domenica 29 marzo 2009

LETTERA A GIULIA (E RICCARDO) NENCINI
Adriano Sofri su Facebook ritorna su Sinistra e Libertà.



29/03/2009 - Cara Giulia Nencini, chissà se tu, che hai vent’anni, hai orecchiato la famosa domanda di Stalin: “Quante divisioni ha il Papa?” Stalin, che era un orribile tiranno e credeva solo ai brutali rapporti di forza, voleva sapere quante divisioni militari avesse il Papa, e dunque voleva dire che, disarmato com’era, il Papa era insignificante. I tiranni sono anche fessi, come mostra il fatto che, benché Stalin sia morto malamente ma nel suo letto, i suoi eredi sovietici abbiano pagato molto caro il coraggio di un Papa disarmato come Giovanni Paolo II. Ora: quante divisioni ha la sinistra in Italia? Nessuna divisione militare, grazie al cielo: Berlusconi può dormire fra due guanciali. Ma può dormire fra quattro guanciali se si mette a contare quante divisioni aritmetiche ha la sinistra. Ieri leggevo in cronaca fiorentina un comicissimo (senza volere) articoletto che elencava i concorrenti di sinistra alle elezioni comunali imminenti: Ornella De Zordo per la lista cittadina “Perunaltracittà”; Valdo Spini per la lista civica “Insieme per Firenze”; “Rifondazione comunista non sosterrà De Zordo né Spini e non è chiaro se presenterà la candidatura dell’ex parlamentare Mercedes Frias”. Trema l’accordo fra Rifondazione e PdCI. Il PdCI è spaccato sull’accordo con Renzi (vincitore delle primarie del PD). La Sinistra anche. Eccetera. Comico, ho detto: farsesco, anche.
Ora, la Sinistra e Libertà cui è impegnato il tuo ottimo padre – che sarà ancora migliore dopo essersela vista così brutta - vanta per l’appuntamento europeo un accordo unitario fra socialisti (guidati appunto da tuo padre Riccardo), i fuorusciti dai Ds alla fondazione del PD, con Mussi e Fava, i Verdi, la quasi metà di Rifondazione guidata da Vendola e non so più chi ancora. E’ facile vedere che l’altra faccia dell’accordo “unitario”, che è per ora essenzialmente un rispettabile ma labile espediente elettorale, è quella di una precedente frantumazione tragicomica. Quando le cose vanno in pezzi, si può radunarle per incollare i cocci, o per spazzarle insieme nella pattumiera. Quando Berlusconi, la sera, davanti al caminetto, chiede a Bondi: “Quante divisioni ha la sinistra?”, Bondi gli risponde: “Molte, moltissime...”, e tutto nel salotto di Arcore è lusso e voluttà. Perché ci sono tante divisioni? C’è il retaggio di un passato. I socialisti hanno più ragioni di tutti di restar affezionati al loro passato, e anche di ricordarsi di che cosa gli ha fatto una parte del Pci, peraltro sempre più vecchia ed esigua, nella burrasca di Tangentopoli. Però pesa, almeno quanto una fedeltà, o una prigionia, al passato, l’impulso all’autoconservazione di leader, mezzi leader e apparati che non hanno voglia di fare altro o non hanno altro da fare. Questa autoconservazione prende a pretesto cose solenni come i principii, i programmi, la purezza e il rigore. Con una doppia ipocrisia. Una, più sgradevole e piccina, è l’incoerenza spettacolosa fra i principii retoricamente enunciati e la vita effettivamente vissuta. Il comunismo, per esempio, è un “dio che è fallito”: ma chi non ne vuole ancora registrare fallimento e bancarotta dovrebbe almeno perseguirlo nell’ambito più concretamente realizzabile, quello del personale modo di vivere. I politici di professione che si chiamano comunisti non danno l’impressione di una esistenza personale coerente con quel proclama. Purezza di principii e programmi è un pretesto, o tutt’al più una infantile illusione. Le visioni del mondo, le utopie e i programmi possono essere preziosi e numerosi e diversi quante sono le persone che vi si dedicano, ma è giusto