martedì 18 maggio 2010

E’ nella II Repubblica la radice del declino della sinistra italina.

E’ nella II° Repubblica la radice del declino della sinistra italina.

di Giuseppe Giudice

Sono reduce da una aspra polemica sul concetto di “sinistra senza aggettivi” che non condivido. Ora cercherò di spiegare meglio tale mia posizione inquadrandola nella mia lettura della fortissima crisi della sinistra che ne ha prodotto un azzeramento di fatto.
In modo sintetico tenterò di spiegare tale crisi come uno dei risultati più evidenti del periodo della II Repubblica.
In realtà la II Repubblica non ha cancellato solo il PSI ma di fatto tutta la sinistra ed ha privato i lavoratori italiani di una vera rappresentanza politica.
Nella fase finale delle I Repubblica la sinistra politica in tutte le sue componenti (dal PSI a DP) aveva circa il 45% dei voti (più o meno nella media europea); questo il risultato delle politiche del 1987.
Nelle elezioni del 1996 (quando l’Ulivo vinse – ma la Lega non era alleata con il cd) la sinistra registrava il 30% dei consensi. In nove anni si era perso il 15% (oltre 5 milioni di voti).
Naturalmente la scomparsa del PSI ha inciso in modo determinante, ma vi sono altri dati da esaminare attentamente.
Nelle elezioni del 1992 (ultime con il sistema proporzionale puro) si recò al voto oltre il 90% dell’elettorato. In Italia vi era la percentuale più alta d’Europa di partecipazione al voto. Nelle elezioni del 1994 (prime con il maggioritario “Mattarellum”) la percentuale calò di 7 o 8 punti. In più ci fu un boom di schede bianche e nulle.
Sintomo evidente che un pezzo importante di elettorato non si riconosceva nei partiti della II Repubblica.
Nel 2006 l’anno della vittoria al “fotofinish” di Prodi con l’Armata Brancaleone dell’Unione, la sinistra era intorno al 25%. In venti anni (facciamo riferimento all’87) la sinistra perde il 20% dei consensi. Facciamo presente che nel resto d’Europa la sinistra supera mediamente abbondantemente il 45%. C’è una anomalia impressionante.
Ma perché si giunge a tanto? Indubbiamente la fine di una delle componenti storiche della sinistra come il PSI incide moltissimo. Una parte consistente dell’elettorato socialista (parlo di elettorato non di militanti) va verso l’astensionismo: almeno questo dicono i pochi studi fatti a proposito. Certo una altra parte va a Forza Italia (ma non nel numero spesso sbandierato). Ma si perde anche un pezzo consistente dell’elettorato del PCI – verso l’astensione ma talvolta verso la lega e la stessa Forza Italia. Se dai sondaggi preelettorali fatti prima delle regionali risulta che il 42% degli operai votano PDL e solo il 21% per il PD, vuol dire che un pezzo consistente della ex base elettorale sia del PCI che del PSI vota a destra.
Fatto è che eliminato dalla scena il PSI (del resto quel partito non poteva comunque sopravvivere nello stesso modo dopo il 92) non vi è stata nessuna forza in grado di rappresentarne la cultura politica. Il PDS poteva e doveva farlo se voleva salvare la sinistra.
