mercoledì 27 agosto 2008

E Craxi tagliò la barba a Marx – Così nacque il nuovo corso del PSI.

Colgo la segnalazione dal blog del PS Ascoli Piceno: http://www.psascolipiceno.it/blog/, che ringrazio.

da Repubblica — 26 agosto 2008 pagina 45 sezione: CULTURA

di NELLO AJELLO

Trent’ anni fa, il 27 agosto 1978, in uno scorcio d’ estate avaro di notizie, compare sull’ Espresso un lungo articolo a firma Bettino Craxi. Titolo: Il Vangelo socialista (che potete trovare qui, NdAmm.). L’ autore spiega «su quali fondamenta poggi il nuovo corso del Psi». L’ articolo vuol essere una risposta a una recente intervista di Enrico Berlinguer sul leninismo. Da quando, nel luglio del ‘76, Craxi ha assunto la segreteria del Psi, le polemiche fra comunisti e socialisti sono diventate abituali. Ma ora siamo davvero al duello. Non fa che approfondirsi la frattura fra le due anime della sinistra che s’ è aperta quattro mesi prima, durante il dramma di Moro. L’ agilità di movimento del Psi produce disagio. L’ intervista di Berlinguer, cui Craxi risponde, ne è l’ ultimo sintomo.

Concessa il 2 agosto ad Eugenio Scalfari, che sulla Repubblica l’ ha intitolata «Per noi Lenin non è un dogma», essa rivolge un monito al Psi. Cioè ad un partito che, afferma l’ intervistato, dopo un periodo di stretti rapporti unitari con noi», ha rivendicato «un’ autonomia che nessuno gli aveva insidiato». Il Psi vuole «divenire il punto di riferimento di un’ area neoliberale, neosocialdemocratica e anche estremistica». E così «alcuni compagni socialisti» mirano «a una redistribuzione» dei voti a sinistra, mentre «si preoccupano assai poco di un rafforzamento di tutta la sinistra». Quasi un’ accusa di tradimento. Ecco dunque Craxi partire al contrattacco.

Un’ omogeneità di fondo sembra ispirare le mosse dei duellanti. Come Berlinguer ha assunto a pretesto del suo affondo la figura di Lenin - dal quale, pur fra gli encomi, assume caute distanze - così il leader socialista si annida all’ ombra di Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865): usa cioè come schermo un appassito riformatore ottocentesco, pluralista e autiautoritario, anche se idealmente misogino, sui cui remoti connotati quotidiani e settimanali si erudiscono ora i lettori, puntando soprattutto su una sua affermazione rituale: «La proprietà è un furto». Nell’ «altra sinistra» c’ è sconcerto. Se ne fa interprete Fernando Di Giulio, un esponente del Pci che ha fama di moderato. Come mai Craxi ha riesumato «questo strano modesto pensatore francese»?, si domanda. E si dà una risposta disarmante: «Secondo alcuni, perché ricorda una marca di champagne». In realtà, Craxi era alla ricerca di un’ idea. Dal suo canto il direttore dell’ Espresso, Livio Zanetti, insisteva nel chiedergli un intervento capace di innescare «una polemica agostana» (trascrivo dal volume di Massimo Pini, Craxi, una vita, un’ era politica, Mondadori) richiamando l’ interesse almeno dei «600.000 burocrati di partiti e sindacati».

