Craxi e il segretario del Pci Enrico Berlinguer
Veltroni su Craxi:
«Innovò più di Berlinguer»
ROMA — Craxi? «Interpretò meglio di ogni altro uomo politico come la
società italiana stava cambiando». La sua politica estera? «Fu grande.
Ci fu l'episodio di Sigonella ma anche la scelta di tenere l'Italia
nella sfera occidentale, senza intaccare autonomia e dignità del
Paese». Parole di Walter Veltroni (dirigente per trent'anni di Pci,
Pds, Ds, ex segretario pd) davanti a Stefania Craxi, la figlia del
leader socialista che fu capo del governo dall'83 all'87. Occasione,
il libro di Stefano Rolando:
*Una voce poco fa. Politica, comunicazione e media nella vicenda del
Psi dal 1976 al 1994.*
Veltroni, asciutto e disteso, in attesa dell'uscita a fine agosto del
suo nuovo romanzo, effettua, nella Sala della Mercede della Camera, un
altro strappo con il suo passato. Ricorda che Craxi aveva di fronte
due grandi partiti, uno sempre al governo — la Dc — e uno sempre
all'opposizione — il Pci — in un sistema che stava bene a entrambi:
massimo di stabilità e massimo del debito pubblico: «Craxi decise che
bisognava cambiare gioco, porre la sinistra di fronte al problema di
una nuova leadership ». Il Pci, intanto, si trascinava quella grande
macchia, il 1956, l'invasione dell'Ungheria: «Ho riletto i verbali
delle riunioni del partito, fanno accapponare la pelle». Craxi nel
ritratto tutte luci e niente ombre che ne fa Veltroni, disegna un
partito diverso, rispetto ai modelli del Novecento, Pci e Forza
Italia, «un partito fluido, moderno, capace di raccogliere anche ciò
che non è omogeneo a sé, ma che si unisce attorno a determinate idee».
E sembra che rievochi il suo Pd.
Craxi innovava ma, negli stessi anni, anche Berlinguer trasformava il
Pci. Con uno sforzo, dice Veltroni, già giovane collaboratore di
Berlinguer, «non sufficiente al processo che bisognava mettere in
campo. Il Pci soffriva l'innovazione come tale». Eppure Berlinguer non
era certo un conservatore: «Sono tra quelli — dice Veltroni — che
pensano che l'Unione sovietica abbia fatto di tutto, ma proprio di
tutto, per togliere di mezzo Berlinguer...».
La platea è piena di socialisti di un tempo. Antonio Ghirelli, già
portavoce di Pertini. Gennaro Acquaviva, che fu trait d'union fra
socialisti e cattolici. Luigi Covatta, sottosegretario di Craxi.
Enrico Mentana, prima tessera Psi nel 1974, a 19 anni. Ma spuntano
anche l'ex ministro Francesco De Lorenzo, come Craxi coinvolto in
Tangentopoli e Gustavo Selva. Nella ricostruzione di Veltroni
un'ombra, per la verità, c'è e riguarda l'ultima fase del craxismo:
«Referendum 1991, sulla riforma elettorale: Craxi anziché dire 'andate
al mare', avrebbe dovuto usare quella leva per promuovere il
bipolarismo. E la riforma sarebbe potuta avvenire solo con una
leadership riformista e non con una post-comunista».
Era Craxi, insomma, il capo naturale a sinistra.
Nella memoria di Veltroni c'è anche spazio per un ricordo che lo
accomuna al leader socialista. «Nel '96 io dissi: 'Un giorno o l'altro
si dovrà arrivare a un'Internazionale né comunista né socialista, ma
democratica. Nel mio campo, un'affermazione difficile da fare. Ma era
lo stesso concetto che esprimeva Craxi. Oggi è naturale per tutti
pensare che Obama e il partito indiano del Congresso stiano assieme
nel medesimo organismo mondiale».
Stefania Craxi dice che è «felice di sentire Walter parlare così». Ma
non è indulgente come Walter. Afferma che il Psi di Craxi cadde anche
per mano dei grandi giornali di proprietà dei «poteri forti», Fiat e De
Benedetti, in disaccordo con Confindustria sul decreto che tagliava la
scala mobile: «Quei grandi giornali si portarono dietro altri
giornali, come l'Unità , diretta all'epoca da Veltroni, qui
presente...» .
Andrea Garibaldi
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