Ma nel PDS è prevalsa la scelta del nuovismo ; di collocarsi di fatto più a destra della tradizione socialdemocratica ed in rapporto di subalternità verso il centro post-democristiano e verso un segmento dei poteri forti. A contrastare tale deriva non poteva farlo una sinistra antagonista, rappresentata da Rifondazione, a vocazione minoritaria e protestataria, povera di voto operaio, e ricca di militanti molto lontani da quella rappresentazione di “intellettuale collettivo” cara a Gramsci: insomma agit-prop con quozienti intellettivi non entusiasmanti che ripetono pappagallescamente slogan triti e ritriti. Ma allo stesso tempo in questa sinistra antagonista matura anche un gruppo di intellettuali innovatori e di larghe vedute sostenuti da Fausto Bertinotti che si dimostra come il leader più intelligente e colto della sinistra degli ultimi 15 anni (e che con il suo carisma mediatico riesce a portare a RC molti più volti di quelli che ne avrebbe presi senza la sua leadership).
In tal modo si delinea lo scenario delle “due sinistre” (che poi Bertinotti ha rinnegato): una che fa il “lavoro sporco” al governo (privatizzazioni, flessibilità) – i DS e l’altra che protesta nelle piazze. Una deriva deleteria che accentua la già forte crisi della sinistra.
La II Repubblica si è fondata sulla costituzione materiale del liberismo economico: la sinistra di governo ne è stata subalterna; la sinistra antagonista è stata incapace di costruire un progetto limitandosi a gestire la protesta contro la sinistra moderata.
Questa deriva porta alla distruzione della sinistra. Il PD e l’Arcobaleno due disegni politici senza identità e senza respiro strategico coerente ne sugellano la fine. Della buffonata della Costituente Socialista di Boselli meglio non parlarne.
Quindi ora il problema è di ricostruire la sinistra alla radice. E’ un problema che non potrà essere risolto nel breve periodo, ha bisogno di un orizzonte di largo respiro. Se Vendola dice di andare oltre SEL ha ragione. Non perché SEL debba sparire ma perché essa non può certo essere l’approdo di un progetto ricostruttivo della sinistra italiana. Se essa divenisse un partitino del 3% che magari soddisferebbe le esigenze di in micro-ceto politico o di un militantismo senza idee che punta a diventare anche esso micro-ceto, non servirebbe a niente e farebbe un favore ad un PD in profonda crisi.
La grande fluidità della situazione politica dà ragione alla strategia di Vendola: costruire un centrosinistra radicalmente alternativo al paradigma ulivista-scalfariano a favore di un sinistra-centro con una sinistra protagonista ed a vocazione maggioritaria legata al socialismo democratico europeo (che comporta chiaramente il superamento del PD ed il suo dichiarato fallimento). Sono proprio Bertinotti e Vendola che nei fatti ripropongono la centralità della questione socialista come profilo identitario ed orizzonte strategico della sinistra. Se si scarta di fatto l’idea del partito minoritario e di pura testimonianza, è solo nel PSE (un PSE che sta evolvendo a sinistra) che il nuovo soggetto che vogliamo costruire troverà collocazione. Il soggetto di una sinistra non espressione né di un riformismo debole e subalterno, né di una vocazione minoritaria che chiama a raccolta tutti i frustrati ed i rompicoglioni permanenti. Un partito che non si fa per dare rappresentanza ad un ceto politico o ad un militantismo autoreferenziale, ma perché serve a quella parte di società a cui ci rivolgiamo. In una fase di profonda crisi del capitalismo con tutte le sue drammatiche ricadute non serve una sinistra di testimonianza; serve una sinistra in grado di affrontare e risolvere i problemi in una dimensione europea.
I socialisti non possono stare con il PD. Devono stare nella prospettiva alternativa di cui oggi Vendola si fa interprete. Noi con la Lega dei Socialisti saremo della partita. In questa fase può dare un maggiore contributo alla sinistra un laboratorio politico che un piccolo partito.