A soccorrere entrambi fu il caso. In un volume recente in onore di Willy Brandt, figurava un contributo centrato sulla figura di Proudhon e redatto da Luciano Pellicani, docente di sociologia politica, ed ex comunista. Il medesimo Espresso lo definisce «consigliere di Craxi per le questioni teoriche». E’ suo il testo che appare sul settimanale con la firma di Craxi. Un’ abile trouvaille. «Quella del socialismo», vi si legge, «non è la storia di un fenomeno omogeneo», ma mostra al suo interno una netta dicotomia. Fin dall’ Ottantanove «si scontrarono due condizioni della società ideale: quella autoritaria e centralistica e quella libertaria e pluralistica». Sarà proprio Proudhon, in seguito, a tentare «la individuazione delle radici politiche del conflitto» a sinistra. In lui c’ è, infatti, una «difesa non solo delle ragioni ideali della protesta operaia contro lo sfruttamento capitalistico, ma anche una percezione acuta della divaricazione fra la società socialista e la società comunista. Da un lato il comunismo che vuole la soppressione del mercato, la statizzazione integrale della società e la cancellazione di ogni traccia di individualismo. Dall’ altro il socialismo, che progetta di instaurare il controllo sociale dell’ economia e lavora per il potenziamento della società rispetto allo Stato». Non mancano frasi di efficace richiamo nel contesto politico attuale. Considerando «il socialismo come il superamento storico del liberalismo», Proudhon «vedeva nel comunismo un’ “assurdità antidiluviana”». Come dubitare - suggerisce l’ autore ed evidenzia L’ Espresso - che «il vecchio Proudhon avesse ragione»? Ho accennato all’ affinità di stile che accomuna i duellanti. Nelle citata intervista, Berlinguer non ha lesinato le citazioni colte, da Machiavelli a Hegel e Kant, da Vico a Cavour, fino a radicare in Lucio Colletti il sospetto che il Pci stia diventando «una sorta di Upim delle ideologie». Sulla trincea opposta, Craxi non è da meno. Nella schiera di pensatori utili alla sua tesi figurano Plechanov e Trotskij, Martov e la Luxemburg, Gilas e Martinet. Segno di tempi, rispetto ai nostri attuali, culturalmente più ferrati e riflessivi. O soltanto ansiosi di apparirlo. «Ecco un testo destinato a diventare un argomento di discussione», ha scritto L’ Espresso presentando il suo scoop. Facile pronostico. Il clamore rientra negli auspici sia del partito socialista che, ovviamente, del settimanale. Si dice che Craxi, da Hammamet dove si trova in vacanza, chiami di continuo al telefono i propri collaboratori, timoroso che i giornali e la tivù non dedichino all’ intervento uno spazio adeguato. Sarà comunque lo stesso segretario socialista, a dichiararsi, sull’ Avanti! del 30 agosto, «un po’ sbalordito» per le reazioni suscitate dall’ articolo. Esso, scrive, non rappresenta una novità. E per dimostrarlo si rifà alle assise del Psi, tenutesi a Torino nel marzo del ‘78. «Il Progetto socialista», approvato in quel congresso, illustrava «le ragioni per le quali il nostro partito si colloca agli antipodi del leninismo». Il Vangelo socialista, insiste Craxi, «non è un attacco politico al Pci», ma solo un modo per ribadire la parola d’ ordine dell’ «unità nella chiarificazione»». Il messaggio che il segretario del Psi ha affidato all’ Espresso è pungentemente libertario. Non soltanto vi si critica Lenin. Lo stesso Marx quasi non vi figura. Tutto si riduce a un’ "apologia ritardata del liberalismo", come subito denunzia Paese sera. Sulla Repubblica, Scalfari ammette di non avere «che da compiacersi» del «revisionismo» di Craxi. Teme soltanto che esso sia «troppo veloce». Dopo che Lenin, «per fortuna», è stato messo in soffitta, probabilmente toccherà a Gramsci di salirvi. A Marx, intanto, il leader socialista ha già «tagliato la barba». Ma in nome di chi? Chi può dirsi sicuro che la classe operaia sia «già pronta per sostituire la vecchia falce e martello con il berretto frigio radicale?». E poi, «chi saranno i nuovi idoli? Mirabeau? Il marchese di Lafayette? Madame Roland?». In nome dei socialisti vecchio stile, Francesco De Martino si mostra inquieto di fronte a un cambio di alleanze che Craxi sembra auspicare. Ne nascerebbe qualcosa «che non sarebbe più il mio partito nel senso ideale del termine». Non per nulla, egli puntualizza, «sentiamo intorno al Psi un coro di consensi non solo dei socialdemocratici», ma anche «delle forze di destra. E questo non può non impensierire. E’ chiaro che molti attendono una rottura grave e irreparabile per battere assieme socialisti e comunisti». Riccardo Lombardi concorda: «Non esiste un destino credibile, in Italia, per una sinistra spaccata verticalmente». Una cosa è certa: nell’ album di famiglia del socialismo italiano, si è voltato pagina. E il duello continua. «E’ un po’ buffo», osserva in quei giorni lo storico Giuseppe Tamburrano, «che i due partiti di sinistra si strappino i pochi capelli ideologici che hanno sulla fronte, ma poi stiano insieme in una maggioranza nella quale la Dc poggia, anzi riedifica, il proprio potere». L’ allusione è alla formula della “solidarietà nazionale”, con a capo Andreotti, che gode dell’ appoggio unitario delle sinistre. Questa coabitazione di Psi e Pci nella stessa maggioranza ha però i mesi contati: cesserà nel prossimo inverno. Non ha forse torto chi scorge nel Vangelo socialista un consistente preannunzio di quel craxismo «duro e puro» che contrassegnerà una stagione della politica italiana. Le premesse, su ambo i lati della sinistra, ci sono già.

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