martedì 6 gennaio 2009

GLOBAL ETICA: NENCINI INVITA DI PIETRO
AD UN DIBATTITO SUL SITO WEB DEL PARTITO


05/01/2009 - "Invitare un parlamentare del proprio partito a non agitarsi troppo, come ha fatto Formisano con Barbato sulle pagine del "Corriere della Sera", è eticamente inappuntabile?
Le "leggerezze inopportune" di Cristiano Di Pietro non penalmente rilevabili nell'inchiesta Global Service fanno parte di una riforma di comportamenti pubblici e privati a cui il presidente della
Repubblica, Giorgio Napolitano ha fatto riferimento? Si può non sapere o 'non si può non sapere' che cosa avviene intorno a noi, o lo si poteva solo negli anni '90? Nelle scatole delle scarpe devono essere conservate solo calzature?". Il segretario del Partito si è posto alcuni interrogativi su etica e irrilevabilità penale e ha invitato il segretario dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro a un dibattito web sul sito www.partitosocialista.it nella sede di Piazza San Lorenzo in Lucina 26 a Roma per martedì 13 gennaio. "Un confronto con chi era giudicato non ricandidabile da Leoluca Orlando nel 1994 per il solo fatto di essere dell'ala riformista craxiana del partito socialista - ha aggiunto Nencini ricordando la bocciatura della sua candidatura, parlamentare trentenne senza avvisi di garanzia - non potrà fare che bene al leader dell'Idv, e alla definizione di un'etica fatta di comportamenti e non solo di parole".


*NAPOLI. DISATTESE LE ASPETTATIVE DEI CITTADINI*
"Ennesima divisione nel PD"



05/01/2009 - "Ancora carbone nella calza dei napoletani! Ci aspettavamo segnali concreti di rinnovamento nel governo della città ed ancora una volte le aspettative sono state disattese". E' questo il giudizio del coordinatore nazionale del partito, Marco Di Lello e del capogruppo socialista al Comune di Napoli, Ciro Fiola sulla "neo" giunta comunale. "L'unico vero risultato - prosegue il comunicato socialista - è l'ennesima divisione interna al partito del Sindaco, che con le proprie lacerazioni sta trascinando nel baratro l'intera coalizione e, peggio ancora, la città". "Giudicheremo l'operato dei nuovi amministratori dai fatti concreti ma restiamo convinti che non è con una verniciatura di facciata che si costruisce una nuova Napoli, bensì - come abbiamo suggerito al sindaco - con una modifica al Piano regolatore e con il mantenimento della colmata di Bagnoli. Con coerenza, come abbiamo fatto in questi due anni in cui siamo rimasti fuori dall'amministrazione della città, continueremo la nostra battaglia su questi temi dall'interno del Consiglio Comunale, senza rinunciare al dialogo conle forze vive di Napoli, a partire da quelle, e sono tante, che non si sentono rappresentate da questa coalizione e da questa Giunta".


Lo spazio politico dei socialisti è grande,
ma bisogna occuparlo !!


