giovedì 11 settembre 2008

*Cile 11 settembre 1973: un ricordo, un’emozione, forse un pretesto*

da: www.gennarocarotenuto.it

L’11 di settembre del 1973 un colpo di stato militare “soldati del Cile, che ancora una volta avevano tradito il Cile” rovesciava il legittimo governo cileno di Salvador Allende. In queste poche righe non è una commemorazione di quella data che cerco, ne’ un’analisi storica, per altro al di là delle mie possibilità critiche, ma un ricordo emozionale di un episodio, durissimo, e durissimo nel suo seguito. Forse un pretesto. Senz’altro un pretesto. Sicuramente non un taglio giornalistico. Un ricordo personale/emozionale, di un ragazzino di quattordici anni, un ricordo divenuto collettivo per una generazione.
Quello della storia personale, privata, quella emozionale che ripercorre “a memoria”, e quindi anche fallace, i ricordi, che crea la propria cultura e ciò che siamo nel nostro divenire; che collettivizzata, condivisa, crea la memoria di un popolo. Quella che forse abbiamo perso.
Di quell’undici settembre, del momento in cui appresi la notizia ricordo stranamente tutto. I colori, le inflessioni della voce. Un attimo prima ed uno dopo, l’oblio della memoria. Non ricorderei, probabilmente la data. Ma le date alle volte possiamo anche lasciarle nei libri, dove le ritroveremo, quando ci serviranno, quando le cercheremo. Trasmettere le emozioni e le sensazioni che si sono perse; ecco cosa dobbiamo. Anche se i ricordi possono fondersi, confondersi, essere fallaci.
Fu mio padre a darmi la notizia. Era sul letto, e semplicemente disse “quell’uomo di cui ti parlavo – Allende -”, avevamo “litigato”, e strani come eravamo, dal personale di una discussione adolescenziale tra padre e figlio, era uscito il Cile di quei giorni, “l’hanno ammazzato”. Hanno ammazzato un popolo. Ecco cosa voleva dire: hanno ammazzato un popolo.
Una data, forse l’età, ché di atrocità ed ingiustizie n’è pieno il mondo, che ho ritrovato condivisa in molti della mia generazione.
Trentacinque anni fa veniva ammazzato, con gli USA alle spalle dei militari, il presidente del Cile Salvador Allende ed affossato un popolo nel sangue di un America Latina martoriata. Il giardino di casa della più grande superpotenza del mondo. Ora forse tira nuovo vento.
Un ragazzino, cui era acerba qualsiasi analisi politica, viveva parte della sua vita futura che anche da lì partiva. Che anche da lì non va dimenticata. Come tanti.
Lo avevo in testa da un po’ di scrivere di queste cose, con un po’ di pudore limitante. L’ultimo input l’ho avuto pochi giorni fa, parlando con una giovane amica argentina. Intorno un mate. Raccontava del padre, perseguitato, torturato, durante gli anni bui, scampato alla morte e non desaparecido solo per caso. E tutto ricominciava, il suo personale, dal golpe cileno e dall’asilo dato ad alcuni scampati al massacro seguente.
Si parla bene, anzi nel caso potevo solo ascoltare, col mate che gira. Di nuovo la storia personale, orale, che racconta i fatti ma soprattutto le emozioni e ciò che eravamo/siamo. Una storia che va condivisa. Resa collettiva.
Non potevo far altro che rendermi conto di quanto la mia pur giovane interlocutrice, nata successivamente ai fatti che raccontava, avesse forti ancora le sensazioni di ciò che era stato. Di come ne tracciasse la storia. La sua storia. Ed allora ho guardato a noi. A come abbiamo perso il senso e le emozioni della nostra, di storia. Della capacità di rendere condiviso il nostro ricordo, la nostra esperienza. Di mettere in gioco anche il nostro privato. Di come un paese senza storia sia senza futuro. Forse ciò che ci manca è la capacità di raccontare le nostre storie, ma più ancora le emozioni a cui erano legate, ai nostri figli. Le storie dei nostri padri; dei nostri nonni. Le lagrime della storia: una possibile forma di resistenza.
…Rinascerà così questa parola,
forse in un altro tempo senza pena…

Undici settembre 1973. L’orrore di un popolo ed un ricordo.

Le citazioni tra virgolette ed in corsivo sono di Pablo Neruda. La prima dall’ultima pagina di “Confesso che ho vissuto”; la seconda dalla poesia “Aquì termino” della raccolta “Canto general”.

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