martedì 8 dicembre 2009

OPINIONI E COMMENTI DI UN SOCIALISTA - PEPPE GIUDICE

Perché odio il giustizialismo


di Giuseppe Giudice

Il 5 Dicembre a Roma c’erano tanti giovani con la faccia pulita, che hanno organizzato da soli una bella manifestazione contro la pretesa di un plutocrate megalomane ed imbroglione di essere al di sopra della legge e della costituzione. Nonostante i miei dubbi iniziali sulla possibilità che tale bella prova di democrazia potesse essere strumentalizzata da chi ha utilizzato sempre strumentalmente la questione morale devo dire che il comportamento di quei giovani mi ha fatto ricredere. Le dichiarazioni irresponsabili di Nencini che ha paragonato di fatto quella bella manifestazione all’influenza suina sono frutto di ottusità e di incapacità di interpretare quello che si muove nella società. Anche se sono convinto che sul semplice antiberlusconismo non si costruisce una proposta politica alternativa alla destra. Tuttavia io personalmente ad una manifestazione in cui vi sia Di Pietro difficilmente potrei aderire. Qualcuno potrebbe dire: ecco, il solito Socialista che ce l’ha con Di Pietro perché ha distrutto il PSI. Non è così, anche perché sono convinto che il PSI, in larga misura, si è distrutto da solo, prima che scoppiasse Tangentopoli. Vedete queste note non sono tanto un tentativo di analisi politica di quella che è stata la storia italiana degli ultimi 15 anni, quanto la confessione personale di un Socialista, Lombardiano ma comunque Socialista, e di come questo Socialista e questa persona, all’anagrafe Giuseppe Giudice di Potenza, ha vissuto questi anni.

Tutti sappiamo che si può far politica per diverse ragioni che sono così riassumibili:

1) perché spinti da passione politica ed ideale autentica
2) perché spinti da interessi personali (carriera, denaro, potere)
3) perché spinti da smania di protagonismo personale
4) perché spinti da rancore, frustrazione e risentimenti