di Roberto Biscardini*

Per i socialisti e per il PS, si sono aperte tre grandi opportunità da cogliere con coraggio e con assoluta decisione. Esse dipendono da circostanze esterne alla nostra iniziativa politica, ma d’altra parte guai se un partito e un gruppo dirigente non sono in grado di rispondere con spregiudicatezza agli errori altrui e non sanno riempire il vuoto prodotto della politica degli altri. La politica infatti è interazione. Prima opportunità, a poco più di un anno dalla nascita del PD, a distanza di otto mesi dalle elezioni di aprile, quando quel partito invocava il voto “utile”, sul terreno ci sono solo macerie. La sinistra rappresentata dal PD è più debole nel paese e nel parlamento e lo spazio politico che apre a sinistra non sta solo nella “questione morale”, che sta investendo quel partito, ma nella sua irrisolta questione politica. Come dice Macaluso, quel partito è nato senz’ anima, senza lotta e passioni politiche, con una fusione fredda tra Ds e Margherita, un ammucchiata di personale politico aggrappato ai poteri locali e impegnato nella riproduzione di se stesso. Alcuni opportunisticamente l’avevano talmente ben capito che avevano deciso di salire sul carro del “vincitore”, sostenuti da una stampa genuflessa di fronte alla nascita di tanta novità. Ma adesso, parafrasando sempre Macaluso, quel partito non è in grado di sciogliere alcun nodo: la sua collocazione internazionale, le scelte di natura economica, le questioni eticamente sensibili, laicità, giustizia e questioni internazionali. E dall’opposizione si barcamena tra dialogo, parola che non significa niente, e antiberlusconismo. Conclusione: sembra che quei nodi non possano essere sciolti, senza sciogliere il partito. Per poter sfruttare questo spazio i socialisti devono saper interpretare un quadro politico in pochi mesi profondamente cambiato e cogliere che qualcosa incomincia a muoversi a loro favore. Secondo, la sinistra non c’è più e non c’è più neppure il luogo della discussione politica e dell’elaborazione. Il luogo della democrazia e della dialettica. Spetta ai socialisti, così come hanno fatto in questi ultimi tre mesi, i primi della loro esistenza come Partito Socialista, candidarsi ad essere il “luogo” della elaborazione politica per sè e per tutta la sinistra. Continuare nel metodo inaugurato a Vieste alla fine di settembre e arrivato a Napoli il mese scorso. Sette iniziative di carattere nazionale, affrontando e costruendo con coraggio proposte precise sul terreno istituzionale, dalla giustizia, al testamento biologico, università, cultura e democrazia dei partiti. Tradotte per ora in quattro proposte di legge di iniziativa popolare per ritornare in Parlamento con la forza della volontà popolare. Possiamo farlo con ancora più forza, nella convinzione che questa è la grande opportunità che ci passa davanti. Mettendo insieme a livello nazionale e locale gruppi di elaborazione e lotta politica, richiamando forze intellettuali, simpatizzanti e giovani studiosi per incidere occupando lo spazio lasciato libero dal vuoto culturale che caratterizza l’attuale momento politico, a Roma come nelle regioni e nei comuni. Abbiamo le storia, le capacità e l’intelligenza per poterlo fare. Possiamo avere l’ambizione di essere i protagonisti di una fase nuova. Una fase di rottura con il passato e il presente, facendo del PS il “luogo” materiale di questa rinascita. Il “luogo” nel quale si formano le coscienze e le esperienze e si avvia un progetto per la ricostruzione di una cultura socialista nuova. Questo si aspettano da noi tutto coloro che hanno a cuore non solo le sorti di una possibile rinascita di una sinistra riformista nel nostro paese, ma anche semplici cittadini democratici e liberali, che non accettano di vivere in un paese arretrato, in cui si è insoddisfatti sia della destra che della sinistra, populiste entrambe, inconcludenti entrambe. Terzo, la grande occasione ci è data infine dalle prossime elezioni europee. A quell’appuntamento saremo l’unico partito italiano a marcare con chiarezza la propria identità socialista ed europea, con tutte le carte in regola. E siccome si può uscire dalla crisi economica che stiamo attraversando solo trovando risposte a livello internazionale, è facile spiegare che la collocazione europea non è un optional. Ma insieme identità e politica. Le nostre risposte alla crisi le troveremo nell’ambito delle soluzioni che tutti i socialisti sapranno definire in Europa negli interessi dei ceti popolari e medi di tutto il continente. Per i socialisti saranno decisive le nuove politiche redistributive, per ridurre disuguaglianze e consentire a chi è in maggiore difficoltà di superare la crisi nelle migliori condizioni possibili. Se essere socialisti europei alle elezioni nazionali di aprile poco poteva contare di fronte al maledetto imbroglio del voto utile, adesso la questione è più chiara per tutti. In Europa ci sono due famiglie, quella socialista nella quale stiamo noi, quella popolare nella quale sta Berlusconi. E il PD in Europa rischia di non essere né carne, né pesce.

