giovedì 10 luglio 2008

*Congresso socialista, è l'ora del dialogo e del confronto per un grande soggetto della sinistra*

Ernesto Fedi - www.sinistra-democratica.it

L’apertura del congresso socialista di Montecatini non prometteva niente di buono per chi voleva recuperare quel partito ad un progetto che vedesse, accanto al Partito Democratico, una formazione di sinistra di governo, larga e in grado di condizionare l’intera politica del centro-sinistra.
La corrente di maggioranza, che faceva capo a Riccardo Nencini ed era appoggiata dal grosso del gruppo dirigente, da Angius a De Michelis, da Craxi a Battilocchio, forte di circa il 75% dei voti congressuali, puntava ad un asse preferenziale con il partito di Veltroni (tanto che qualcuno parlava addirittura di confluenza) e guardava con grandissima attenzione all’UDC, per realizzare un nuovo centro-sinistra che escludesse la sinistra cosiddetta radicale.
La corrente di minoranza di Pia Locatelli, Turci, Grillini, De Bue e Mosca, intendeva lavorare per una nuova sinistra che comprendesse, come diceva Mosca, “le parti più ragionevoli della Sinistra Arcobaleno”.
Giunti all’elezione del Segretario nella persona di Nencini, per votarlo all’unanimità, la minoranza aveva posto precise condizioni.
Innanzitutto doveva essere esplicitamente fugato ogni sospetto sull’ipotesi di confluenza nel Partito Democratico.
Niente assi preferenziali, ma il partito avrebbe dovuto guardarsi attorno a trecentosessanta gradi senza esclusioni, tantomeno a sinistra, dove si sarebbero dovuti stabilire rapporti di particolare attenzione con quanti si collocano “nella grande famiglia del socialismo europeo ed internazionale”.
Alla presidenza sarebbe dovuta andare la Locatelli, anziché Angius.
Queste condizioni sono state accettate in toto, al punto da far dire a molti che politicamente il congresso è stato vinto, o comunque fortemente condizionato dalla minoranza.
Il documento conclusivo recita, infatti, che il partito non può chiudersi in sé stesso, deve parlare con tutti, confrontandosi in primo luogo con le forze della sinistra non massimalista.
E conclude che occorre “costruire una sinistra di governo che oggi non c’è e che non è riconducibile alla politica del Partito Democratico, per le sue ambiguità e la sua incerta collocazione internazionale. Così come abbiamo affermato la nostra autonomia nelle ultime elezioni, la riaffermiamo oggi come condizione dell’essere del nostro nuovo partito”.
Sul piano dei contenuti , è sempre scritto nel documento conclusivo, si guarda “al mondo del lavoro, dell’istruzione, della ricerca, della cultura, della nuova società multiculturale” e si intende “dare rappresentanza agli interessi sociali più deboli in una politica di sviluppo e modernizzazione della società”.
Senza dubbio, il partito nel sul complesso, è uscito dal congresso su una posizione diversa da quella iniziale. Passi avanti, rispetto soprattutto alla gestione di Boselli e di Villetti, sono stati fatti ed è doveroso prenderne atto, anche se con cautela e senza farsi troppe illusioni.
Molte sono le differenze che rimangono marcate. La convergenza resta difficile su importanti e qualificanti punti strategici e programmatici.
Ma sembra che il nuovo corso socialista si sia reso conto che, con meno dell’1%, si fa poca strada. De resto, autorevoli esponenti della Costituente socialista, che non hanno di proposito partecipato al Congresso, come Formica e Macaluso, lo sostengono da sempre.
Il primo auspica un socialismo largo. Il secondo sostiene che “non è pensabile e non è serio che forze politiche con uno, due, o tre punti percentuali o poco più, si definiscano socialiste. Un partito socialista in tutto il mondo è tale se ha consensi larghi di popolo”.
Rimane, pertanto, all’ordine del giorno, anche per il nuovo partito socialista, l’esigenza di ricomporre il quadro politico su basi nuove. Rimane centrale la necessità di realizzare una grande sinistra di governo , indispensabile per il rilancio di un rinnovato centro-sinistra.
