sabato 12 giugno 2010

Ricordando Berlinguer (A 26 anni dalla scomparsa)

Ricordando...Berlinguer
(A 26 anni dalla scomparsa)

di Giuseppe Giudice

Diciamoci la verità: a noi Socialisti Enrico Berlinguer non è mai piaciuto. Lo riconosciamo. Ma al tempo stesso sento il dovere di esprimere un ricordo di un compagno che comunque è stato un esempio di grande rigore politico e morale che non può essere dimenticato soprattutto in un momento in cui la politica ha veramente smarrito ogni valore ed ogni buon esempio. La sua denunzia della “questione morale” che per Berlinguer non era tanto relativa ai rapporti tra politica ed affari ma all’occupazione dei partiti di spazi di gestione che non competevano loro era giusta e sincera. Magari poi il partito quel suo giudizio lo ha utilizzato in modo strumentale (dato che negli anni 80 il PCI era comunque presente nei consigli di amministrazione delle aziende pubbliche ENEL – Ferrovie- RAI) e non c’è stata convergenza tra teoria e prassi.
Ho invece sempre criticato il suo accostare la questione morale all’idea di “diversità comunista” che è un concetto carico di integralismo e settarismo e che ha impedito lo svilupparsi di rapporti positivi a sinistra. Immaginare che un partito possa essere portatore di una diversità morale ed antropologica è un concetto che contrasta (ma forse Berlinguer stesso non se ne rese conto) con una concezione pluralista della democrazia. C’è un po’ una eco della vecchia tradizione comunista in questo. Il partito leninista come avanguardia della classe operaia possessore della verità storica. Questo è in realtà la radice teorica del totalitarismo di sinistra: se il partito è l’interprete unico della coscienza di classe (concetto ribadito da Luckacs) esso non può tollerare la presenza di altri soggetti politici che si rapportano dialetticamente con esso e quindi la dittatura del proletariato coincide con quella “democrazia totalitaria” che è il governo degli “amici del popolo” non il governo basato sul consenso popolare costantemente verificato dalla prassi democratica autentica. Da sottolineare la risposta di Rosa Luxemburg a Lenin : “la libertà è sempre quella di chi la pensa diversamente”. Ora in Berlinguer questo concetto sembra spostarsi da un terreno storico-politico ad uno etico-antropologico. Certo questo ribadire la “diversità” era anche un modo per dare una identità forte ad un PCI in crisi agli inizi degli anni 80 per il contestuale fallimento del compromesso storico e dell’Eurocomunismo. Ma rese difficili i rapporti a sinistra. Agli inizi degli anni 80 la linea di Craxi non si era completamente affermata nel PSI. Ad appoggiare Craxi c’era soprattutto il “partito degli assessori” a cui non importava tanto della rottura con il PCI quanto del ritorno al governo con la DC dopo diversi anni che il PSI aveva dato l’astensione o l’appoggio esterno. Questa posizione integralista di Berlinguer (consiglio di leggere a proposito la cronaca che fa il Presidente Napolitano nel suo libro “dal PCI al socialismo europeo) finì fatalmente per rafforzare le posizioni di Craxi e portare un partito come il PSI, che anticomunista non era mai stato a posizioni di frontale contrapposizione con il PCI. Quella guerra maledetta a sinistra (che a ben vedere che una delle radici più lontane della sua disfatta attuale). Berlinguer non apprezzava i socialisti, la loro cultura politica. Egli era sinceramente convinto che in Italia i socialisti fossero “un accidente della storia” (così la pensava anche De Mita) e che per governare il paese e salvarlo da avventure reazionarie occorreva puntare ad un accordo forte tra i due principali partiti (PCI e DC). I socialisti non avevano senso in questo schema. Per questo ad opporsi alla politica di Berlinguer non furono solo gli autonomisti craxiani, ma anche Lombardi, Mancini, Giolitti. In realtà il PCI raggiunse il 34% dei voti nel 1976, ma tre anni dopo perse oltre il 4% . Non si possono prendere voti che sono di protesta contro la DC e poi fare accordi organici con essa, si cade in una grossa contraddizione. Berlinguer non capì che la DC aderì ai governi di Unità nazionale strumentalmente. Essa (la DC) non avrebbe potuto fare nessun accordo organico con il PCI dato il carattere anticomunista di una parte maggioritaria dell’elettorato democristiano; del resto la DC ebbe difficoltà nel 1964 a fare il governo con il PSI di Nenni (ad esso si oppose parte della chiesa, pezzi dell’amministrazione americana, grossa parte della Confindustria) – fu solo grazie a Papa Giovanni ed a Kennedy che quella operazione potè essere varata. Berlinguer aveva una via d’uscita: rendere il PCI omogeneo al socialismo europeo ed avviare la riunificazione con il PSI. Questo avrebbe reso inutile il craxismo e posto le basi per una alternativa di governo alla DC. Ma se Berlinguer ebbe dei buoni rapporti con alcuni leader socialisti europei (Willy Brandt, Bruno Kreisky) rifiutò sempre di rendere organico il suo partito al socialismo democratico. Opponeva la sua fiera diversità comunista, tutta ideologica, alla socialdemocrazia “subalterna al capitalismo”. In realtà non si accorse che molti partiti socialisti (la socialdemocrazia svedese, i socialisti francesi) avevano programmi ben più a sinistra del PCI e si ponevano concretamente sul piano progettuale e non astrattamente ideologico il tema di come andare gradualmente oltre il capitalismo; temi che tornano di attualità e confluiscono nel progetto di “socialismo del XXI Secolo”. Alla base di questa incomprensione c’è il suo giudizio sul socialismo reale che era certamente critico ma a metà. Egli diceva che l’URSS era un “paese socialista dai tratti illiberali. Egli quindi contestava il carattere autoritario dell’URSS (e dei paesi satelliti) ma riconosceva il carattere socialista dei rapporti di produzione. E ribadiva che sotto l’aspetto sociale tali paesi erano più avanzati di quelli dell’Europa governata dalla socialdemocrazia. E’ ovvio che egli fu vittima di un grande abbaglio. Sia perché la Svezia o l’Austria avevano certo sistemi sociali infinitamente più avanzati di quello dell’URSS. Sia perché soprattutto non si rese conto che il carattere politico totalitario era strettamente legato al carattere non socialista della società sovietica che era invece un capitalismo burocratico di stato fondato sul potere assoluto di una burocrazia quale classe dominante. L’incapacità di giungere a queste conclusioni e di rompere definitivamente con il leninismo ha di fatto rappresentato il limite più forte del suo pensiero. Ed alcune interpretazioni (forzate) del suo pensiero hanno portato da un lato al PD (alleanza tra post-PCI e post-DC demitiani) dall’altro al concetto di “sinistra senza aggettivi”. Ecco perché è importante nella sinistra il contributo di una cultura socialista depurata dal post-craxismo. Ma al di là di ciò, noi tutti non dobbiamo dimenticare un compagno che pur nel contrasto di opinioni rappresenta un esempio di nobiltà della politica.