Segreteria nazionale PS*


19 Gennaio


Il 19 gennaio del 1969 a Praga, Jan Palach, studente di filosofia moriva a causa delle gravissime ustioni riportate tre gioni prima quando, nella Piazza San Venceslao, dopo essersi cosparso i vestiti con la benzina, si diede fuoco con un accendino. Si trattò di una protesta estrema contro l'invasione della Cecoslovacchia da parte dei sovietici che avevano rovesciato nell'estate precedente, mediante l'invasione militare (così come era avvenuto nel 1956 in Ungheria) il governo che aveva timidamente intrapreso la via delle riforme. Il 19 gennaio del 1989 lo scrittore dissidente Vaclav Havel fu arrestato mentre cercava di posare un mazzo di fiori sul luogo dove Palach si era dato fuoco vent'anni prima. Havel divenne nel dicembre dello stesso anno il Presidente della Cecoslovacchia non più comunista. In quelle settimane il primo leader della sinistra occidentale a recarsi a Praga per rendere omaggio alla memoria di Palach Fu il segretario del PSI Bettino Craxi che nel 1968, anno dell'invasione sovietica e dell'iscrizione al PCI di Massimo D'Alema, con Nenni e tutto il PSI aveva duramente condannato l'URSS. Jiri Pelikan, uno degli uomini più vicini a Dubcek, nel 1969 chiese ed ottenne asilo politico in Italia e inviò di una lettera al Segretario del PCI Enrico Berlinguer da cui sperava di ricevere aiuto. Neanche a dirlo Berlinguer neppure gli rispose. L'aiuto, anche concreto, venne solo dai socialisti e in particolare da Bettino Craxi che candidò l'esule nelle liste del PSI alle prime elezioni del Parlamento europeo. Jiri Pelikan fu eletto per 2 volte eurodeputato e morì da uomo libero,in Italia, nel giugno del 1999. Il 19 gennaio del 2000 Bettino Craxi moriva ad Hammamet dopo una lunga e dolorosa malattia vissuta in Tunisia senza che dal governo del suo Paese venisse almeno un segno di umana solidarietà, tale da consentirgli di ricevere cure adeguate da uomo libero.
Il Presidente del Consiglio in carica era Massimo D'Alema.