PEPPE GIUDICE


IL PD NON E’ SOCIALDEMOCRAZIA;
NON E’ SINISTRA !

di Giuseppe Giudice

In Italia non esiste né ha senso uno scontro tra sinistra riformista e sinistra antagonista. Semplicemente perché non esiste né l’una né l’altra.
Il PD non è di sinistra e nulla ha a che vedere con la socialdemocrazia (approfondiremo dopo); SEL è un tentativo di costruire una sinistra nuova riformatrice e radicale ad un tempo (ma è per ora appunto solo un tentativo). Poi ci sono i “comunisti ai neutroni” di Ferrero e Diliberto politicamente inutili e culturalmente archeologici; infine il Ps+I di Nencini , un ectoplasma da prefisso telefonico che nasconde dietro una sigla gloriosa i micro-interessi personali di un gruppo di compari.
Io sostengo in questa fase gli sforzi di SeL ( a cui sono iscritto) e di quella parte dell’area socialista che sostiene una linea alternativa a quella dell’accattonaggio politico nenciniano ed è in sintonia politica con il progetto di Vendola.
Ma dobbiamo sapere con chiarezza che oggi il problema non è quello di “unire la sinistra” come spesso si ripete pappagallescamente ma di “ricostruire dalle fondamenta” la sinistra (lo ha ben capito Vendola, e lo aveva capito Bertinotti).
La nascita del PD ha modificato profondamente il tema politico che la sinistra ha di fronte. Per la verità, già prima della nascita del PD la sinistra era di molto indebolita: nel periodo della II Repubblica ha perso oltre il 20% dei voti (dal 45% del 1987 al 24% del 2006). Ed era indebolita non solo elettoralmente ma anche nel pensiero, nelle sue coordinate strategiche.
Il PD nasce culturalmente su una unica certezza: la fuoriuscita da ogni forma di socialismo e di socialdemocrazia. La fine della sinistra. Il dictat post-democristiano di stare fuori dal PSE è accettato senza grossi affanni da un gruppo dirigente post-comunista di matrice berlingueriana che non ha avuto mai molta passione per il socialismo europeo. Certo in questo gruppo c’erano delle vistose eccezioni di dirigenti ed intellettuali che avevano interiorizzato i valori del socialismo democratico (Napolitano, Angius, soprattutto Bruno Trentin forse il più grande intellettuale del PCI dopo Gramsci). Ma l’apparato del partito ha vissuto l’appartenenza al PSE come prassi burocratica ma mai identificandosi idealmente con esso. Qui il substrato togliattiano-berlingueriano ha prevalso.

Se vogliamo fare dei passi indietro nella storia il comunismo italiano nei fatti non è mai stato più a sinistra del socialismo europeo. Talvolta anzi nei programmi è stato scavalcato a sinistra da diversi partiti socialisti e socialdemocratici. L’essere più a sinistra della socialdemocrazia era una tipica rivendicazione “identitaria” : sono comunista e quindi sono più a sinistra di te. Ma nella prassi concreta storica e politica ciò non corrispondeva al vero

Il post-comunismo si è quindi alla fine collocato di fatto più a destra della socialdemocrazia o identificandosi pienamente con le sue correnti o derive più moderate e liberali (Blair e Schroeder). Del resto non è un caso che il teorico della III Via di Blair, Antony Giddens ha sostenuto su “Repubblica” la tesi della morte del socialismo (che è l’unico punto su cui il PD pare d’accordo).

Ma dopo la crisi sistemica del capitalismo liberista e della globalizzazione (sulla cui scia erano nate le varianti degenerative della socialdemocrazia) i partiti socialdemocratici e socialisti europei hanno virato a sinistra. Lo dimostra la SPD tedesca che con il congresso di Dresda ha cambiato profondamente programma (recuperando i valori socialisti) e mandando in pensione tutta la vecchia classe dirigente (legata a Schroeder).

Il PD, a parte il fatto che ci presenta sempre le stesse facce che ci rompono i coglioni da vent’anni, non è stato assolutamente in grado di modificare se stesso, anche perché forse è un partito che non esiste. Senza identità e senza una missione storica non esiste un partito. Il PD, come abbiamo visto, è d’accordo con se stesso solo nel non essere socialista; per il resto non si capisce in cosa è d’accordo e cosa vuole.

Ma se questo è il PD, il problema non è semplicemente costruire un soggetto più a sinistra del PD. E’ quello di costruire la sinistra che in prospettiva sappia agganciarsi al socialismo europeo.

Quando Bertinotti parla di una sinistra che si ricostruisce per scomposizione e ricomposizione fa riferimento non alla Linke italiana e certo non ad una sinistra di mera testinomianza. Ma ad una sinistra a vocazione maggioritaria (Bertinotti ha fatto autocritica sulla teoria delle 2due sinistre”) che non può non riconoscersi, in modo originale, nel socialismo democratico del XXI Secolo.

E’ in questa prospettiva di ampio respiro che dobbiamo muoverci attivando tutte le nostre energie. Oggi è la profonda crisi del PD dovuta al suo non-essere che è il nemico della ricostruzione dela sinistra. Invece dobbiamo far sì che da questa crisi si esca con il superamento del PD e la propedeutica presa di coscienza del suo fallimento e la riconquista del socialismo.

PEPPE GIUDICE



Nessun commento:

Posta un commento