PEPPE GIUDICE



8 commenti:

  1. La diversità morale del PCI di allora e prima di Berlinguer, si fondava sul non iscrivere tutti e comunque,oltre che nelle LISTE dei Candidati doveva esserci un minimo del 10 % di OPERAI. Cadute queste poche regole, di RIGORE non di INTEGRALISMO POLITICO, e dato il via agli " INTELLETTUALI" che poi non erano altro che i professionisti della POLITICA che tuttoggi siedono sugli scranni di MONTECITORIO e oltre. Venuto meno questo, che definirei ORGOGLIO D' appartenenza e non altro è finita la POLITICA del RIGORE. E' vero che a noi del PCI non piaceva Craxi, come è pur vero che dopo la Terza Internazionale il rapporto si deteriorò al punto che il dualismo politico tra Berlinguer e Craxi non rese possibile la RIUNIFICAZIONE tra il PCI e il PSI.Ti ringrazio Giuseppe per la tua sempre dimostrata onesta intellettuale per l' avere riconosciuto nella figura di Enrico Berlinguer un tratto che per noi ha sempre costituito un' orgoglio d' appartenenza. Questo orgoglio in quelli come me lo vantano ancora OGGI. Una cosa non condivido sull' analisi su Berlinguer, non capisco come si gli possa attribuire la" colpa" della mancata riunificazione con il PSI.La teorizzazione di una TERZA via al SOCIALISMO che cosa era se non una ricerca, non di una subalternità al Capitalismo, ma la ricerca del superamento dello scontro IDEOLOGICO tra capitale e Classe Operaia. Credo che lui pensasse ad una forma di SOCIALISMO LIBERALE. Chissà se non pensasse, come Rosselli, al FINE più che ai MEZZI di PRODUZIONE?.Il Compromesso storico, estremizzando, cosa era, se non lo scioglimento del PCI e della DC per andare a costruire un grosso Partito di Massa POPOLARE?.Non certamente questo Aborto di PD?.