Di queste motivazioni la prima è nobile. Le altre sono tutte non-nobili (spesso ignobili). Fra l’altro spesso tali motivazioni possono anche intersecarsi fra loro. Il comportamento umano è sempre complesso. Guardando alla storia repubblicana possiamo affermare che la prima motivazione è stata prevalente nei grandi protagonisti della storia repubblicana al di là della fede politica.
Amendola e Berlinguer,Nenni e Lombardi, De Gasperi e Fanfani, per fare degli esempi erano in larghissima misura spinti da ideali e molto, molto poco da interessi personali. Il contrario di oggi in cui i nostri presunti leader (a qualsiasi schieramento appartengano) sono in larga misura attratti dalle ultime tre motivazioni. Berlusconi, ad esempio, è una perfetta sintesi tra la motivazione 2 e 3. Di Pietro molto dalla 3 con qualche incursione nella 2 e si rivolge ad una base spinta dalla motivazione 4. Occorre anche aggiungere che i leader odierni oltre che spinti da nessuna motivazione ideale sono anche caratterizzati da un bassissimo spessore culturale (Di Pietro è in buona compagnia). Naturalmente vi è tanta gente che fa politica perché ancora spinta da motivazioni ideali e passione civile, ma vive una profonda frustrazione in questa fase. Del resto oggi l’unico vero grande leader che per passione e spessore politico e culturale è paragonabile a quelli della migliore storia repubblicana è Nichi Vendola. Proprio quest’ultimo che è l’espressione di un comunismo eretico, critico e libertario (molto vicino per diversi aspetti al mio socialismo di sinistra) ha detto che il giustizialismo è l’espressione dei novelli Torquemada e Savonarola, di una concezione autoritaria della politica e della vita, che fa leva sulle frustrazioni ed i risentimenti (non sulla autentica ricerca della giustizia). Esso prefigura uno stato poliziesco e forcaiolo, un’etica securitaria fondata sul sospetto , l’invidia e la delazione, in pratica su alcuni degli istinti più bassi della natura umana. Ma i Torquemada moderni non sono dei fanatici religiosi. E’ piuttosto gente furba che in una fase di profonda decadenza della cultura politica e non solo, della deformazione mediatica dei fatti, strumentalizza un sentimento in cui c’è certo l’indignazione verso il degrado morale, ma che spesso è mescolato alla frustrazione personale, per cui non si combatte la corruzione politica per uno spirito autentico di giustizia ma perché sotto sotto “uno si sente di fottere” per non poter fare lo stesso. Del resto nella mia esperienza di vita ho imparato a dubitare di coloro che ostentano pubblicamente la propria onestà e moralità e fanno i censori dei comportamenti altrui. Le persone veramente oneste nell’animo sono umili, compiono il proprio dovere senza bisogno di ostentare nulla. Ho quindi sempre pensato che i pubblici censori e i moralisti da strapazzo sono comunque persone che hanno parecchi scheletri nell’armadio. Quello che diceva Gesù resta eterno. Rileggetevi la parabola del fariseo e del pubblicano, o quando dice ai capi dei Farisei “le prostitute ed i peccatori vi precederanno nel regno dei cieli” oppure “voi siete quelli che volete apparire giusti di fronte agli uomini, ma ciò che è giustizia per gli uomini è abominio per Dio”. Se non vogliamo risalire al Messia basta far riferimento a Balzac il quale affermava: “non tutti i farabutti che ho conosciuto erano moralisti, ma non ho mai conosciuto un moralista che non fosse un farabutto”. Ma il giustizialismo ha avuto una precisa funzione politica: è stato l’apripista della ideologia e della prassi liberista in Italia. Se dobbiamo giudicare Mani Pulite sul piano dell’efficacia della lotta alla corruzione essa è totalmente fallita. Ha aperto la strada ad un sistema politico di cui Berlusconi è uno dei suoi perni ed in cui la corruzione e l’immoralità politica (spesso trasversale ai due schieramenti) ha raggiunto vette che fanno impallidire gli ultimi anni della I Repubblica. Se invece la giudichiamo come una operazione gestita dai poteri forti per liquidare di fatto “da destra” la I Repubblica e buttare via insieme il bambino e l’acqua sporca essa è perfettamente riuscita. Del resto fu la destra di allora (la Lega, il MSI) ad agitare la campagna giustizialista. Vittorio Feltri fu uno dei più spietati sostenitori del partito delle manette facili. Berlusconi con le sue televisioni fu un grande sponsor del Pool di Milano – ricordo bene il 1993. Il Corriere della Sera di proprietà della Fiat e Repubblica di proprietà della Olivetti erano gli addetti stampa di Borrelli e Di Pietro. Insomma i tre più importanti gruppi economici italiani si schierarono apertamente a favore di un giustizialismo antipolitico per liquidare il sistema dei partiti e sostituirlo con dei “non partiti” che di fatto avrebbero dovuto essere organici ai grossi centri di potere economico. Il PDS cavalcò il giustizialismo per evitare di finire anch’esso tra le maglie delle inchieste e per inseguire un novello seguace di Torquemada, Leoluca Orlando Cascio (che però qualche anno prima aveva fatto l’assessore nella giunta Ciancimino a Palermo).
