martedì 9 dicembre 2008

La crisi morale,
il Psi e il Partito democratico a Reggio Emilia e a Roma


di Mauro Del Bue*
Credo che anche a nome dei tanti socialisti che a seguito delle vicende relative a Tangentopoli hanno sofferto e sono stati oggetto di criminalizzazione generalizzata, io debba dire qualcosa sulle recenti vicende che hanno investito in modo così massiccio il Partito democratico. Mi riferisco alle inchieste giudiziarie che ormai minano larga parte delle amministrazioni della maggiori realtà italiane: da Napoli a Firenze, da Genova a Perugia, dalla regione Calabria, dopo quella Abruzzo, alla disastrata Campania, fino a non si sa cos’altro domani. E’ lungi da me esprimere una sorta di piacere per la nemesi che tocca proprio coloro che in passato si sono eretti a giudici impietosi e che oggi si trovano invece sul banco degli imputati. Anzi auguro sinceramente agli amici del Partito democratico di non fare la nostra fine, che peraltro non é stata solo la conseguenza delle inchieste giudiziarie, ma anche di errori politici. C’è stato un tempo in cui essere socialisti era sinonimo di rampantismo e poi di furfantismo. Forse qualche giustificazione c’era in certi comportamenti di una parte dei dirigenti del nostro partito. E tuttavia io che l’ho conosciuto bene e che ho girato l’Italia frequentandolo, ho sempre saputo, senza ignorare le degenerazioni esistenti, che il Psi era in larghissima parte un partito sano, composto da dirigenti che venivano dalla gavetta, che avevano frequentato le sezioni e si erano misurati coi congressi e le elezioni. Non un gruppo dirigente di carta, cooptato da qualche padrone del vapore, ma un solido e qualificato e culturalmente preparato nucleo in grado di competere con gli altri, e a mio avviso da posizioni di forza. Questo anche a Reggio, soprattutto a Reggio, dove il Psi è stato negli anni ottanta un partito di giovani autonomisti che avevano amore per la politica e orgoglio per la storia del riformismo reggiano. Se dovessi sintetizzare con poche parole ciò che è stato a Reggio il Psi in quegli anni direi: un centro di promozione culturale. Fondammo un Archivio di storia socialista, riprendemmo le pubblicazioni di un giornale “La Giustizia”, fondato da Camillo Prampolini nel 1886, fondammo un istituto di studi storici e una rivista “L’Almanacco”, e poi pubblicammo nuovi studi sul socialismo reggiano. Certo eravamo anche un partito di amministratori (forse un po’ troppi, ma nessuno si ricorda che in Comune di Reggio lasciammo le poltrone tra il 1982 e il 1987, senza che nessuno ce lo avesse chiesto…) e formulammo anche idee sul futuro. Il Psi reggiano non è mai stato coinvolto in scandali e ruberie. Per questo mi è apparso anche più violento questo tentativo di omologarlo alle situazioni più degradate. Mi è parso un atteggiamento violento e cinico. E non si dica che questo non è mai avvenuto perché anch’io posso dire di averlo vissuto sulla mia pelle. Posso parlare dei problemi di oggi con la consapevolezza di un sentimento che non intendo in alcun modo ricambiare. Anzi, resto garantista, sempre. Anche nei confronti di coloro che oggi sono al centro di inchieste gravi e stupefacenti. Mi chiedo, però, perché non si proceda in due giuste direzioni. Innanzitutto con una rilettura del passato, equilibrata e anche autocritica, per ciò che riguarda il giudizio sul Psi e anche su Craxi, accusato solo di avere finanziato illecitamente il suo partito, e non di reati più gravi, e costretto a morire lontano dal suo paese. E che senso abbia dunque ancora oggi questa alleanza col giustizialista Di Pietro, preferito alle elezioni di qualche mese fa ai socialisti e non credo solo per opportunità elettorale. E poi con la risposta alla seguente domanda: perchè in questi anni, in questi lunghi 16 anni, questo è il tempo che ci separa dall’inizio dell’operazione di Mani pulite, non sono state realizzate riforme adeguate per limitare, quantomeno, se non per eliminare, le illegalità e i reati? Questi ultimi paiono addirittura in aumento e si son fatti più gravi, perchè il finanziamento ai partiti o ai gruppi della politica non sono oggi giustificati dal clima di lotta politica accesa della cosiddetta prima repubblica e perchè le classi dirigenti dei partiti sono solo frutto di cooptazioni e non sottoposte al vaglio della pubblica opinione, racchiusi peraltro in contenitori privi di identità e di coesione. Penso al fatto che gli assessori non sono eletti dal Consiglio comunale tra i consiglieri eletti dal popolo, ma nominati dai sindaci, dai presidenti delle province, dai presidenti o governatori delle regioni. E penso al fatto che i deputati e i senatori sono nominati dai leader dei partiti (e all’interno dei partiti dai leader delle correnti). E anche al fatto che i partiti oggi non sono più organizzazioni democratiche, ma elitarie e anche monocratiche. Forza Italia in 14 anni di vita non ha mai svolto un congresso e il Pd è nato da un plebiscito sul segretario e il primo congresso lo farà, se lo farà, dopo le elezioni europee, ma per ora l’annuncio appare, più che una proposta, una minaccia. La crisi morale, non è oggi anche conseguenza della crisi democratica? Chi sono e che fanno gli amministratori inquisiti, quale potere hanno, quale controllo si esercita su di loro (a livello istituzionale e anche di partito), quanto contano davvero i cittadini? Sarebbe interessante discutere anche di queste cose a Reggio e non solo di candidature.

Segreteria Nazionale PS*


Buoi ed asini

Inventarsi “padri nobili” che fustighino i contemporanei è un vezzo che la sinistra di scuola togliattiana non vuol proprio perdere. Scomparsi Enzo Biagi e Vittorio Foa il panorama si è impoverito (resterebbe Vassalli ma, accidenti, continua ad essere socialista e Nencini vuole pure che sia nominato senatore a vita!). Allora chi viene investito del ruolo? Achille Occhetto! Quello al quale, all'epoca di Tangentopoli, non sembrò vero, da segretario di un partito senza più identità ed in cerca d'autore, di potere cavalcare una questione morale che riguardava solo gli altri (ma non certo, ad esempio, chi come lui ed i suoi predecessori, Berlinguer compreso, ricevettero, in nero, per anni montagne di denari da un paese nemico), fornendo sostegno politico militante all'uso, e più spesso all'abuso, della giurisdizione per riformare un sistema giunto al collasso. Egli stesso, con l' abituale impudenza, ricorda, nell'intervista alla Stampa, che lui ed il suo partito se la cavarono con le scuse dalla Bolognina. Poco dopo, la “gioiosa macchina da guerra” che aveva messo in piedi per le elezioni fece un bel frontale dando la stura alle faide tra i suoi colonnelli che, ingrigiti ma non rinsaviti, seguitano imperterriti ancora oggi, sempre in nome della questione morale, a recitare.
Al mitico Akel non sarà sembrato vero tentare di rientare nel giro, impartendoendo “ex cathedra” lezioni di moralità a chi, per una volta non sbagliando, all'epoca lo mandò a casa.

Siamo al surreal-ridicolo: il bue che continua a dire cornuto all'asino.
EP


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