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  2. Purtroppo Berlinguer mi suscita ricordi tanto belli quanto molto amari, era la speranza di una vera alternativa frustrata sul nascere, che ha prodotto nei suoi successori, in gran parte "ricerca del potere", e in chi ha approfittato della sua mancata realizzazione, per le ragioni già menzionate e riferite alla incapacità di creare un vero soggetto politico socialista europeo di vaste dimensioni, la "gestione di un potere" che ormai è putrescente.
    Quanto non vorrei che si parlasse più né di Berlinguer e nemmeno di Craxi..soprattutto per sterili speculazioni sulla dietrologia del nulla..

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  3. Caro Faliero è nostro dovere ricordare comunque quei dirigenti della sinistra che se anche sono distanti dal nostro pensiero (parlo ovviamente di me e dei socialisti) sono comunque stati un grande esempio di integrità e dedizione ad una lotta politica concepita come passione civile. Poichè ieri erano 26 anni dalla sua prematura morte, mi è sembrato doveroso ricordarlo pur dovendo sottolineare gli elementi di dissenso. IO continuo a credere che in Berlinguer c'erano degli elementi di chiusura verso la cultura socialista. La III via di cui parlava non era una III via tra capitalismo e comunismo (come la intendevano Rosselli, Willy Brandt e Olof Palme, ma un tentativo destinato al fallimento tra il socialismo democratico ed il movimento comunista (l'Eurocomuinismo che fallì per responsabilità non sue aveva questa caratteristica). Berlinguer era lontanissimo da Rosselli. Il limite più forte della critica fatta dal PCI (critica autentica non di facciata) al socialismo reale è di criticare la sovrastruttura politica e di salvare la struttura economico-sociale che veniva comunque considerata socialista e non la negazione del socialismo stesso. Credo che questo rappresenti a tutt'oggi un punto di dissenso forte non risolto tra socialisti e comunisti.

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  4. .".soprattutto per sterili speculazioni sulla dietrologia del nulla.." e qui non mi riferisco all'intervento di Peppe che apprezzo molto, ma a certi ignobili manifesti con cui ancora ci si chiede "e tu da che parte stai?"
    Ebbene, sto dalla parte del futuro.

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  5. L' Eurocomunismo falli non solo per quello che tu dici, ma sulla scomparsa dei Paesi a "Socialismo reale" che di Socialismo avevano ben poco.Su di una cosa concordo pienamente e non' è la sola, sulla quale ho dibattuto a lungo anche con Giuseppe e altri Compagni, sul fatto di continuare a parlare di ATTORI pur di primo piano e spessore politico che continuano a creare, o comunque a tenere aperte ferite che ancora non si sono rimarginate.Quindi Parliamo di un NUOVO SOGGETTO POLITICO SOCIALISTA.

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  6. Ricordo volentieri che una delle premesse per la nascita della nuova forza della sinistra era più o meno questa:"prendiamo il meglio delle esperienze della sinistra socialista e comunista del 900 e coniughiamolo con le culture emergenti come l'ambientalismo ed il femminismo". Credo in questa formula e credo che il buono ed il meno buono ci sia stato ovunque. L'importante è saper estrarre le indicazioni migliori e perpetuarle ed evidenziare le peggiori per non ripeterle.Di una cosa sono personalmente convinto: mai come ora è necessario superare le divisioni di Livorno 1921, per proiettarsi, con un ipotetico giro a 360 gradi, verso il socialismo del XXI secolo, con la costruzione di una forza politica nuova, democratica, partecipata e quindi plurale,risanata eticamente e moralmente, in cui tutti, portatori di una cultura pregressa o meno, si adoperino per individuare un preciso progetto. Progetto capace di indicare con concretezza la via d'uscita da una crisi drammatica, economica, politica, culturale e sociale, che sta facendo pagare , più del solito, ai lavoratori , ai meno abbienti, il prezzo più alto, salvaguardando attentamente i redditi ed i profitti dei ceti dominanti. Nel nostro paese poi, se da una parte con Berlusconi si cerca di smantellare la costituzione,e quindi lo stato di diritto, con Tremonti, in un unicum con il resto d'Europa, su indicazione dei poteri forti, si sta smantellando il welfare.Occorre reagire! Credo che rigenerare la sinistra sia l'imperativo per l'immediato, risalendo rapidamente decisioni sbagliate, come la nascita del PD, che al di là di diventare più sexy, non sa proporre.