Sul piano ideologico, il giustizialismo con la sua demonizzazione dei partiti e della democrazia rappresentativa , diffonde l’idea del ritiro della politica dalla economia e del fatto che se si lascia l’attività economica alla libera regolazione del mercato si elimina la corruzione e si premia il merito! Sono tutte enormi sciocchezze ovviamente, come la storia economica e la crisi in atto hanno ampiamente dimostrato. Ma allora furono idee sostenute a piene mani anche da ambienti di sinistra! Qualcuno potrebbe obiettare: certo Mani Pulite è fallita, ma non si può fare niente contro la corruzione?
Io credo che la questione morale ha radici in distorsioni della politica determinate dal fatto che l’Italia è stato caratterizzato da un sistema politico bloccato per 50 anni. Si doveva favorire l’evolvere del sistema verso una democrazia dell’alternativa, con soggetti politici più omogenei alla realtà europea. Il sistema di finanziamento illecito ai partiti che era un dato strutturale si era mescolato negli anni 80 agli arricchimenti personali.
Se si voleva fare opera seria di giustizia occorreva separare gli arricchimenti personali che andavano perseguiti con intransigenza fino alla confisca dei beni illecitamente acquisiti con gli arricchimenti, da quello che era il dato strutturale dei finanziamento ai partiti il quale poteva essere affrontato per il futuro con una normativa più rigorosa e trasparente rispetto al finanziamento dell’attività politica (che ci deve essere, altrimenti la politica la potrà fare solo il Berlusconi di turno). Era semplice da affrontare ma non fu fatto.
Alle elezioni del 1994 si rompe il patto tra i poteri forti che avevano all’unisono appoggiato il giustizialismo. Fininvest diventa partito. Una grande lobby economica e mediatica diventa partito-azienda con a capo un plutocrate megalomane e sul cui arricchimento rapido si nutrono seri dubbi, creando un “caso Italia”. E ricomincia lo scontro frontale tra le due lobby dell’informazione Fininvest (poi Mediaset) contro De Benedetti (questo scontro, tra le righe, percorre tutti i quindici anni dal 94 ad oggi). Ma la II Repubblica deve comunque legittimarsi (è interesse di entrambi gli schieramenti). Si deve lanciare un messaggio chiaro al paese: si apre una fase nuova, fatta di soggetti politici nuovi. Ma non sono affatto nuovi perché in essi vi sono le seconde e le terze file dei partiti della I Repubblica . L’unico partito nuovo è la Lega (capirete!) La
via d’uscita qual’è : addossare a Craxi ed al PSI di conseguenza tutta la responsabilità della degenerazione della I Repubblica. Sono soprattutto gli ex democristiani che insistono su questo punto (devono rifarsi una verginità) sostenuti dal PDS che ha bisogno di loro per il loro solito problema di legittimazione a governare. Per cui la vicenda di Craxi non diviene più vicenda politica da criticare ma va derubricata a storia criminale. Ed è questo che è inaccettabile per me, Socialista Lombardiano convinto, critico ma su un piano strettamente politico del Craxismo. Addossare a Craxi tutta la responsabilità di un sistema pervasivo e diffuso di illegalità e corruzione (che per essere così pervasivo e diffuso doveva avere responsabilità molteplici); non solo: demonizzare i Socialisti, far sparire la parola Socialismo dal vocabolario politico, cancellare la memoria di uomini integerrimi come Nenni, Lombardi, Pertini non è solo stata una colossale opera di mistificazione politico-culturale, ma un vulnus contro la storia della democrazia e della sinistra: ed è quest’ultima che ne è alla fine uscita a pezzi da tale vicenda. La storia ha dimostrato che il Socialismo italiano (al netto delle degenerazioni politiche ed ideologiche) ha dalla sua la maggior parte delle ragioni nella sinistra. Distruggere il Socialismo anche nella sua forma più nobile ha distrutto culturalmente la sinistra e ci ha condotti all’insostenibile leggerezza del PD! Craxi è e resterà un personaggio controverso; per certi aspetti schizofrenico politicamente. Craxi è indubbiamente chi ha favorito l’ascesa di Berlsconi, chi ha fatto il CAF, chi ha imposto una gestione bonapartista del partito fondata su un patto scellerato con il “partito degli assessori” ed i “signori delle tessere” (la vera madre delle degenerazioni nel PSI). Ma Craxi è anche chi ha respinto l’arroganza americana a Sigonella, ha sostenuto attivamente la causa palestinese, ha aiutato i socialisti cileni in lotta contro la dittatura, i democratici del Salvador, ha fatto entrare nell’Internazionale Socialista il Fronte Sandinista del Nicaragua. Insomma c’è una chiara schizofrenia politica in chi conserva dei tratti squisitamente socialisti e di sinistra e dall’altro traccheggia con un personaggio discutibile come Berlusconi, si accorda con Forlani. Una schizofrenia che è rimasta in molti craxiani convinti. Una schizofrenia che ha investito tutto il PSI, nel quale erano rimasti militanti socialisti autentici (Facebook, mi ha dato la possibilità di constatare quanti compagni la pensino come me) e personaggi terribili che nulla avevano a che vedere con la sinistra ed il socialismo. Il Manifesto che è un giornale che non mi piace per niente, espressione di un comunismo crepuscolare che ha bisogno sempre di far confluire la molteplicità dei fenomeni nell’unicità degli schemi interpretativi (molti comunisti sono più hegeliani che marxisti, o meglio figli di un marxismo che è un hegelismo travestito) afferma che con Craxi inizia il ciclo liberista in Italia. Questa è una cazzata (non l’unica del Manifesto). Si può accusare Craxi di tutto tranne che di essere stato liberista (anche se alcuni suoi seguaci come Amato e Martelli lo sono effettivamente). Craxi lo si può accusare correttamente di bonapartismo, se vogliamo, di venature peroniste e populiste ma non di liberismo. Craxi per sua formazione politica era decisamente favorevole all’intervento pubblico in una economia mista e così ha operato opponendosi sempre a processi indiscriminati di privatizzazioni. La vicenda della Scala Mobile del 1984 non ha proprio nulla a che vedere con il liberismo. Consiglio a tutti quello che di quel fatto racconta Pierre Carniti un socialista cristiano eterodosso (molto vicino culturalmente a Riccardo Lombardi) nonché uno dei massimi esponenti sindacali nella storia repubblicana. Ebbene Carniti ci ricorda che allora, con un tasso altissimo di infazione, due politiche erano possibili. O una politica dei redditi che tenesse sotto controllo la dinamica dei redditi senza alterare i rapporti di forza sociali a favore del capitale (questa era la ricetta post-keynesiana contro l’inflazione) o una politica deflazionista selvaggia: era la ricetta liberista e monetarista di Milton Friedman (ridurre drasticamente la quantità di moneta in circolazione e provocare in tal modo una drastica riduzione della produzione e dell’occupazione per poi far riprendere la crescita con condizioni più favorevoli per il capitale). Craxi scelse la prima via. Carniti dice che l’opposizione del PCI non fu nei contenuti ma per far cadere Craxi e favorire l’avvento di De Mita al governo. Comunque Craxi due anni dopo recuperò pienamente il rapporto con la CGIL sulla semestralizzazione degli scatti di contingenza. Craxi non abolì la scala mobile, come vogliono far credere quelli del Manifesto, ma ne riformò il funzionamento. La Scala Mobile fu abolita invece nel 1993 dal governo Ciampi che fu la prova generale del nuovo centrosinistra della II Repubblica. Fra l’altro Carniti (che nel 94 spinse Craxi a fare il decreto) è un critico profondo del comportamento della sinistra negli anni 90 e della sua subalternità al liberismo. D’Alema, Amato e Prodi (il cui maestro Andreatta, nel 1984 era un fautore del monetarismo) sono quelli che in Italia hanno attuato la politica thatcheriana. Eliminazione del sistema pensionistico a ripartizione, privatizzazioni selvagge dell’energia, della telefonia, delle ferrovie, di diversi importanti settori industriali (con il risultato da un lato di aver favorito la deindustrializzazione e dall’altro di aver aiutato un capitalismo finanziario di rapina nei servizi pubblici), ideologia della flessibilità. Ma perché il centrosinistra italiano si è reso così subalterno? Credo perché il gruppo dirigente post-comunista (D’Alema e Veltroni) abbia voluto legittimarsi agli occhi del nuovo capitalismo finanziario internazionale, ma soprattutto perché il centrosinistra è rimasto prigioniero dello schema dettato da Berlusconi. Da persona molto intelligente Vendola ha detto che la sinistra ha demonizzato Berlusconi ma alla fine lo ha interiorizzato. In che senso? Nel senso che l’antiberlusconismo era l’unico collante del centrosinistra e per esistere ha dovuto alimentarlo. Dall’altro le forze dell’Ulivo hanno assunto atteggiamenti speculari nel senso della privatizzazione e della personalizzazione della politica. Di fatto la sinistra non è riuscita ad andare oltre questo schema e proporre un progetto di società alternativo a quello delle destre. Del resto nel momento in cui abbandoni ogni riferimento alla cultura socialista…..
Un antiberlusconismo urlato ma mai praticato sul serio. Nel periodo 1996-2001, quando aveva la maggioranza parlamentare l’Ulivo non è riuscito a fare due cose essenziali per mettere KO Berlusconi: la legge sul conflitto d’interesse e la riforma del sistema televisivo. Eliminando la pericolosa anomalia italiana. In realtà, a mio avviso, né D’Alema, né Di Pietro vogliono la fine del berlusconismo. Il primo perché vi vede la fine del nuovo compromesso storico tra postcomunisti e postdemocristiani che è il PD. Il secondo perché perderebbe il lavoro. Di Pietro desidera fortemente che Berlusconi esista e che il PD faccia magari con lui qualche accordo così da apparire come l’unico vero antiberlusconiano. Non so che succederà nel centrodestra, ma una sua implosione oggi è più possibile. Purtroppo la sinistra, nella sua cultura, nella sua identità e nella sua funzione è stata quella più penalizzata dagli schemi politici della II Repubblica. Sono impegnato nel processo di costruzione di una nuova sinistra. Credo che sia indispensabile. Ma i problemi che incontriamo sono in gran parte frutto dell’incapacità di andare oltre gli anni 90. Per questo è indispensabile una profonda rilettura di quella storia che ha triturato politicamente e culturalmente la sinistra italiana. Per questo è importante che una ritrovata cultura socialista liberata dai fantasmi del passato sia presente nel processo di costruzione della nuova sinistra.

