sabato 26 dicembre 2009

VERSO IL DECENNALE - UN DEBITO DA SANARE

UN DEBITO DA SANARE

UN DEBITO DA SANARE

Il prossimo 19 gennaio, forse, si ridisegneranno quindici anni di storia

Craxi, dieci anni dopo.
Un debito che è tempo di sanare

di Sergio Talamo

Dieci anni sono un’epoca, sono il terrorismo che irrompe sul mondo, sono l’America di un presidente nero, sono la crisi globale, sono la Cina, l’India e il Brasile. In dieci anni l’Italia non ha ancora deciso chi è stato Bettino Craxi. Lo ha lasciato appeso al dileggio di un ricordo obliquo, oscillante fra statista e avventuriero; e la sua Tunisia si è scissa fra la terra dell’esule e il rifugio del latitante. Ora, scrive Fabio Martini sulla Stampa, sembra certo che il 19 gennaio 2010 – dieci esatti dalla morte di Craxi – arriverà un segno dal Colle più alto. Forse allora, con le parole di Giorgio Napolitano, il dilemma sarà finito. Dopo Ciampi, Violante, D’Alema, Casini, Fassino, Veltroni, Bossi e persino Francesco De Gregori, sarà la Repubblica Italiana a salutare con rispetto un suo figlio illustre.
Il prossimo 19 gennaio potrà così essere il giorno in cui si ridisegnano 15 anni di storia italiana, e si riabilitano i partiti che hanno costruito ciò che siamo. Tra le righe, apparirà chiaro anche ciò che un presidente della Repubblica non può dire: se Craxi è uno statista, allora sono uomini piccoli o in malafede coloro che lo hanno crocifisso e perseguitato. Il 19 gennaio del 2000 Craxi morì da solo. Dal giorno in cui lasciò l’Italia aveva dismesso giacca e cravatta per la sahariana. Al posto dei palazzi del potere, c’erano le spiagge e i mercatini arabi. Invece del futuro di un paese e di un partito, il suo orizzonte si fermava al flash del futuro che più temeva: «A riabilitarmi saranno coloro che mi uccideranno». Non Napolitano, che allora taceva ma non infieriva, ma i campioni di una sinistra delle manette che speravano di speculare sulla sua demolizione.

Il risultato, per loro, è stato molto deludente: senza le idee e i consensi socialisti e laici, la sinistra si è snaturata ed è politicamente perdente da 15 anni. Tra le sue tante vicissitudini, gli errori e le divisioni, il socialismo italiano ha sempre precorso i tempi e anticipato le scelte che hanno fatto grande l’Italia. Da Turati a Rosselli, odiati non solo dai fascisti ma soprattutto dai massimalisti e dai comunisti, a Saragat e Nenni, fino al Psi che con Craxi sceglie definitivamente di tagliare i ponti con le parole d’ordine della sinistra conservatrice: il classismo, lo statalismo, il neutralismo in politica estera. l’economia in cui salari e costi si rincorrono in una spirale impazzita.

Craxi pensa a una Repubblica in cui il governo tratta e si confronta con tutti, ma poi è in grado di decidere; a un sistema elettorale proporzionale con premio di maggioranza in cui i partiti siano ancora centrali; a uno Stato non ingessato dalle corporazioni e a un sistema giudiziario non condizionato dalle caste. Poi commette l’errore di non cogliere una voglia di rinnovamento che uno come lui aveva sempre sollecitato e che quindi avrebbe dovuto gestire e non contrastare. Infine, preso dalla lotta politica contro Dc e Pci, lascia che il suo partito si riempia di opportunisti senza scrupoli, rimandando sempre il momento di una rigenerazione ormai necessaria, perché, come diceva il suo padre politico Nenni, «le idee camminano sulle gambe degli uomini». Quando l’Italia è pervasa dal furore giacobino dei tagliateste, lui non sa far altro che tenere la testa dritta. E va in Parlamento a dire ciò che tutti sanno. Quando finisce di parlare, nessuno fiata. Tacciono soprattutto coloro che tanto volentieri parlano con i giornali forcaioli. Tacciono soprattutto coloro per cui, in tribunale e sulla stampa, non varrà la regola del “non poteva non sapere”.
Oggi Craxi non è tanto un nome da riabilitare per dedicargli qualche targa, ma un politico di cui cogliere l’incredibile modernità. Oltre ai temi più strettamente politici e di riforma costituzionale, si pensi alla sua idea di partito: idee, programmi e riforme invece che etichette come destra, sinistra, laici e cattolici, progressisti e moderati. Pragmatico, decisionista, post-ideologico: nei suoi anni questi pregi erano insulti, come sempre accade agli anticipatori. Nei suoi discorsi c’era sempre un riferimento a ciò che ancora doveva succedere. Dopo 10 anni, il suo “partito dell’avvenire”, concreto e animato da nuove idee e nuove generazioni, è ancora da fare. È il debito che l’Italia migliore ha con Craxi.

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