domenica 16 maggio 2010

La nostra rivoluzione democratica e federalista

La nostra rivoluzione democratica e federalista

di Carlo Felici

Oggi Scalfari pubblica su Repubblica un articolo sul federalismo che vorrei analizzare con attenzione, sia nei suoi riferimenti storici che nelle prospettive attuali. http://www.repubblica.it/politica/2010/05/16/news/dramma_federalismo-4094754/ Scalfari esordisce già con un titolo capzioso, definendo il federalismo “un dramma”, poi prosegue affermando che il Risorgimento fu concepito da una minoranza e che ebbe come suo “inventore” Mazzini, ed esecutore “pragmatico” Cavour. In particolare poi aggiunge che: “Le masse cattoliche, contadine, operaie, furono assenti ed escluse dalle istituzioni. Quindi un movimento deforme, come deforme fu lo Stato che nacque da esso.” Caso strano, ma non troppo, Scalfari tralascia di citare Cattaneo, Ferrari e Pisacane, quasi che questi autori fossero una sorta di appendice marginale del Risorgimento italiano e non avessero invece piuttosto operato sul campo, con prospettive federaliste che erano basate soprattutto sul coinvolgimento popolare, proprio negli anni cruciali del Risorgimento, che fiorì, non con l’impresa di mille, ma con il 1848. Cattaneo fu infatti tra gli organizzatori e i combattenti delle gloriose 5 giornate di Milano, durante le quali le masse popolari della Lombardia, e in parte anche del Veneto, si sollevarono costringendo gli austriaci alla ritirata nel quadrilatero, Pisacane lo fu egualmente, sia perché partecipò a quegli eventi, sia perché poi difese gloriosamente la Repubblica Romana, insieme a quelle stesse masse popolari che si erano sollevate a Roma e nei territori pontifici, così come nel nord, credendo finalmente di essere protagoniste della loro storia. Per averne una conferma basta solamente leggere, non i resoconti degli storici, ma i testi originali scritti da Cattaneo e Pisacane sulle vicende del 1848. La sollevazione popolare dunque ci fu e coinvolse la stragrande maggioranza dei cittadini delle popolazioni del centro nord, così come ci fu nel Sud dove, ad esempio, in Sicilia, la popolazione insorse ben prima di quella che poi si sollevò nella stessa Vienna. Non per nulla il 1848 è ricordato (almeno da chi vuole ricordarlo ancora) come “la primavera dei popoli”. Fu una breve primavera perché allora i popoli non erano organizzati in modo efficiente, e soprattutto non avevano una forza militare popolare (teorizzata anch’essa da Pisacane) tale da imporsi sui loro oppressori. Nel nord il 1848 si esaurì con la cosiddetta prima guerra di Indipendenza perché Carlo Alberto, soprannominato “tentenna”, non volle assestare un colpo decisivo agli austriaci, sfruttando una posizione di vantaggio e aggirando nel Veneto le linee di Radetzky per impedire i suoi rifornimenti. Quel re, come i suoi successori, infatti, ebbe come principale preoccupazione quella di impedire che i fermenti democratici si affermassero, gli stessi che avevano portato le masse popolari ad insorgere. Fu questa preoccupazione “primaria”, assieme al fatto che Mazzini non affrontò mai in maniera decisa e circostanziata la questione sociale, così come Pisacane fin dai tempi della Repubblica Romana lo aveva esortato a fare, (la stessa che teorizzò molto bene nel suo saggio sulla rivoluzione) che deluse e tenne lontane le masse popolari dal seguito degli eventi risorgimentali. Nel sud la spedizione di Pisacane fallì perché intorno a lui, già mesi prima della sua partenza per Sapri, si costruì una sorta di “cordone sanitario” che vide convergere contro di lui in modo criptico interessi diversi. Lo avversavano Mazzini che era per uno stato repubblicano ma centralizzato, Garibaldi, che era per la monarchia sabauda, e naturalmente i servizi segreti di quest’ultima e dei Borbone. Quindi anche se le rivolte nel Cilento c’erano e il brigantaggio era sorto ben prima dell’arrivo dei piemontesi, gli mancarono i collegamenti e fu “intercettato” ben prima che se li potesse validamente trovare in loco. Ma non fu né un illuso né un idealista, e ciò è testimoniato dal fatto che le sue idee vennero poi