diffondersi di una cultura della rassegnazione.
All’interno di questo sistema c’è sempre stato spazio per i furbacchioni di paese: arroganti ed ignoranti, ma dotati di un fiuto da politicante. Opportunisti e doppiogiochisti.
Il “trebbiatore di Montenero” si iscrive, a mio avviso in tale categoria del politicantismo pecoreccio che mentre nella I Repubblica era limitato ad un ruolo servente nei confronti dei ras, oggi diviene una categoria politica addirittura dominante. Del resto non abbiamo sempre detto che berlusconismo e dipietrismo sono speculari? Ed uno degli elementi che li accomuna è proprio l’elevazione del pecoreccio a tratto caratterizzante del sistema politico.
Certo il Dr Di Pietro deve spiegare molte cose agli italiani. Perché ha abbandonato la magistratura (non l’ha mai detto con chiarezza e precisione). Come ha fatto a laurearsi in giurisprudenza ed a vincere il concorso in Magistratura. Ma questi due ultimi sono francamente aspetti marginali. Più pregnanti sono i suoi rapporti mai chiariti con personaggi come l’avvocato Lucibello o il finanziere Pacini Battaglia …e tanti altri. Delle fotografie con Contrada ed esponenti della Cia. O che dire delle accuse rivoltegli dal suo ex compagno di partito Elio Veltri sulla gestione economica del partito stesso e sul particolare interesse sul mercato dei valori….immobiliari. Probabilmente in tutto questo non vi sarà nulla di rilevante penalmente (le inchieste finora condotte così hanno detto; anche se personalmente mi fido poco di inchieste giudiziarie condotte negli anni 90 nel clima dei ricatti incrociati su cui si è fondata la II Repubblica). Nulla di penale ma molto di moralmente discutibile per uno si è fatto paladino della legalità e della lotta al malaffare.
Del resto viene a galla la condizione di merda che vive il nostro paese attualmente: un personaggio incolto, pecoreccio, furbo e politicamente opportunista (e con molti lati oscuri nella sua biografia) che viene elevato sull’altare di una certa stampa falsamente progressista ma in realtà espressione di lobby economiche ben precise. Del resto nel gioco delle parti della politica italiana tra belusconismo ed antiberlusconismo Di Pietro entra perfettamente.
Ma io scrivo queste righe anche per ricordare i danni enormi fatti alla democrazia, all’idea di stato di diritto, alla cultura della sinistra, dal “dipietrismo” come degenerazione dell’uso degli strumenti giudiziari.
Un ex presidente della Repubblica che ha sempre difeso la magistratura e non è certo sospettabile di simpatie per Berlusconi (anzi!) come Oscar Luigi Scalfaro, in un discorso di fine anno parlò di “tintinnio di manette” riferendosi abbastanza chiaramente all’uso della custodia cautelare come mezzo per estorcere confessioni da parte di pezzi ben precisi di magistratura. Ora ricordo bene l’imbarazzo di quel politico geniale di Massimo D’Alema (che qualche mese prima aveva fatto eleggere Di Pietro al Mugello – ma D’Alema di danni ne ha fatti molti altri) ed Armando Cossutta che sorridendo diceva : “Scalfaro ha tratteggiato l’identikit di Antonio Di Pietro).
Io ho avuto testimonianze di diversa gente che è finita in carcere in quel periodo, è uscita completamente pulita dalle vicende giudiziarie (in diversi casi non sono neanche stati rinviati a giudizio). Ed una toccante di un compagno socialista (il nome non lo faccio neanche sotto tortura) che è stato tenuto dentro (proprio su ordine di un Gip che faceva da passacarte a Di Pietro) per costringerlo a fare il delatore. E per questo – ma sulla base di diverse testimonianze lette sui giornali questa era la prassi a Milano – era inserito in una cella invivibile con tossicodipendenti in crisi di astinenza. Poi se dice la verità (ma non la verità autentica ma quella che quella che è in testa ai magistrati) magari ti passano agli arresti domiciliari e poi fuori. Devi diventare un delatore. E certo uno per non farsi 40 giorni in condizioni subumane è disposto a questo ed altro e magari a dire il falso (basta che accontenta il magistrato). Nel caso di cui parlo non v’è stata alcuna delazione e la persona è stata assolta con formula piena ed anche risarcita per l’ingiusta detenzione. Ma è chiaro che per una persona onesta ed innocente subire una esperienza del genere (e c’è gente che ha fatto anche quattro mesi di carcere preventivo) produce una ferita interiore che è difficile da sanare.
In quegli anni si è messo sotto i piedi la dignità delle persone da soggetti che se fossero nati in Sudamerica sarebbero stati i più stretti collaboratori di Videla o Pinochet.
Io una idea di Mani Pulite me la sono fatta da tempo. E’ stata una sostanziale operazione “golpista” di destra diretta dal capitale finanziario transnazionale e con l’appoggio di quello nazionale (proprietaria dei mezzi d’informazione) che puntava a liquidare il sistema della impresa pubblica ed a svenderla sotto costo (non è un caso che l’inchiesta decapitò l’IRI e l’ENI e sfiorò solo la grande privata). E distruggere il sistema politico fondato sui partiti di massa. Non come pensano gli ultrà craxiani a “distruggere il PSI”.
Il PSI subì gli attacchi più forti perché molti suoi esponenti erano diventati invisi all’opinione pubblica (ripeto quello che ho sempre detto: accanto ai tantissimi compagni onesti ingiustamente perseguitati c’erano nel mio ex partito tanti farabutti rampanti che ostentavano con arroganza e protervia stili di vita e modi di essere che non avevano nulla di socialista – questi irresponsabilmente favoriti dalla gestione craxiana furono quelli che attirarono antipatia sul PSI distruggendolo). Ma l’attacco era generalizzato al sistema democratico uscito dalla Resistenza.