PEPPE GIUDICE


Alcune note su Nencini e D’Alema.


di Giuseppe Giudice

Il documento della direzione del PS si colloca a metà tra il pietoso ed il grottesco. Se l’obbiettivo è quello di confluire nel PD (in un PD omogeneo alla sterzata a destra impressa da D’Alema) lo si poteva dire con chiarezza e senza arrampicarsi sugli specchi. Fra l’altro è scritto anche male (sembra redatto da Sollazzo). Fra l’altro nel documento c’è un elemento assai curioso: si parla di un nuovo centrosinistra alternativo alla sinistra antagonista. Si omette di dire che, quantomeno, il centrosinistra dovrebbe essere soprattutto alternativo al centrodestra (ma forse si vogliono mantenere le porte aperte a Brunetta e Sacconi). Del resto immaginare una coalizione alternativa solo al povero Ferrero, con il suo 3%, non ha grande senso. Comunque lo pseudo-documento della direzione evidenzia con chiarezza la volontà, fra l’altro perseguita da tempo, da parte di Nencini e c., di far fallire SeL, magari dietro suggerimenti Dalemiani. Sarà solo un caso, ma tali decisioni (anticipate dalla segreteria) avvengono in contemporanea alla offensiva dalemiana contro Vendola. Io sono sempre stato convinto che Vendola avrebbe dovuto fare il leader di SeL e non candidarsi alla presidenza della Regione Puglia; sarebbe stato un atto di chiarezza che avrebbe aiutato SeL. Ora sono però convinto che Vendola vada difeso fino in fondo, perché c’è un chiaro tentativo in atto di impedire che nasca, a sinistra del PD, una aggregazione dotata di un minimo di credibilità politica. Non è un caso che D’Alema tifasse per Ferrero e Diliberto alle europee. Voleva che a sinistra del PD vi fosse una aggregazione residuale e marginale politicamente ed ideologicamente che non desse alcun fastidio politico. Oggi D’Alema (tra il silenzio sconcertante di Bersani) persegue il disegno di una alleanza organica con l’UDC. Sappiamo tutti che i progetti di D’Alema sono tutti finiti nel cesso (“Cosa 2”, Bicamerale) che i danni che ha prodotto alla sinistra sono irreparabili (D’Alema è stato il cavalo di Troia del liberismo e del Thatcherismo in Italia- privatizzazioni a favore di un capitalismo di rapina, flessibilità, contro-riforma pensionistica. D’Alema ha fatto eleggere Di Pietro al senato, quando era politicamente finito). Lo stesso accadrà per l’alleanza con l’UDC. La quale è tutt’altro che disponibile ad un alleanza organica di centro-sinistra, paventando piuttosto una politica di alleanze a geometria variabile nelle diverse regioni. Che è perfettamente organica alla strategia di Casini che punta all’implosione del centrodestra ed al ridisegno del sistema politico. Quindi anche questa mossa dalemiana condurrà al disastro non solo la sinistra (già ampiamente disastrata) ma l’intero centrosinistra. E’ comunque stupefacente che nel PD nessuno parli. A dimostrazione dei limiti profondi di quel partito e del fatto che “nessun Bersani ci salverà”. Ma tale deriva dalemiana ci deve costringere ad andare avanti con coerenza nella costruzione della nuova sinistra. E che i Socialisti autentici devono abbandonare Nencini al suo destino di portaborse aggiunto di D’Alema. E’ tanto più importante, perché le idee e la cultura del socialismo autentico sono vitali per la rinascita della sinistra.