riprese, anche se in altre forme e alla luce di ben altri eventi, da Salvemini e da Rosselli, i quali svolsero puntuali riflessioni e meditate analisi sulla necessità di un federalismo “dal basso” che cioè portasse alla diretta responsabilizzazione delle masse popolari nella gestione del territorio in modo partecipato e democratico, oltre che responsabile. E’ stata l’imposizione di uno stato centralizzato e di fatto antidemocratico che ha fatto proliferare mafie e corruttele. La Sicilia non conobbe mai un regime fiscale come quello che le fu imposto con l’arrivo dei piemontesi, i contadini, dopo l’unificazione, non riuscirono mai a comprare le terre confiscate ai nobili che se le ricomprarono, oppure furono acquisite dalla borghesia agraria che se ne arricchì sruttando ancor più intensamente le povere masse contadine. Nel Meridione fu imposta la tassa sul macinato, la coscrizione obbligatoria, i piemontesi vollero risanare i loro enormi debiti saccheggiando tutto il meridione d’Italia e operando delle vere e proprie stragi verso tutti coloro che si ribellavano, causando fenomeni come brigantaggio ed emigrazione che, in misura massiva, non c’erano mai stati in precedenza. L'impossibilità di rovesciare un potere calato dall’alto, e che è perdurato in forma diversa ben oltre lo stato “piemontese unitario”, con il fascismo e con un regime democristiano clientelare sempre privo di concreta alternativa politica, ha, di fatto, costretto la gran parte della popolazione, non solo del sud ma anche in altre parti d’Italia, a cercare una soluzione “di comodo” che portasse a trarre il maggiore utile personale dalla penetrazione in un sistema di fatto rigidamente feudale, governato da capi, capetti e capettini rigidamente obbedienti a consorterie di potere che hanno tuttora come principali referenti grandi centri economici e finanziari, tesi solamente allo sviluppo autoreferenziale dei loro profitti e che controllano largamente i principali mezzi di informazione. La Lega è nata come forma organizzata di resistenza popolare a questa tendenza centralista, anche se poi si è affermata con gli stessi metodi clientelari dei suoi antenati democristiani, e per puri fini occupazione del territorio, non per la sua emancipazione in senso autenticamente federalista e democratico. Ribaltare questo processo per tentare dunque il salto nel buio di un federalismo da operetta, o che sia perfettamente strumentalizzato da tali consorterie di potere feudale, non è affatto facile anzi è molto rischioso. Per cui ha ragione Scalfari quando, analizzando la contingenza, conclude rilevando che ciò che vi troviamo oggi “E' una rete difficilissima da rompere, dove il vero reato non è neppure più la corruzione ma l'associazione per delinquere, tanti sono i legami trasversali che intercorrono tra i membri delle cricche. Da questa Suburra parte, ahinoi, la marcia del federalismo italiano.” Ma non ha ragione a considerare che il “Il Risorgimento arrivò ultimo tra le nazioni d'Europa e non poteva che nascere in quel modo: centralizzato, tra nazioni già radicate nella storia e nella coscienza popolare. Se fosse nato su basi federali sarebbe stato spazzato via in un baleno.” Non arrivò ultimo perché scoppiò in contemporanea con altre nazioni, che però semplicemente partivano da prospettive storiche diverse; non sarebbe stato spazzato via in un baleno se fosse cresciuto "dal basso", perché avrebbe solo avuto referenti diversi e una base popolare di sostegno molto più forte, assieme ad energie che invece, con l’emigrazione che è seguita al modello centralizzato, sono state dissanguate nella fuga disperata di massa verso altri continenti. Persino gli Stati Uniti riconobbero, quando la loro storia era ancora esente da ambizioni imperialiste, la Repubblica Romana, salutando la sua nascita con la speranza che in Italia si mettesse in moto un processo analogo a quello che aveva portato alla loro emancipazione dal dominio coloniale inglese. L’Italia fu unita solo grazie ad appoggi internazionali: prima quello della Francia, le cui ambizioni crollarono con la fine di Napoleone III, e poi dell’Inghilterra che