dedicarvisi nella società, nei luoghi di lavoro e di studio, nel volontariato, nelle stesse relazioni private, dove si cambia un po’ il mondo e si cambia, poco o molto, se stessi. Ma la questione del governo è un’altra cosa. Al governo si concorre, e, una volta che si sia vinto, si va non a realizzare i propri programmi massimi, le proprie utopie, le proprie intransigenze personali. Si va ad attuare e proteggere un programma comune, limitato per necessità, compromissorio anche, ma molto migliore, o almeno molto meno peggiore, del governo promesso dall’altra parte politica. Dunque l’impegno politico deve prima di tutto riabituarsi a un disinteresse personale e di gruppo, e poi adeguarsi a una specie di doppia temperatura: quella alta, e in certi momenti bruciante, dell’impegno diretto, militante, nella società, e quella più tepida, più sfebbrata, del consenso della maggioranza e della responsabilità di un paese. Il contrario della scena indecente cui abbiamo assistito durante il governo Prodi, e che non a caso ha eccitato negli italiani non semplicemente una delusione e un distacco politico, ma un vero rigetto umano. Nella politica legata alla questione del governo bisogna subordinare la propria piccola percentuale e la rendita parassitaria che ne deriva –piccolo potere, vanità soddisfatta, finanziamenti pubblici, neanche tanto piccoli- all’interesse comune, alla conquista della maggioranza e alla sua coesione. Questa è la ragione forte, inesorabile, per auspicare un partito grande e davvero unitario, l’auspicio che stava dietro il Partito Democratico, e gli sta ancora dietro, sebbene si sia fatto così tardi, e l’entusiasmo abbia sempre più ceduto al disincanto o anche al rigetto. Ma non è una partita chiusa. Avrai visto anche tu la “ragazza” Debora (in realtà è una donna di 38 anni, quasi il doppio dei tuoi) cantare a Franceschini una canzone che non ti sembrerà diversa dalla tua. Ce ne sono tante, di persone così, nel PD: la gran maggioranza.
Non entrando nel PD, o uscendone, gli “intransigenti” hanno favorito il suo sabotaggio ad opera di fazioni burocratiche e personalità clericali e si sono condannati alla scomparsa dal parlamento italiano. Il PD ha avuto, per inettitudine o per una ingiustificatissima boria da grande partito, il torto di non aprirsi a un’area sociale e politica di sinistra che la lezione della rovina dell’alleanza di governo e del “voto utile” scelto da gran parte dell’elettorato avrebbe potuto restituire a un impegno più leale e lucido. Questo non è successo, e già era stato grave che il PD offrisse, contraddicendo se stesso sull’ “andare solo”, a Di Pietro l’apparentamento elettorale, e lo negasse ai socialisti e, ospitalità a parte, ai radicali. Dunque la coalizione di Sinistra e Libertà ha ragioni dalla sua, e bisogna augurarle di farcela, e io glielo auguro. Ma non certo perché la (difficile) eventualità che ce la faccia a superare il 4 per cento e a guadagnarsi i suoi due o tre o quattro parlamentari europei diventi il punto di partenza di una ricostruzione della sinistra riformatrice e libertaria che crescerà, come la ricottina della favola, fino a dare un governo riformatore e libertario all’Italia. La necessità di rimettersi insieme, di licenziare senza buonuscita notabili di mezza tacca e di vanità intera, di rifarsi la faccia dopo averla persa agli occhi di tanti italiani, compresi quelli generosamente di sinistra, resterebbe comunque. Se no, avanzerà in Italia un pluralismo fatto di una maggioranza autoritaria e forcaiola e una minoranza forcaiola e autoritaria. Questo è un gran problema per tuo padre. Ancora di più per te.

Perciò auguri e saluti dal tuo Adriano Sofri.



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