PEPPE GIUDICE


8 commenti:

  1. Il titoòo è fuorviante rispetto al testo, molto interessante sulle vicende politiche degli ultimi anni.

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  2. In effetti quando ho iniziato a scrivere questa nota mi sono reso conto che per meglio argomentare la mia posizione sul giustizialismo dovevo necessariamente compiere una analisi politica a più ampio spettro. Per cui il titolo è forse riduttivo.

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  3. Carissimo Peppe, le tue note non vanno commentate, ma STUDIATE possibilmente a memoria.. ad iniziare da chi oggi vorrebbe rappresentare la continuità della gloriosa storia del Socialismo Italiano..e comprendere quanto danno hanno fatto i nemici interni ed esterni al PSI ..causando un vuoto politico, storico, culturale dal quale sarà durissimo uscirsene!

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  4. Perché non lo pubblichi sul sito di Sinistra e Libertà? Così cominciamo a vedere se c'è una possibilità di ragionamento o siamo ancora nel campo dell'irrazionalità.

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  5. Come al solito Peppe, in un periodo in cui si perde spesso la cognizione del succedersi degli avvenimenti politici anche a distanza di pochi mesi, riesci a dare un filo logico, una giustificazione politica, a ciò che è successo nell'ultimo ventennio.
    Il tuo è contributo prezioso non soltanto per tutti noi, amici e compagni, ma credo per tutti coloro che abbiano voglia o necessità di chiarire il nesso tra accadimenti e ragioni concrete che li hanno determinati.
    Affronti senza reticenze la vicenda Craxi, da socialista, deluso quanto me dalla sua conclusione, senza infingimenti, come si suol dire dando a Cesare quel che è di Cesare, pur tuttavia , non ascrivendo il personaggio ad unico assoluto responsabile della degenerazione politica-economica del paese.
    Personalmente, e te l'ho detto altre volte, lo ritengo sempre e comunque responsabile della fine, dopo 100 anni , del PSI , con tutto ciò che ne è conseguito, ivi comprendendo , le abusive recenti manovre di chi, impropriamente, di quel partito , di quella storia, si vuole( non lo do assolutamente per acquisito) appropriare, in ciò contribuendo ad alterarne, agli occhi di chi la conosce meno, ideali, pensieri, addirittura comportamenti, riferiti persino ai più nobili personaggi che l'hanno caratterizzata.
    Da ciò che dici e per come concludi questo tuo ennesimo saggio, si arriva facilmente alla conclusione che oggi è più che mai necessario ricostruire la sinistra, per come il progetto di Sinistra Ecologia e Libertà è stato concepito, soggetto politico plurale, inclusivo, democratico, capace di ridare speranza a tutti coloro che non hanno smesso di credere di poter, con la loro appassionata partecipazione, migliorare la disastrosa situazione di questo paese.E da ciò non può essere escluso il contributo del pensiero socialista.
    Un' ultima cosa, credo che sia necessario( e questo è del tutto soggettivo) far presto.Il tempo per parlare c'è stato e ce n'è ancora, purchè naturalmente lo si impieghi per far emergere le molte convergenze e non le poche diversità.