aveva grossi interessi nello sfruttamento dello zolfo nel Meridione ed ambiva a non avere rivali nel Mediterraneo. Per questo finanziò Garibaldi e, attraverso la Massoneria, corruppe sistematicamente gli ufficiali borbonici che gli si opposero. Lo stesso Mussolini entrò in guerra non tanto perché, come molti ancora credono, ritenesse ormai Hitler padrone d’Europa, ma perché gli inglesi bloccavano sistematicamente i collegamenti attraverso il canale di Suez tra l’Italia e le sue colonie nel Corno d’Africa. Perché l’Inghilterra non accettò mai un ruolo di protagonista dell’Italia nel Mediterraneo. Durante la guerra fredda sappiamo bene che l’Italia non ha mai smesso di essere teatro di una sorta di guerra civile strisciante tra scherani dell’impero sovietico e quelli dell’impero statunitense. Purtroppo le nostre stragi impunite ne sono una tragica testimonianza. Solo la nostra Costituzione ha saputo garantire pace ed equilibrio tra i contendenti, anche se nacque proprio da un compromesso tra loro, e non da un’autentica prospettiva di innovazione come, ad esempio, avrebbero voluto grandi personaggi del calibro di Leo Valiani. Adesso l’Italia rischia di spaccarsi di nuovo sotto la spinta di nuove guerre economiche, in particolare quella tra nord e sud del mondo, o quella monetaria tra euro e dollaro, per l’egemonia degli investimenti mondiali. Un nord agganciato all’euro, in una prospettiva, a medio termine, scissionista, ed un sud garantito solo dal dollaro e dalla conseguente presenza ferrea delle basi militari statunitensi, ma sempre più balcanizzato e crocevia di traffici di ogni sorta. Un sud che sarebbe costretto all’ennesima schiavitù, dopo quella romana, bizantina, araba, normanna, angioina, spagnola, borbonica, piemontese, fascista, democristiana..tralascio gli Svevi che forse furono la vera parentesi gloriosa del suo riscatto, non per niente in chiave contemporaneamente europea e mediterranea. Se davvero vogliamo scongiurare questa dannata ed ennesima prospettiva di sudditanza dobbiamo seriamente cercare di trovare un valido modello che sia proteso verso il rilancio della nostra civiltà. Ha ragione Scalfari quando dice che la grandezza dell’Italia è sempre stata dovuta a minoranze colte ed illuminate, così anche oggi la sua salvezza non può che dipendere da loro, sperando soltanto che la desertificazione culturale attualmente in corso, anche a causa dei tagli alla scuola, all’università e alla ricerca, e che accelera tali rovinosi fini scissionistici, non coinvolga del tutto le nuove generazioni. Purtroppo molti ragionano in termini di utile e coniugano il federalismo con l’egoismo personale o regionale, e con la più becera xenofobia. Esso invece coincide con una vera e propria rivoluzione culturale in grado di “prosciugare i pozzi” di una propaganda falsa e strumentale, in nome di autentici valori che sono profondamente radicati nella nostra storia e si trovano nel DNA di ciascun italiano. Gli stessi che non hanno mai smesso di animare la migliore tradizione socialista ed azionista italiana, da Pisacane a Salvemini, Rosselli, Calogero, Valiani.. Non per niente oggi la si vorrebbe rimuovere del tutto, annientando anche lo stesso nome del socialismo in Italia. Per questo la prospettiva federalista in Italia non può che essere socialista, e non può che passare attraverso lo scardinamento del feudalesimo partitocratico oggi imperante, dando vivo impulso ad una sorta di “rivoluzione dal basso”, come quella che si è prefigurata in Puglia contro gli stessi collusi addentellati neofeudali, monopolistici e clientelari di una falsa sinistra di una altrettanto falsa opposizione. E che potrebbe propagarsi, come esempio costruttivo, in tutta l’Italia La nostra attuale Lotta di Liberazione consiste dunque nel diffondere tali valori e tali esempi, e nel concretizzarli a beneficio di una Patria comune, in cui tutti gli italiani possano credere e riconoscersi, proprio perché protagonisti e non più sudditi, nell’ affermazione e nella testimonianza di quella che vogliamo debba essere ancora la nostra civiltà.

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