mercoledì 4 febbraio 2009

Il quorum della discordia


Ida Rotano, 03 febbraio 2009, 18:11

La Camera approva l'introduzione della soglia di sbarramento al 4 % nella legge elettorale per le europee. Il governo accoglie (anche se con una riformulazione) un ordine del giorno del Pd che allarga le maglie della raccolta firme per le forze politiche che si aggregano e si presentano insieme alle europee. E c'è chi lo ribattezza il "salva - Vendola". In aula, fino alla fine, è giallo sulle firme per il voto segreto. In mattinata, una riunione del gruppo parlamentare Pd fotografa lo stato dell'arte all'interno del principale partito d'opposizione. E' la giornata della riforma della legge elettorale per le europee. L'Aula di Montecitorio l'approva a larghissima maggioranza (i si' sono stati 517, 22 i contrari, 2 gli astenuti). A favore Pdl, Pd, Lega, Idv e Udc, contrari Mpa e Liberaldemocratici, Repubblicani e Radicali. L'accordo bipartisan raggiunto la settimana scorsa alla Camera nella riunione dei capigruppo prevede un iter velocissimo: la settimana prossima il disegno di legge passa al Senato.

Effetti de "La casta". In mattinata circolano i risultati di un sondaggio effettuato dall'istituto di ricerca Ipsos, secondo il quale il 72% degli elettori apprezzerebbe le nuove norme elettorali per le europee e il 39,4% degli interpellati sarebbe addirittura favorevole all'introduzione di un quorum più alto del 4%. Potenza della lotta contro "la casta" della politica che, se ha avuto il merito di puntare l'indice contro gli sprechi, ha dato nuova linfa alle spinte qualunquistiche sempre presenti nella società premiando la semplificazione e indebolendo la rappresentanza. Tanto che, anche l'IdV ha dato il suo via libera alla riforma.

La discussione nel Pd. L'unico vero intralcio alle nuove norme era costituito dall'ala dalemiana del Pd.
Questa mattina la riunione dei deputati del Pd ha visto tre ore di dibattito e si è conclusa con il voto pressoché unanime a favore dell'intesa raggiunta sull'introduzione della soglia di sbarramento del 4 per cento alle europee.
L'assemblea del gruppo Pd alla Camera ha visto intervenire tutti i "big" del partito, ad esclusione di Massimo D'Alema, che ha abbandonato la discussione per "impegni precedenti" e le "anime" piddine, dalla sinistra con Livia Turco, fortemente critica, agli ulivisti con Arturo Parisi che ha annunciato il suo voto contrario in Aula. Sono intervenuti anche Paolo Gentiloni - favorevole all'accordo ma ha richiamato il partito a fare attenzione su come la vicenda sarà gestita da qui al voto, soprattutto per quel che riguarda il messaggio all'esterno - e Pierluigi Bersani, anche lui favorevole all'accordo, sottolineando la necessità che ora il Pd si concentri sulla crisi e non si divida su sbarramento sì o sbarramento no. Favorevoli anche Rosy Bindi, che però ha sottolineato l'importanza di "guardare a sinistra" e Piero Fassino; critici con toni anche aspri Gianni Cuperlo ("non c'è chi rema contro al Pd e chi a favore, ma se c'è chi ha riserve sulla gestione delle vicende è per il timore che certe scelte danneggino il partito") e Ugo Sposetti, ex tesoriere dei Ds, che aveva presentato un emendamento a favore dell'introduzione di una norma che preveda rimborsi elettorali per le liste che conquistino almeno l'1 %. Emendamento che cercava di dare risposta all'allarme lanciato dai "piccoli" che denunciano le difficoltà a partecipare alla campagna elettorale, dopo l'esclusione da Camera e Senato perché con la soglia di sbarramento per accedere al Parlamento europeo posta al 4% nessuna banca è disposta a fare credito. Ma che rischiava (è il giudizio espresso dalla dirigenza Pd) di tramutarsi in un boomerang politico di difficile comprensione per gli elettori, sulla falsa riga già tracciata dall'indulto.

L'amarezza di Veltroni. Dunque, il partito democratico si è ricompattato intorno alla scelta del segretario Walter Veltroni. E non a caso: il segretario Veltroni ha spiegato lunedì nella riunione con i segretari regionali del Pd che non si può tornare indietro sull'ipotesi di riforma della legge elettorale per le europee, anche perché quando si è deciso l'orientamento definitivo del partito in una riunione di Direzione non sono state manifestate obiezioni (una bacchettata per D'Alema e le sue critiche).

Ed è tornato all'attacco anche oggi, quando, alla riunione del gruppo alla Camera, non avrebbe nascosto la sua "amarezza - riferiscono più deputati che hanno partecipato all'incontro - nel leggere in questi giorni posizioni e dichiarazioni inaspettate". Concludendo l'assemblea, il segretario dei democratici avrebbe così stigmatizzato le interviste ad esempio dell'ex ministro degli Esteri, di Enrico Letta (che ha definito buona la mediazione raggiunta sullo sbarramento, ma ha espresso "dubbi" sulla gestione della vicenda, e sulla sua opportunità: "rischiamo che si trasformi in un piccolo indulto, del quale noi ci prendiamo solo i danni politici e nell'opinione pubblica passa l'idea che l'intesa ci interessa per la sopravvivenza") e di Pier Luigi Bersani.
"Mi chiedo come si fa - ha attaccato Veltroni con riferimento implicito a D'Alema - a sostenere l'articolo 49 della Costituzione e poi sostenere il modello elettorale tedesco, che prevede una soglia di sbarramento del 5%. Delle due l'una".