EP


Noi di sinistra, Israele e Palestina


di Felice Besostri*

I fatti recenti in Israele/Palestina dalla rottura della tregua alla massiccia e violenta rappresaglia israeliana scuotono sia le piazze del mondo arabo che la coscienza di ciascuno di noi, che ne siamo spettatori senza la possibilità di essere, non dico protagonisti, ma soggetti attivi, cioè in grado di influire, sia pure in forma limitata, sugli avvenimenti. C’è una differenza fondamentale tra due campi dell’opinione pubblica, che non è quella tra filo-palestinesi e filo-israeliani, bensì tra tutti i filo da un lato e dall’altro tutti coloro che hanno a cuore i due popoli e le singole persone, che li compongono. Questa divisione è trasversale, ma particolarmente acuta nella sinistra e nelle coscienze individuali, di chi della sinistra fa parte. C’è una forma sottile dell’antisemitismo, quella per cui gli ebrei – e per traslazione gli israeliani – non solo sono diversi dagli altri, ma lo devono essere nel bene e nel male, anzi più nel male che nel bene. Agli ebrei e, particolarmente, agli ebrei israeliani non si perdona nulla o si giustifica tutto in nome della loro storia, dalle persecuzioni che hanno patito alle esigenze di sicurezza. La sicurezza per gli israeliani non è semplicemente essere al riparo dalle violenze del terrorismo, ma garanzia di potere sopravvivere come popolo e come Stato in quell’area del Medio-Oriente. I palestinesi, come ogni popolo della terra, hanno diritto alla loro identità ed all’autodeterminazione, allo sviluppo ed alla dignità collettiva ed individuale: in tutta la Palestina, ma soprattutto nella Striscia di Gaza, non ne possono godere. Il dramma, che allo stato appare insuperabile, è che le reciproche esigenze non possano essere soddisfatte, che con la negazione totale e radicale dell’altro. Per Hamas la creazione di uno Stato Palestinese richiede l’annientamento dell’”entità sionista” e lo stato futuro dovrebbe essere retto dalla sharia: uno stato dove non ci sarà spazio per gli israeliani ma neppure per gli arabi cristiani. Per settori israeliani l’unica sicurezza concepibile consiste non solo nell’erezione di muri invalicabili, ma nella deportazione fuori dai confini di Israele della popolazione araba, compresa quella araba di nazionalità israeliana: una sicurezza ossessiva troppo simile ad un’ideologia totalizzante, come la purezza della razza. Se il dilemma è questo, dobbiamo confessare la nostra impotenza e quindi schierarsi da una parte o dall’altra. Questa scelta di campo significa anche non poter andare troppo nel sottile nel scegliersi la compagnia. Per tutti quelli che comunque ritengono intollerabile la scomparsa di Israele e l’annientamento del suo popolo, stare in compagnia di ex o post-fascisti di recente convertiti alla causa di Israele. Per chi è preoccupato delle sorti del popolo di Palestina essere complice del fanatismo integralista, dei terroristi e nel migliore dei casi tacere sul regime iraniano. Per chi ha coscienza non si può rimanere indifferenti rispetto all’umiliazione quotidiana dei palestinesi ed alle vittime civili delle rappresaglie israeliane, che non si possono liquidare come effetti collaterali, un prezzo comunque da pagare, come delle vittime israeliane dei kamikaze e delle loro bombe sugli autobus, nei mercati e nei luoghi di ritrovo. L’indifferenza non si può giustificare con il fatto che gli avvenimenti sono visibili in presa diretta e perciò vissuti come manipolazione dell’opinione pubblica. Al Jazeera ha allestito un secondo canale esclusivamente dedicato alle rappresaglie israeliane e alle vittime palestinesi con l’effetto di moltiplicare la collera delle masse arabe in contrasto con l’inerzia dei loro governi. Cosa cambia rispetto ai fatti che non abbiamo gli stessi reportage dei massacri nel Sud Sudan o che i genocidi del Ruanda sono stati perpetrati lontano dalle telecamere? Il fatto grave è la copertura mediatica del conflitto israelo-palestinese o non, piuttosto, che in questo nostro villaggio globale le violenze in altre parti del mondo non abbiano, non possano avere o non interessa avere una copertura mediatica? Fossimo soltanto degli impassibili analisti potremmo ridurre l’impatto emotivo contestualizzando i sanguinosi avvenimenti: ci saranno le elezioni in Israele e la strategia di Hamas è dettata non dalla dirigenza locale, bensì da quella in esilio e pertanto sotto l’influenza, se non il controllo, degli Hezbollah libanesi e dei loro patron siriani e libanesi. Sono cose ovvie, ma non riducono il dolore delle madri delle vittime o la disperazione dei sopravvissuti alla distruzione delle proprie case o dei familiari di chi è stato colpito da un razzo Qassam. La protesta degli amici di Israele contro la sproporzione della reazione militare potrebbe essere più forte ed influente, se gli amici dei palestinesi non tacessero sui lanci dei razzi, sulla detenzione del sergente Shalit, diventata uno spettacolo teatrale, sugli atti di terrorismo, sui massacri di prigionieri o sulle esecuzioni sommarie di presunti collaboratori, per non fare che alcuni esempi, o sulla mancanza di libertà civili e sulla corruzione delle autorità politiche ed amministrative palestinesi o sulle manifestazioni di giubilo ogni volta che vi siano vittime israeliane o di ebrei, anche al di fuori della zona di conflitto. Chi crede nella possibilità,per quanto remota, di una futura possibile convivenza ed uno sviluppo economico e sociale in Israele e Palestina, che soltanto la pace o una tregua duratura possono garantire, deve continuare a testimoniare. L’alternativa è tacere e, perciò, richiudersi nelle proprie contraddizioni, in altre parole abdicare, cioè rinunciare alle proprie idee di libertà e giustizia. Questo prezzo non dobbiamo essere disposti a pagarlo, tanto più ora in questi drammatici momenti.

Direzione Nazionale PS*


1 commento:

  1. Gli interventi di Biscardini e di Besostri mi danno davvero fiducia... li condivido in pieno entrambi...

    RispondiElimina