Per di più, sia l’attuale legge elettorale, sia quella di risulta dal referendum, sia altre eventuali avranno alte soglie di sbarramento, che costringeranno a nuove fusioni o a nuove aggregazioni.
Ed è lecito domandarsi con chi ricercherà rapporti preferenziali ed eventualmente con chi si aggregherà il nuovo partito socialista. Sceglierà il centro di Casini o di Veltroni, o guarderà a sinistra?
Molto dipenderà da noi . Dal progetto e dall’iniziativa che sapremo mettere in campo e dai rapporti che sapremo stabilire.
Il dialogo ed il confronto, dunque, vanno tenuti aperti e vanno incoraggiati, in particolare con quanti si muovono nella nostra stesso direzione, che non sono poi così pochi. E soprattutto con il mondo della cultura socialista, indispensabile al rinnovamento della sinistra italiana. Con quegli intellettuali che non si chiudono in recinti identitari, ma guardano ad orizzonti più ampi ed intendono dare il loro contributo alla formazione di una forte sinistra di governo. Tutto ciò nella consapevolezza che non sarà possibile rilanciare un centro- sinistra rinnovato, forte e capace di battere questo centro-destra, senza la formazione di un grande soggetto politico, che rappresenti la sinistra di governo ed in larghissima misura sia fortemente ancorato ai valori del socialismo.
Questo vale per tutto il popolo socialista, oggi un po’ disperso ovunque. Ma vale soprattutto per quanti pur appartenendo al campo valoriale della sinistra e del socialismo, hanno finito per cadere nell’imbroglio del voto utile ed hanno dato la loro adesione ad un Partito Democratico, dal quale non si sentono certo rappresentati.
Un’ultima considerazione sulla comune appartenenza, nostra e del partito socialista, al PSE e sul modo di intenderla.
Oggi per tutti è ineludibile la domanda: che cosa significa essere socialisti nel XXI secolo? Certo non è sufficiente rifugiarsi passivamente e acriticamente nel PSE. Non bastano le etichette per essere autenticamente socialisti.
Per di più il socialismo europeo, per tornare a vincere, ha oggi bisogno di una profonda opera di ristrutturazione ed aggiornamento. Ed il PSE, così com’è, mostra non pochi limiti. Non è un partito sovranazionale con una sua visione unitaria dell’Europa e del mondo globalizzato. Spesso sembra contenere il tutto e il contrario di tutto. E’ la somma di tanti partiti nazionali non poche volte in contrasto tra di loro, anche su temi cruciali e su argomenti fondanti per una nuova società.
Certo il socialismo in Europa ha saputo creare le migliori condizioni di vita dell’intero pianeta. Ralph Darhendorf ha definito quella socialista, con la creazione dello Stato sociale, la più grande rivoluzione dai tempi di Cristo ad oggi.
Ma la società è cambiata. I problemi che siamo chiamati a fronteggiare e a risolvere impongono un rinnovamento profondo e tale da portarci oltre tutte le esperienze storicizzate nel Novecento.
E’ necessario trovare una risposta univoca al modello di sviluppo ipercapitalistico che governa attualmente la globalizzazione, caratterizzata da profonde ingiustizie sociali e da uno sviluppo non sostenibile.
A questo proposito è indispensabile il confronto, il dialogo la contaminazione con altre culture, come quella ambientalista, femminista, pacifista, che hanno un’ origine ed una storia diversa dal Socialismo.
E’ indispensabile una approfondita opera di riflessione e di ricerca partendo dal presupposto che nessuno è depositario di una verità totale ed assoluta.
Il PSE è l’unico cantiere in Europa dove ciò avviene. Altro di rilevante non c’è. Bisogna parteciparvi dinamicamente e non staticamente per dare un contributo proficuo al suo rinnovamento, per renderlo di nuovo vincente e capace di creare una società più avanzata, più libera e più giusta.
Noi ci stiamo in questo spirito. Con questi presupposti intendiamo andare al confronto con i compagni del nuovo partito socialista, nell’auspicio che sappiano fare altrettanto.

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