Ma non solo, Nel mirino del leader democratico ci finisce anche lo "scissionista" di Rifondazione Franco Giordano: "Accusa il Pd di aver siglato un accordo su una legge 'salva Walter'. Ma si da' il caso - avrebbe obiettato Veltroni - che proprio Giordano fosse venuto nella mia stanza al Pd, insieme ad altri, a chiedermi di lavorare per l'introduzione della soglia di sbarramento al 4%, dicendomi che loro non potevano dirlo pubblicamente. Poi, ora che c'è stata la scissione in Rifondazione dicono il contrario".

La riunione della mattinata rappresentava una sorta di spartiacque perché la riforma va oltre la campagna per il parlamento europee e si riverbera sulle regionali del 2010. Quasi, come scritto dal Corsera, una "seconda tappa sulla strada dell'archiviazione delle esperienze di governo, nazionale e locale, con l'estrema sinistra, dopo il crollo dell'Unione prodiana nel 2008". Perché nell'ottica veltroniana, l'unico modo per non far risucchiare il Pd nel passato è lo smantellamento di quelle che oramai considera realtà residuali.

Eppure il rischio di ritrovarsi dopo le Europee con un partito ridimensionato e con l'Idv in ascesa è reale. Non a caso Di Pietro incassa la soglia del 4%, attribuendola "all'accordo Pdl-Pd": ne prende i benefici ma non la responsabilità. Meno reale, al contrario, il pericolo che l'accordo faccia saltare le giunte di sinistra. Malgrado le minacce insistenti di socialisti e sinistra democratica, le minacce di rottura più "corpose", arrivate da Prc e Pdci probabilmente non avranno seguito. Una volta approvata la legge, si tratterà non tanto di destabilizzare i governi locali, ma di non perderli, in attesa che maturino nuove alleanze.

In Aula il "salva - Vendola". Superato lo scoglio interno al Pd, la riforma sembra non avere più ostacoli.
Il governo accoglie (anche se con una riformulazione) un ordine del giorno del Pd che allarga le maglie della raccolta firme per le forze politiche che si aggregano e si presentano insieme alle europee. E c'è chi lo ribattezza il "salva - Vendola". POtrebbe essere ribattezzato anche il "salva - Fava". Nel documento si prevede infatti che la circolare ministeriale nella quale si indicano gli adempimenti per le varie liste venga "agevolata la presentazione di nuove liste contraddistinte da nuovi simboli che rappresentino l'aggregazione di più liste o partiti già esistenti e per contribuire a una maggiore semplificazione del sistema politico".
In buona sostanza, spiega il primo firmatario dell'ordine del giorno, Stefano Esposito, si chiede "una interpretazione come quella applicata per l'Ulivo nel 1998", per cui, ad esempio, se un europarlamentare si presenta con una nuova lista ma sotto un contrassegno diverso da quello con il quale ha corso alle ultime europee, quella lista è esentata dalla raccolta della firme.
L'ordine del giorno è sottoscritto, tra gli altri, anche da Massimo D'Alema, Marina Sereni, Barbara Pollastrini, Lanfranco Tenaglia, Rosy Bindi, Ermete Realacci, Livia Turco, Gianni Vernetti.
Di fronte a questo accordo in sede parlamentare, Ferrero sottolinea: "Le dichiarazioni di Veltroni e la proposta dell'ordine del giorno 'salva Vendola' rendono finalmente chiaro che la scissione di Rifondazione comunista è stata decisa in accordo con i vertici del Partito democratico, che infatti oggi se ne fa garante". Per il segretario di rifondazione "la scissione di Vendola si rivela per quello che è: una operazione fatta su commissione del Pd per cercare di distruggere Rifondazione comunista e creare una sinistra addomesticata che faccia da copertura al centrismo di Veltroni". Ma, firme a parte, resta lo scoglio dello sbarramento. Tant'è che in un intervallo alla bouvette è proprio Veltroni che cerca il contatto con Ferrero e gli sottolinea come il 4 %, alla fine dei conti, possa favorire proprio Rifondazione.

Il "giallo" del voto segreto. La riforma può dunque superare senza intoppi il primo scoglio dell'Aula di Montecitorio. Salvo un piccolo "giallo": gli otto deputati del Movimento popolare di Raffaele Lombardo, presidente della Sicilia, e i sei deputati del Partito radicale (i primi fanno parte del Gruppo del Pdl, i secondi del Gruppo del Pd) inseguono per tutto il primo pomeriggio le 30 firme necessarie per chiedere il voto segreto sulla riforma elettorale in discussione. Un obiettivo che verso le 19.30 viene raggiunto e superato di 1 firma. Ma il successo dura poco: richiamati all'ordine 5 deputati si cancellano dalla lista affossando così la possibilità di avere una votazione segreta. Tre sono del Pdl ( Giustina Destro, Giancarlo Lehner e Basilio Catanoso) e due del Pd ( Furio Colombo e Oriano Giovanelli). Non è chiaro se Alessandra Mussolini abbia ritirato o meno la sua firma. A fonti parlamentari risulta di sì, ma il presidente Gianfranco Fini ha detto in Aula che le firme ritirate sono state solo cinque e non sei.



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