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  6. Io sono impegnato nel progetto di SeL pur rendendomi conto dei suoi limiti. Ma sono convinto che se perdiamo questo treno non ve ne saranno altri per lungo tempo. L'Italia ha bisogno di una sinistra che sappia però compiere una dura autocritica su ciò che è successo negli anni 90. A me piacciono molto dei compagni ex comunisti eterodossi e libertari come Vendola e Sansonetti perchè hanno avuto il coraggio di mettere in discussione degli stupidi tabù postcomunisti proprio sul tema del giustizialismo, dimostrando che una cosa (sacrosanta) è la lotta per la legalità (che va perseguita con metodo democratico) altro è il giustizialismo che è l'ideologia degli impostori e degli ipocriti. Non è possibile compiere una critica alla deriva liberista degli anni 90 se contestualmente non si compie una critica al giustizialismo che le ha spianato la strada. Io intendo impegnarmi nella costruzione del nuovo soggetto della sinistra per ricordare verità scomode.

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  7. A proposito di giustizialismo. Il compagno Giovanni Scirocco mi ha inviato una nota con cui è riportato il becero commento dell'incommentabile Vittorio Feltri (allora direttore dell'Indipendente) dopo il suicidio del deputato Socialista Compagno Sergio Moroni. Ecco il suo ripugnante commento:

    "Si è fatto un gran parlare di quel povero cristo di Sergio Moroni, il politico bresciano che si è tolto la vita sparandosi in bocca per due motivi: primo, era coinvolto nelle ruberie di partito (capirai che novità per un socialista), secondo, aveva un cancro ad un rene, di quelli che non perdonano. Nei panni di Moroni penso che mi sarei ammazzato due volte, per l'uno e per l'altro motivo. Nessuno ci accuserà di sciacallaggio se nelle pagine che seguono pubblichiamo la richiesta di rinvio a giudizio di Moroni. Il lettore è bene si renda conto che Craxi, e quanti con lui hanno pianto su Moroni, non hanno pianto la morte di una amico sventurato, ma quella di uno che portava soldi al partito (salvo percentuale per sè) ed era quindi un prezioso collaboratore. Un prezioso mariuolo, di quelli di cui Bettino amava circondarsi anche in casa".

    Questi sono gli amici di Berlusconi! E voglio ai giustizialisti (di allora ) che si considerano "di sinistra" : ma vi rendete conto con quali stronzi eravate in compagnia?

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  8. Come sempre apprezzo molto la capacità di Giuseppe di proporci analisi concrete, puntuali e circostanziate sulla storia del nostro Socialismo che nulla ha a che fare con il giustizialismo, ma che è comunque fondato su valori irrinunciabili di Giustizia e Libertà.
    Sulla manifestazione non ho nascosto dubbi e perplessità, non si può infatti compattare sempre e comunque l'opposizione sull'antiberlusconismo, magari per coprire dei vuoti di intesa nei veri programmi di alternativa sociale ed economica. Per questo preferisco ancora manifestare con la CGIL su questioni concrete come accadrà l'11 dicembre.
    Avendo contatti sia in SeL che nel PSI, ho l'impressione che non ci sia un distacco definitivo, e che non sia il caso di rigirare in una piaga aperta da poco, il coltello per allargarla. I nodi del PSI devono essere recisi in una sede congressuale e varrà la pena di esserci, pur avendo lasciato già lungo il cammino, come ho più volte sostenuto che "i morti seppelliscano i morti" (quelli che non si rendono conto che l'identarismo sterile e fine a se stesso non ha più alcun senso). Perché il fatto che SeL oggi non sia a Praga e ci sia invece il PD, anche se in veste di "ospite", cari copagni, per SeL, è comunque una sconfitta. Perché il Socialismo italiano, per quanto il suo passato possa essere stato travagliato e glorioso, e per quanto sia misero il suo attuale contingente, deve comunque mantenere un ancoraggio europeo, globale.
    Le verità più scomode oggi non sono quelle riferite al passato, ma quelle che riguardano il futuro: i problemi concreti del popolo che il governo non sa affrontare, la deriva barbarica e xenofoba, la limitatezza e la inconcludenza di un'opposizione strillata o accondiscendente.
    Noi abbiamo delle urgenze, dele emergenze sociali da affrontare, e non le supereremo ora purtroppo solo con la carica garibaldina, ma solo costruendo un soggetto dall'identità concretamente codivisa e che abbia una sua valenza nazionale ed internazionale.

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