domenica 25 maggio 2008

Nuove generazioni e ruolo dei giovani nel PS

da www.mrsocialism.com

A malincuore, si è dovuto registrare, nel percorso Costituente, il fallimento di un tavolo comune e di un'intesa unitaria, nel vivaio socialista. La logica cooperativistica e la regola del "meno siamo e meglio stiamo" che hanno caratterizzato il clima e le scelte nel partito sono state adottate, purtroppo, anche all'interno del gruppo giovanile.

Causa che è da ascrivere alla continua strumentalizzazione della sua stessa utilità. La gestione ad usum delphini è stata finalizzata esclusivamente alla lottizzazione ed alla conquista di ipotetiche "quote bebè" nel futuro organigramma del Partito, anziché progettare risposte concrete per una generazione in oggettiva difficoltà.

La prima querelle è sorta già sulla tempistica della nascita del movimento giovanile. E' inaccettabile ed irricevibile, oltre che illogico, costruire una struttura giovanile, senza ancora la presenza di un Partito. Neanche i progressi della scienza sono stati in grado di mettere alla luce un pargolo prima dei propri genitori.

A danno della crescita complessiva del partito, si è impedita, inoltre la condivisione comune di scelte in merito al tesseramento(aggiuntivo rispetto a quello del partito e quindi esoso e poco accessibile per i giovani) ed alla linea politica (esclusivamente imperniata su tre punti: laicità, laicità, laicità); annientando, di fatto, i criteri di collegialità, pluralità, democrazia e pari dignità (doverosamente fisiologici nelle nuove generazioni).

Un'altra occasione persa, a vantaggio della più becera ed interessata miopia e delle logiche decisionali di stampo oligarchico.

Bisognerebbe comprendere che il target(cui farebbe riferimento una struttura "under" socialista) del futuro elettore è da ricostruire in toto, perchè non ha potuto conoscere il PS(i), per limiti generazionali. Pertanto ci attenderà una strada ancora più in salita. Soltanto un percorso palingenetico di costituzione di un movimento giovanile partecipato, che rappresenti un luogo di confronto, dibattito ed aggregazione, un laboratorio in divenire di idee, una palestra di vita, potrà dare risposte positive, formando un'idonea classe dirigente futura.

Oggi, però, nelle sconcertanti condizioni in cui versa il nostro Partito, che, agonizzante, lotta per la sopravvivenza, è più che mai essenziale che le nuove leve rivestano un ruolo organico nel partito per rilanciare una prospettiva d'avvenire. Prioritario, uno sblocco delle energie fresche e dinamiche, a tutti i livelli, centrali, locali e periferici, agevolando ed alimentando la formazione "sul campo" dei prossimi quadri.

Lungi dal caldeggiare rigurgiti giovanilistici, riteniamo fondamentale la valorizzazione e l'ottimizzazione immediata delle risorse più giovani al fine in primis di aggiornare linguaggi, metodi e messaggi(e quindi svecchiando l'immagine logora che la collettività attribuisce al nostro partito), conquistando così la fiducia e l'attenzione di una più larga parte dell'opinione pubblica.

In definitiva, in un partito che deve essere rilanciato vi è la necessità di un ricambio guidato ed intelligente, con l'opportunità immediata di costituire un progetto che si sintetizzi con una squadra, che sia un mix virtuoso tra esperienza e novità(che sia indirizzata prevalentemente all'aspetto organizzativo). Parallelamente si dovrà abolire l'attuale struttura giovanile e ripensare strutturalmente una rinnovata piattaforma di intervento mirato, volto a ramificare la cultura socialista negli ambienti didattici ed accademici, a partire dai luoghi di formazione primaria.

Il vuoto che possiamo colmare ed i contenuti

Interrogarsi sul ruolo del PS nel panorama politico italiano vuol dire più in generale chiedersi quale sia la funzione dei partiti politici odierni. L'autoreferenzialità sembra essere diventata la cifra caratteristica della classe dirigente del nostro Paese. La società di oggi, sfiduciata, fatica ad individuare riferimenti politici in grado di recepire le proprie istanze ed offrire le adeguate soluzioni.

L'opinione pubblica è diventata pertanto diffidente, guardinga ed esigente, non si accontenta più di slogan pubblicitari. Non basta più la formula "scuola pubblica, scuola pubblica, scuola pubblica" ma sovente si esige un approfondimento tecnico ed una competenza settoriale spesso carente nella nostra classe politica. Tale falla rappresenta una delle chiavi di lettura che fa avanzare i fenomeni del populismo e del qualunquismo ( vedi il "grillismo", l'affermazione del PM d'assalto Di Pietro e il libro La Casta) perché retrocede la politica in senso alto, che scalda i cuori ed elabora opportune ricette. Occorre dunque differenziarsi nei metodi, accogliendo i contributi che vengono dalla società, puntando a coinvolgere energie intellettuali esterne al partito, liberando risorse altrimenti inespresse. Un esempio felice in tal senso è stato quello delle "Primarie delle Idee", rimasto purtroppo un episodio isolato nel percorso della Costituente. Questo esempio che rimarca la mancanza di sintesi programmatica e testimonia ulteriormente la latitanza di una reale volontà inclusiva dei vertici del PS, a riprova del fatto che da parte della solita elitè, non si era scelta la cultura del progetto e la via dell'autonomismo per poter rimanere subalterni ai "padroni" del PD.