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  7. Sulla "terza via" del PCI. Anche il vecchio PSI che si richiamava al marxismo parlava di via democratica al socialismo, un socialismo inteso come economia pianificata dal centro. E Berlinguer non faceva altro, a mio avviso, che ribadire confusamente quest'idea del vecchio riformismo, non capendo che democrazia e collettivismo statalista sono incompatibili. La socialdemocrazia invece accettò il capitalismo limitandosi ad intervenire sul versante della (re)distribuzione, il che durante i "trent'anni gloriosi" del capitalismo funzionò piuttosto bene. Certo, un autentico socialismo autogestionario di mercato come indicato da Proudhon, Merlino, Rosselli, Rizzi ecc. avrebbe potuto costituire veramente una terza via fra capitalismo e collettivismo burocratico. Ma francamente né i socialisti francesi né i socialdemocratici svedesi (e men che meno i socialisti italiani) tentarono mai di attuare sul serio un programma anticapitalistico del genere. Lo stesso famoso piano Meidner poi avrebbe rischiato di trasferire la proprietà e la gestione delle imprese più che al lavoro associato ai sindacati e ai suoi apparati burocratici.

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  8. I Socialisti parlavano di pianificazione democratica, assolutamente diversa da quella sovietica e cinese. Gli unici che cercarono di realizzarla furono Dubceck e Ota Sik durante la "primavera di Praga" che fu stroncata dai carri armati sovietici. Ed anche Rosselli era per la programmazione democratica dell'economia e per l'intervento pubblico diretto. La differenza di fondo e radicale di queste concezioni rispetto a quella sovietica non sta nella presenza dell'interventp pubblico o meno. Se noi guardiamo bene le esperienze ed i programmi delle socialdemocrazie esse non si sono limitate ad una opera di redistribuzione, ma hanno attuato processi vasti di nazionalizzazione (specie in Inghilterra ed in Austria) nonchè un forte sviluppo dell'economia cooperativa. Però tali nazionalizzazioni erano concepite in un contesto di economia pluralista e mista. Ed in più le aziende pubbliche avevano ampio margine di autonomia gestionale essendo legate allo stato da vincoli di natura contrattuale. Invece in Russia ed in Cina la gestione economica era affidata ad atti amministrativi imposti dal centro tramite i ministeri . Ecco la pianificazione centralizzata che non a caso i francesi chiamano "economia amministrativa". In più nel socialismo democratico (vedi Rosselli e LOmbardi) la proprietà pubblica assume svariate forme (nazionali, regionali, municipali), a gestione mista, fino ad una area di vera e propria economia autogestita e cooperativa (area sociale). Nei regimi comunisti tutto è controllato da una burocrazia totalizzante (di qui il totalitarismo politico). Non credo che quello di Proudhon si possa definire come socialismo di mercato. Proudhon (come Owen) rifiutava il socialismo di stato ma affidava la gestione diretta ai lavoratori tramite il principio del mutualismo che è l'opposto della logica di mercato capitalistica che si fonda sulla massimizazzione del profitto.
    Comunque il Piano Meidner fu attuato solo in parte perchè negli anni 80 partì la grande offensiva ideologica liberista che si è fracassata solo oggi con la grave crisi che stiamo vivendo. Per cui quelle idee che erano alla base delle idee di Lombardi e di Olof Palme tornano di attualità. Come diceva Lombardi il socialismo non è meramente un problema di gestione economica (anche se lo comprende) ma di finalità e qualità dello sviluppo. La crisi del capitalismo attuale ci dice che un modello di crescita è giunto al capolinea. Occorre un progetto alternativo di società che si collochi pienamente nella tradizione della democrazia pluralista dell'occidente.

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