giovedì 12 febbraio 2009

SULLO SBARRAMENTO ALLE EUROPEE
HA VINTO IL CAVALIERE


di Anna Germoni*
04/02/2009 -
L’accordo bipartisan, quello sulla riforma della legge elettorale per le europee è la prima, vera, riforma di sistema dell’attuale legislatura. I partiti che non raggiungeranno il 4% dei voti non avranno alcun rappresentante a Strasburgo. I partiti piccoli dovranno dunque scegliere tra scomparire o accorparsi. Guardando la mappa della rappresentanza italiana al Parlamento Europeo la lista di coloro che rischiano è abbastanza nutrita: da Sinistra Democratica al Partito Socialista, passando per i Radicali, Comunisti Italiani, Pensionati, la Destra, Alterantiva Sociale, Fiamma Tricolore, Udeur, fino al neo movimento di Nichi Vendola la Rifondazione per la Sinistra. Dal punto di vista strettamente politico, la riforma passata alla Camera segna la vittoria del Cavaliere e di Walter Veltroni. Sconfitto Massimo D’Alema. Il quale, com’è noto, puntava a una soglia più bassa per due ragioni: favorire i partitini della sinistra in vista di nuove alleanze ispirate alla ricostruzione dell’Ulivo; indebolire Veltroni, dando per scontato che quei partitini avrebbero sottratto al Pd due o tre punti percentuali. E’ la regola aurea della politica formulata anni fa da Indro Montanelli: “Vinca il nemico purché perda il concorrente”. Un gioco ‘sporco’ all’interno del Pd che continua nel dualismo Veltroni-D’Alema. La guerriglia antiveltroniana si sposterà dunque su altri terreni: il testamento biologico e la collocazione del Pd in Europa. Quel che sorprende, allora, non è la scelta di Veltroni ma quella di Berlusconi, che non aveva alcun interesse ad alzare la soglia di sbarramento. Perché l’ha fatto? Per due ragioni. Per consolidare il quasi-bipartitismo figlio dell’accordo col Pd sulla legge elettorale nazionale. Per puntellare almeno un po’ Veltroni. Il segretario del piddì ha vinto solo una battaglia e la guerra dei Democratic è appena iniziata. Certo il segretario esce sicuramente rafforzato da questi giorni di tensione. Ha fiaccato un po’ la ronda interna e si è posto come interlocutore credibile della maggioranza, all’interno del suo partito. Berlusconi è tutto contento. Al premier, infatti, conviene averlo il più a lungo possibile segreario del Pd: formalmente in sella ma di fatto dimezzato dai propri avversari interni.

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