giovedì 28 agosto 2008

*La deriva del PD isolano*

Raffaele Deidda - 26 agosto 2008

www.aprileonline.info

La deriva del PD isolano Il terremoto che ha spaccato il Partito Democratico sardo ha come pretesto l'elezione di Francesca Barracciu a segretario regionale dopo le dimissioni di Cabras. Ma ciò che è veramente in ballo è la candidatura di Renato Soru alle elezioni del prossimo anno, osteggiata dai ''perpetui'', gli inamovibili della politica che costituiscono un solidissimo partito a parte, blindato, che prescinde dalla formazione in cui militano e di cui sono dirigenti

Il Partito Democratico della Sardegna è stato investito da un terremoto, peraltro difficile da spiegare a chi non ha familiarità con la morfologia politica sarda. I movimenti sismici, in una regione geologicamente non interessata da fenomeni tellurici, si sono concentrati attorno a Francesca Barracciu, consigliera regionale e sindaco del comune di Sorgono, proclamata segretario del PD sardo dopo le dimissioni dell'ex socialista Antonello Cabras, ritrovatosi in minoranza all'interno del partito. La Barracciu, sostenuta dalla nuova alleanza tra Renato Soru, Antonello Soro e Salvatore Ladu, è stata eletta a seguito di forti scontri interni, perché i votanti sono stati meno del 50%, degli aventi diritto. Per i dirigenti del PD sardo vicini all'ex segretario Cabras, Francesca Barracciu è stata eletta con un colpo di mano, contro un accordo preso in precedenza e largamente condiviso. Ciò avrebbe determinato una spaccatura nel partito che, disunito, è destinato a perdere le elezioni regionali del 2009. La responsabilità sarebbe da individuarsi nel governatore Soru, accusato di fare uso di uno "stile di politica plebiscitaria tipica del berlusconismo".

Queste affermazioni, che fanno capo ad esponenti del Pd professionisti della politica di cui si sostentano da molti lustri e di cui continuerebbero a sostentarsi anche in caso di vittoria del centrodestra alle elezioni regionali del 2009, sono rivolte ad un uomo forse caratterialmente poco simpatico ma considerato universalmente l' uomo-simbolo di una Sardegna che non si presenta più "in continente" col cappello in mano e che Berlusconi vorrebbe sfrattare quanto prima dal palazzo del governo regionale. Certamente un personaggio complesso Renato Soru, il più celebre degli imprenditori sardi, amato dagli operai e detestato dai miliardari.

C'entra poco Francesca Barracciu quindi, che sarebbe stata votata dalle componenti PD vicine a Cabras se fosse stata proposta e sostenuta dall'ex segretario regionale, essendo peraltro considerata "in quota" Cabras e possedendo due requisiti importanti per costituire un segnale di rinnovamento in un Partito Democratico regionale gerontocratico: l'essere donna e poco più che quarantenne. Ciò che veramente è in ballo, ed è considerata ancora indigeribile dai gerontocrati, è la conferma dell'antipatico decisionista Renato Soru, che iniziò la sua esperienza politica dichiarando "non farò un solo piacere personale", a candidato governatore della Sardegna nelle elezioni regionali del prossimo anno. Walter Veltroni, chiamato dai supporters di Cabras a dirimere la controversia sarda, ha salomonicamente decretato che la commissione di garanzia è l'unico organo che può decidere sulla legittimità o meno dell'elezione della Barracciu, mentre ha ribadito (uscire dall'autolesionismo talvolta è salutare) che l'unico candidato del PD per le regionali del 2009 sarà Renato Soru.

Sarà Luigi Berlinguer, in qualità di presidente della commissione nazionale di garanzia del PD, ad esaminare e a cercare di dirimere domani la sconcertante diatriba sarda. Non è però da escludersi che, se verrà convalidata da parte della commissione di garanzia l'elezione di Francesca Barracciu, non prosegua l'azione legale nel frattempo intentata, col ricorso al giudice ordinario, da parte di un esponente non di primo piano del PD sardo, il vicesindaco di Quartu Sant'Elena, notoriamente vicino all'ex segretario Cabras.

Ad osservare e a leggere "dentro" le vicende del Partito Democratico in Sardegna è forte la tentazione di rinchiudersi in un silenzio assordante, dove ad urlare con forza non è la voce ma è il senso di estraneità, di rabbia, di delusione, di rammarico per aver creduto, o almeno sperato, pur fra mille titubanze e mille critiche sul metodo, che il nuovo partito avrebbe dato vita a una nuova stagione in cui democrazia e partecipazione fossero parole strettamente legate a un coerente e conseguente agire politico e non alle lotte intestine, ai mezzucci e ai veleni. Strumenti, questi ultimi, ben noti e ben utilizzati dai "perpetui" già democristiani, già socialisti craxiani supportati da amici e compagni che erano già "eterni" ai tempi della DC e del PCI, gli inamovibili della politica che costituiscono un solidissimo partito a parte, blindato, che prescinde dal partito in cui militano e di cui sono dirigenti.