Ripartiamo dai contenuti. La sentenza elettorale ci dimostra che l'elettore tende sempre più ad anteporre la tutela dei propri legittimi interessi alla propria connotazione ideologica.

Proprio perché il pragmatismo ha oggi la meglio sull'ideologia, pur mantenendo la nostra identità, dobbiamo puntare ad individuare interlocutori e istanze non rappresentati dall'attuale offerta politica: pensiamo sia a determinate frange della società, come settori del mondo della piccola e media impresa, l'universo dei giovani ricercatori e dei docenti, l'artigianato dell'eccellenza e del made in Italy, sia a nuove categorie di cittadini per certi aspetti trasversali, come ad esempio i lavoratori-pendolari e il popolo, variegato e disomogeneo, delle Partite Iva.

Basta con scarni richiami ad un laicismo dogmatico e fondamentalista, che così radicalmente espresso, non è proprio del dna socialista, né tantomeno figlio della cultura liberale. Porre tra le priorità assolute, la questione sociale. Trattando tale questione così delicata e complessa, non possiamo prescindere da un consolidato e virtuoso rapporto di collaborazione con il sindacato riformista a noi più vicino, l'UIL. Dobbiamo palesare la volontà ineludibile di rappresentare tenacemente le istanze dell' "under-class", dei deboli, degli emarginati e degli ultimi, scardinando il muro incrostato dell'indifferenza e delle caste. Lobbies, che nel nostro Paese condizionano massicciamente l'assetto economico e l'impianto sociale, immobilizzando lo sviluppo, arrestando la crescita e limitando una più equa ed efficiente distribuzione, all'insegna della speculare conservazione dello status quo.

Uno dei rimedi democratici e percorribili per debellare l'immobilismo dell'autotutela dei privilegi, è una netta scelta di una politica fondata sulle liberalizzazioni e sulle deregolamentazioni di mercato. Soprattutto in quei settori, in cui vige un sistema di monopolio, che ricatta le tasche del cittadino. Uno dei ruoli che lo Stato deve rivestire in questa transizione è quello di sorvegliare le regole della liberalizzazione in modo da creare una dimensione in cui vi sia una giusta e reale concorrenza; col risultato di trasferire le rendite di cui godevano alcune categorie privilegiate, al consumatore.

Ricominciare ad essere i vigilanti per antonomasia dell'articolo 1 della nostra Costituzione, in tutte le forme fisiologiche del mercato professionale. Votati alla flessibilità ed all'opportunità, non senza coniugarne le dovute garanzie(riappropriamoci dei meriti storici di una figura importante come Giacomo Brodolini e non continuiamo a farci scippare la lungimiranza di Marco Biagi, che ha pagato con la vita la modernità delle sue idee; idee di un socialista).

Acquisire, e ricodificare la cultura della mobilità sociale, fattore socio-economico organico dell'era post-industriale.

Purtroppo la "mobilità sociale", una parola difficile, che in Italia quasi non esiste. E non è una bella scoperta. Nel nostro Paese, il 40% dei figli, fa lo stesso lavoro del padre. Solo uno su 10 è "mobile", nel senso che cerca la propria strada autonomamente. Indice, peraltro, che denota palesemente l'esistenza stagnante di una logica corporativista. Ma tale inadeguatezza sociale proviene da molto lontano, già dall'impianto didattico che incontriamo nella fase adolescenziale e via crescendo e da una concezione sociologico-generazionale che è incline talvolta alla fannulloneria ed alla staticità.

Per debellare queste carenze, occorre puntare sul merito, attuando un percorso capillare e pragmatico, di lungo respiro. La cultura del cambiamento, della mobilità, dell'internazionalità e dell'interdisciplinarietà, divengono quanto mai necessarie per dotarsi di una specializzazione flessibile in grado di intercettare il turbinio dei mutamenti..

Lo studente-lavoratore di oggi e di domani deve essere anche un cittadino con una cultura politica per partecipare alle grandi scelte nella società e nell'azienda, avere una cultura storico-internazionale per combattere ignoranza e razzismo, cambiare lavoro più volte nel corso della carriera e quindi studiare tutta la vita per non essere emarginato (e disoccupato) dai grandi cambiamenti, anzi per progettarli e realizzarli. Peccato che ciò non avvenga, infatti la realtà ci comunica che un giovane, una volta che entra nel mercato, smette di investire nella propria formazione, rischiando di rimanere indietro e non conoscere le nuove tecnologie e teorie. Mentre nei Paesi Scandinavi la media è mille ore di formazione durante la vita lavorativa, in Francia sono 713, nei Paesi Ocse 390, in Italia sono appena 82.
Ne consegue che se in Europa il tasso di disoccupazione dei neolaureati è del 5%, in Italia è di ben il 13,9%. Il che vuol dire che ogni volta che si incontra in Europa un ragazzo senza lavoro, nel nostro Paese se ne incontrano tre, il triplo.

La salute ed il benessere devono rappresentare le condizioni da tutelare irrimandabilmente e costantemente. Se c'è ancora una branca, in cui la sinistra, anche quella riformista e liberale, vale la propria definizione, con la scelta dell'opzione della "mano dello stato", è la sanità. Sanità efficiente, sanità per tutti. Un settore da ripensare e riprogettare strutturalmente. Dall'incremento ingente delle somme destinate alla ricerca scientifico-sanitaria; all'abbattimento delle liste d'attesa, mediante la digitalizzazione; alle modalità di selezione dei manager, primari e coloro che posseggono responsabilità rilevanti (non si può lottizzare sulla vita delle persone). