giovedì 7 agosto 2008

L'UNICA VIA PER FARE LE RIFORME

di EMANUELE MACALUSO
La Stampa 07/08/2008

Nel corso di una conferenza stampa Berlusconi ha detto che l'opposizione non è «leale», che non c'è quel rispetto (nei suoi confronti) necessario per fare insieme le riforme le quali, ha aggiunto, saranno comunque realizzate «con la forza di una vasta maggioranza che gli italiani ci hanno dato sia alla Camera che al Senato». Forse è bene ricordare al presidente del Consiglio che in questa legislatura non ci sono parlamentari eletti, ma solo nominati dai capipartito e che la maggioranza è larghissima anche perché ha usufruito di un premio in seggi parlamentari grazie a una norma costituzionalmente discutibile e politicamente indecente. È bene anche ricordare che l'articolo 138 della Costituzione ha previsto il meccanismo di approvazione delle modifiche costituzionali, anche con maggioranza semplice e possibilità di referendum, perché tutto l'impianto della Carta ha come premessa la legge con cui fu eletta la Costituente, cioè la proporzionale.

Nessuno certo pensa di mettere in discussione la netta vittoria elettorale della coalizione governativa, ma pensare che quella maggioranza può fare e disfare la Costituzione è solo delirio di onnipotenza. Non è un caso del resto che i presidenti delle due Camere e i leader della Lega insistono per riaprire un dialogo tra
maggioranza e minoranza per fare le riforme. Fatta questa affermazione, occorre verificare - con onestà e realismo - se i rapporti politici fra governo e opposizione consentono di attuare quelle riforme con gli stessi protagonisti di entrambi gli schieramenti impegnati nello scontro quotidiano nelle aule parlamentari.

Luca Ricolfi, domenica scorsa su queste colonne, ha osservato che «sarebbe molto più facile cooperare sulle riforme economico-sociali che sulla riforma delle istituzioni». Questo è assolutamente vero. E anch'io, che sono più vecchio di lui, avverto, come lui, un brivido alla schiena tutte le volte che sento ripetere che «questa sarà una legislatura costituente». Del resto bastano i primi cento giorni che hanno caratterizzato la vita di questo Parlamento per capire che legislatura sarà.

Il Capo dello Stato fa il suo dovere quando disinnesca mine che possono fare saltare tutti i ponti tra le due sponde del Parlamento e fa bene a sollecitare l'attraversamento anche di un solo ponte per costruire qualcosa che serva alle istituzioni e al Paese. Ma non è un caso che, disinnescata una mina, ne viene confezionata un'altra: sono prodotti della realtà politica in cui viviamo. Infatti nel momento in cui dal Quirinale venivano diffuse esortazioni alla distensione e al lavoro comune, in un altro Palazzo (il Palazzaccio), l'onorevole Di Pietro depositava la richiesta per indire un referendum sulla legge Alfano. E questo senza sapere se e quando un'autorità giudiziaria si rivolgerà alla Consulta per contestare la costituzionalità di quella legge.

Bene ha fatto Veltroni a respingere la richiesta dell'ex pm di aiutarlo a raccogliere le firme. Ma abbiamo visto con quanta prontezza due autorevoli esponenti del Pd amici di Prodi, Arturo Parisi e Franco Monaco hanno manifestato sostegno caloroso all'iniziativa dipietrista. Non saranno i soli se guardiamo il ventre molle del Pd. Un partito che non riesce ancora ad avere una politica e un'identità chiare come abbiamo visto nel voto promosso dalla destra per aprire, sul caso della povera Eluana, un conflitto di competenze tra il Parlamento e la magistratura. Di Pietro, ma anche Parisi e altri, sanno che la fermezza di Veltroni non reggerà e saranno in molti nel Pd a firmare la richiesta del referendum.

Faccio una parentesi per dire come, Berlusconi da una parte e Di Pietro dall'altra, entrambi beneficiari della transizione post-tangentopoli, continuano a tenere il sistema in tensione. Insomma con il mio ragionamento voglio dire che nelle aule parlamentari non ci sono le condizioni per un comune progetto di riforme. Berlusconi continuerà ad accusare il Pd di «slealtà» e Veltroni a rinfacciare al Cavaliere di non volere seguire la linea suggerita dal Capo dello Stato. Un duetto che dura da anni e può durare ancora sino alla fine di questa legislatura checché ne pensi Tremonti. Il quale, nell'intervista alla Stampa, sulla base di dati politici incomprensibili, ritiene che la bicamerale resusciterà.

E così al pessimismo di Ricolfi che non vede soluzioni Tremonti risponde con soluzioni solo sognate. Ai miei due amici dico che occorre rompere questo giuoco e rivolgersi direttamente al popolo eleggendo con il sistema proporzionale 75 persone impegnate a trovare in un anno una soluzione condivisa o votata a maggioranza ma, in ogni caso, sottoposta a referendum popolare. Una forza che si chiama «partito del popolo» ha paura di un voto popolare? E una forza che si chiama «partito democratico» ha paura di una consultazione democratica?

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