Il partito dei perpetui le elezioni le vince sempre e comunque, a prescindere dalla coalizione che andrà a governare un comune, una provincia, una regione, lo stato. Il "porcellum" in questo caso si dimostra di estrema utilità per il partito dei perpetui. È un partito di minoranza ma provvisto di fortissime credenziali che si traducono in un potere che permette la continuità nella gestione privatistica della cosa pubblica in qualsiasi condizione ambientale come fosse cosa propria, con regole non scritte ma estremamente precise e immutabili nel tempo. Importa forse a costoro collocare e tenere il partito al centro del dibattito politico? Ma quando mai, se questi dirigenti politici si sentono dei generali a vita legittimati a muoversi in autonomia alla ricerca di nuove e, soprattutto, vecchie alleanze, ufficiali di lungo e lunghissimo corso che serrano le fila dei propri ranghi a presidio delle postazioni acquisite.

Ha una qualche importanza per costoro la comunicazione politica e la partecipazione civile? Importa forse se la battaglia politica, finalizzata più a distruggere l'avversario interno che quello esterno, condotta contando colonnelli e truppe con piante organiche alla mano e con accordi frutto di camarille e di intese sottobanco condanna il partito, l'elettorato fidelizzato e quello potenziale del Partito Democratico a decenni di marginalità? Certamente costoro non sentono l'obbligo morale di rispondere al credito che hanno assegnato al Partito Democratico quegli elettori che, pur non approvando appieno la linea politica veltroniana, hanno riposto nel PD un'aspettativa di nuovo linguaggio politico, di nuovo impianto concettuale.

Oggi che gli apparati di partito e i militanti non esistono più, il partito dei perpetui altro non riesce a proporre se non la personalizzazione della politica che continua a produrre leadership di vertice e una nomenclatura attestata nelle istituzioni, desolatamente incapace di parlare all'esterno. Questo, peraltro, a fronte della Caporetto politica della sinistra radicale, che pur avendo favorito il risultato elettorale del PD, rischia di creare un clima di sfiducia nel tessuto sociale tale da rendere più difficile la propensione al conflitto da parte di uomini e donne che "hanno già dato" mettendosi in movimento, contrastando democraticamente un destino di povertà per i ceti già medi che l'ideologia della destra "liberale" persegue con determinazione, mediaticamente mascherata dai lustrini e dalle paillets delle televisioni del premier, comprese quelle RAI ormai a reti unificate.

L'esperienza della Lega, che con il clamoroso risultato elettorale conseguito nelle elezioni del 13 e 14 aprile scorsi ha dimostrato quanto sia importante il radicamento nel territorio, i gazebo e i tavolini per la raccolta delle firme, dovrebbe insegnare che esiste ancora un "mestiere della politica" che non è quello caro ai gerontosauri e ai giovani discepoli di questi nati vecchi e cresciuti affilando i denti in attesa di succedere ai capi perpetuandone la gestione, ma è quello di stare vicini alla gente, ai suoi problemi e alle sue aspettative praticando soprattutto l'ascolto che rappresenta essenzialmente la volontà di ascoltare, come i maestri della comunicazione insegnano e come viene percepito da chi si sente ascoltato. Non è indispensabile avere una risposta per ogni cosa, è però fondamentale essere prossimi ai cittadini, riflettere con loro, riprendere dialoghi interrotti, ragionare insieme. Si tratta sostanzialmente di recuperare gli insegnamenti degli antichi maestri. È circolato per decenni un aneddoto su Enrico Berlinguer che, dialogando con un giornalista, avrebbe detto con il suo mai mutato accento sardo: "Sonno vennutto dalla Sardegna emmigratto" Il giornalista, divertito, gli chiese: "Ma perché si gratta onorevole?" La stessa domanda: "Perché si gratta onorevole?" sarebbe interessante rivolgerla a chi è venuto dopo Berlinguer per occupare posizioni di rendita, magari dopo aver frequentato un corso di dizione.

All'inizio della campagna elettorale di Veltroni versus Berlusconi qualcuno aveva tradotto la sigla PD in "Perdere oggi per vincere Domani", però dopo aver guadagnato autorevolezza e rispetto e attirato tanti consensi da non rendere improbabile la proiezione del PD alla posizione di primo partito italiano. Sarebbe davvero imperdonabile, e tragicamente irreversibile, se l'esempio sardo infettasse altre regioni: ci si dovrebbe mestamente rassegnare a tradurre la sigla PD in "Perdere oggi ma anche Domani". All'opzione del morire berlusconiani resterebbe solo l'alternativa della "emmigrazionne", in senso berlingueriano, in un altro paese diversamente civile e democratico.

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