Naturalmente c’è da chiedersi perché un pezzo importante della sinistra non solo non ha reagito ma ha sostenuto ed alimentato l’ondata antipolitica che ha prodotto una II Repubblica che di fatto ha cancellato molti principi costituzionali.
Il tema del finanziamento illecito dei partiti (su cui poi sono si sono inseriti gli arricchimenti e le corruzioni individuali) andava affrontato di petto alla fine degli anni 80 insieme a quello della pervasività dei partiti che da macchine di potere dovevano tornare ad essere strumenti di organizzazione della democrazia. Indubbiamente dopo l’89 occorreva un radicale riassetto del sistema partitico. Ma non certo la sua eliminazione di fatto. I partiti della II Repubblica non possono essere considerati tali.
Ma una sinistra democratica deve porsi il problema di modificare le cause di un processo degenerativo della politica, ma con gli strumenti della democrazia e del diritto e non certo affidandosi allo stato di polizia.
E qui viene il nodo dolente e che riguarda la cultura comunista.
Io personalmente penso che nella scelta comunista vi siano due fattori che la determinano (e che sono in forte contraddizione fra loro): una nasce da una reale istanza di liberazione:un modo radicale e conseguente dell’essere socialisti per una società completamente liberata dalla merce e dallo stato – una prospettiva con elementi di utopismo evidente ma profondamente libertaria. L’altra radice infida è quella giacobina (che ha ammazzato tutte le rivoluzioni) a cui con gradi diversi si sono ispirati Lenin e Stalin.
Il giacobinismo è una variante moderna del vecchio assolutismo: non a caso nega la separazione dei poteri e concepisce la rivoluzione come conquista del potere politico da parte di una elite.
Il che ha portato al fallimento di tutte le rivoluzioni del 900 in quanto si sono caratterizzate per la sostituzione di una oppressione ad un’altra.
Ora nel PCI di fine anni 80 un pezzo di esso in modo coerente indicava nel socialismo democratico il punto di arrivo della sua evoluzione storica. Non a caso i Napolitano, i Chiaromonte i Macaluso furono garantisti convinti e convinti oppositori della deriva poliziesca ed autoritaria di “mani pulite”.
Chi non seppe prendere atto della necessità di una ridefinizione identitaria non si rese conto che le due motivazioni dell’essere comunisti (la libertaria e la giacobina) dopo l’89 erano destinate ad essere sempre più distanti ed incompatibili. Il comportamento schizofrenico della sinistra radicale tra garantismo e giustizialismo si spiega così.
La mentalità giacobina ed autoritaria separata ormai totalmente da un progetto rivoluzionario si sposava alla perfezione con il ciarpame giustizialista ed intrinsecamente qualunquista dei Di Pietro, sostenuto anche dalla Lega ,da un pezzo della destra (Feltri fu tra i più accaniti giustizialisti) e dal clericalismo inquisitorio (alla Savonarola) di Leoluca Orlando.
Poi c’è stato un giustizialismo opportunista: quello della maggioranza del PDS (Occhetto, Veltroni, D’Alema). Sostenere Mani Pulite per evitare di essere travolti anch’essi. Non dobbiamo dimenticare che probabilmente lo stesso Berlusconi stabilì qualche patto. Io con le mie televisioni sostengo le inchieste (vi ricordate l’Emilio Fede del 93?) e voi non mi rompete i coglioni. Nel 93 la Fininvest fu l’unica grande azienda a non essere mai sfiorata dalle indagini. Le altre lo furono ma subito tirate fuori: l’unica a pagare fu la impresa pubblica.
La morte culturale della sinistra italiana parte proprio da lì. Dall’incapacità di opporsi a quella deriva autoritaria ed antipolitica che ha aperto autostrade a Berlusconi, alle dottrine neoliberali dello stato minimo, all’opportunismo di D’Alema e Veltroni ad un centrosinistra sotto il ricatto di Di Pietro.
Oggi è proprio un prodotto di quella idea libertaria di comunismo, Nichi Vendola che può rappresentare una concreta speranza. Un comunismo libertario liberato dall’utopismo ottocentesco non può che confluire nel filone culturale del socialismo democratico così come definito a Bad Godesberg e da Rosselli.
Ma oggi la sinistra democratica, libertaria e socialista deve rendersi pienamente conto che Di Pietro rappresenta un elemento di contraddizione radicale nel centrosinistra. Non è una caso che la lobby giustizialista dipietrista guidata da un ex fascista come Travaglio e da un ex stalinista come Santoro trami contro Pisapia un esempio coerente di sinistra libertaria. Né si può pensare di controbilanciare Di Pietro con Casini (sommando nel centrosinistra giustizialismo e clericalismo).
No; la marginalizzazione e conseguentemente l’espulsione del dipietrismo passa attraverso una crescita della cultura socialista e libertaria nel centrosinistra che consiste in una sintesi della impostazione alternativa al neoliberalismo in economia e nello sviluppo coerente di una cultura della libertà e dei diritti della persona in democrazia.
Vendola sta sottraendo molto terreno di consenso al dipietrismo. Il furbacchione prima si è fatto caricare dal Pd e poi gli ha sparato contro cercando di catalizzare non tanto il voto giustizialista ma la critica all’incapacità di fare opposizione del PD stesso. Con Vendola il trucco non è più possibile.
Ma ora si tratta di fare di più. Di combattere una organica battaglia politica e culturale contro il dipietrismo ad esempio dimostrando come esso abbia aperto la strada (con la demonizzazione della politica) all’ideologia liberista dello stato minimo.
PEPPE GIUDICE