giovedì 20 maggio 2010

L’umanesimo Socialista, quale alternativa concreta alla profonda crisi di civiltà.

L’umanesimo Socialista, quale alternativa concreta alla profonda crisi di civiltà.


di Giuseppe Giudice

La crisi sistemica del capitalismo che stiamo vivendo, e di cui sono sempre più drammatiche le conseguenze (anche se la politica italiana non pare accorgersene) è l’aspetto di una più profonda crisi di civiltà. Di una civiltà che ha fatto della de-umanizzazione della vita il proprio tratto distintivo.
La crisi economica sembra destinata ad allargarsi. Il capitalismo fa sempre pagare i costi della sua crisi sui più poveri e questo sta puntualmente avvenendo. Soprattutto in assenza di un progetto politico che sappia indicare in positivo una alternativa praticabile all’attuale modello economico e sociale. Ma tale alternativa potrà esistere se essa saprà iscriversi in una nuova idea di civiltà umanistica (che cioè riponga l’uomo al centro della vita economica e sociale). Quello che hanno sempre sostenuto i fautori del socialismo umanistico e riformatore da Rosselli a Lombardi, da Olof Palme ad Erich Fromm.
Il concetto di socialismo ha subito una forte distorsione nel 900 per responsabilità del dogmatismo comunista della III Internazionale (del marxismo-leninismo insomma). Esso è stato infatti economicisticamente inteso come modo di produzione transitorio verso una società comunista in cui lo stato politico si sarebbe estinto e sarebbe rimasto solo come apparato tecnico-amministrativo.
Non c’è dubbio che è presente in Marx tale idea. Ma quando si esamina il pensiero di Marx (che giammai deve divenire feticcio ideologico) c’è ad distinguere ciò che c’è di originale e ciò che è importato.
Ebbene la idea della estinzione dello stato politico e del suo passaggio alla pura gestione tecnico-amministrativa è mutuata dal positivismo di Saint Simon. Ed è certo una delle parti più superate del pensiero di Marx in quanto sintesi ottocentesca del determinismo storico di Hegel con il funzionalismo positivista.
L’idea di una società che sia in grado di soddisfare tutti i bisogni emergenti non regge alla prova del pensiero critico. Sia perché in astratto i bisogni sono illimitati (e presuppongono che non esistano limiti spaziali e temporali) sia per un motivo più concreto storicamente.
Lo stesso Marx nei “Grundrisse” afferma che i bisogni sono storicamente determinati. Quindi non sono un dato antropologicamente invariabile. Ma se essi hanno carattere storico e non naturalistico (a parte i bisogni elementari) non ha senso fondare una economia sui bisogni. Fra, l’altro, la stessa teoria economica borghese (il marginalismo) si fonda sulla idea del mercato (in Saint Simon è lo stato quale apparato amministrativo) in grado di soddisfare tutte le utilità ed i bisogni emergenti. La stessa ideologia consumista ha tale base.
Abbracciando quindi il Marx critico ed umanista ed abbandonando quello determinista ed economicista dobbiamo riformulare il concetto di socialismo. Non più modo di produzione ma civiltà umanistica in cui l’economia non sia più il centro della vita sociale, ma sia sottomessa ad un progetto umano. Non è un caso che il comunismo sovietico ed i suoi derivati) ha perseguito con meccanismi economici diversi la stessa scala di valori sociali propri del capitalismo.
Se analizziamo la crisi attuale a parte i suoi aspetti economici (finanziarizzazione, come conseguenza della tendenza alla caduta del saggio di profitto, svalorizzazione del lavoro) ed agli impatti ambientali fortissimi determinato da un consumismo irresponsabile, vediamo che è proprio nella de-umanizzazione (che viene imposta all’immaginario sociale) la sua radice più profonda.
La sinistra proprio perché ha smarrito l’umanesimo socialista, è in grave difficoltà.
Perché in essa sono prevalse due risposte entrambe sbagliate.
La prima è l’annacquamento del socialismo inteso come semplice mezzo correttore del liberismo (Blair, Amato, D’Alema) e l’identificazione nei valori economici e sociali del capitalismo concepito come “fine della storia”. Di qui una variante debole del riformismo che viene travolta dalla crisi stessa del capitalismo.
L’altra riguarda la sinistra estrema che più che radicale (che è un concetto in positivo) definirei “nichilista”.
Essa identifica la modernità con il capitalismo e non come una variante deformante dello stesso, dimenticando che alla radice della modernità c’è il pensiero illuminista ed il criticismo kantiano con il loro progetto emancipatorio.
Una parte della scuola di Francoforte (Marcuse ed Adorno) che ha voluto liquidare il criticismo kantiano con un pensiero catastrofista che mescolava allegramente Hegel, Marx e Freud con l’irrazionalismo di Heidegger è alla base di tale sinistra. In Marcuse soprattutto il superamento del capitalismo sfocia nella regressione dell’umanità allo stadio infantile. Un ritorno alla fase “orale” direbbe Freud. Non a caso Marcuse è stato preso ad emblema dagli Hippy e dai Frikkettoni di varia natura. Fromm giustamente accusa Marcuse di “falso radicalismo” in quanto egli preconizza l’avvento di una sorte di “età dell’oro” completamente fuori di ogni prospettiva concretamente storica.
Una altra fonte “distorta” sta nel relativismo morale di Sartre ma soprattutto nel pensiero post-strutturalista francese (Foucault, Deleuze), profondamente anti-umanistico e nichilista (il comunismo nichilista e paranoide di Toni Negri ha lì la sua radice).
Come diceva Fromm di Marcuse questo è un pensiero falsamente radicale perché si di esso non è possibile costruire nessuna alternativa. L’alternativa al capitalismo non può essere la regressione dell’umanità alla fase infantile, né il ritorno a rapporti sociali ed economici precapitalistici e preindustriali. Né un infantile terzomondismo che tende ad esaltare forme populiste o anche socialiste che possono avere un senso all’interno del loro specifico contesto ma non certo il valore di un modello.
L’alternativa sta nell’immaginare, nel progettare e costruire una civiltà più avanzata del capitalismo in senso razionale ed umanistico.
In una società in cui si avverte la drammatica perdita di senso e di significato delle cose, il nichilismo ed il relativismo non aiutano certo, aggravano le cose. Il post-modernismo di una certa sinistra è stato il miglior alleato ideologico della globalizzazione (non a caso esaltata da Toni Negri propedeutica alla formazione del “nuovo soggetto rivoluzionario” – che naturalmente egli non sa chi sia).
L’alternativa sta nel ricostruire un senso, una razionalità umanistica allo sviluppo tecnologico ed all’economia che richiede un surplus di immaginazione. In questa costruzione del “senso” c’è il contenuto del socialismo ed il significato della sinistra.

PEPPE GIUDICE

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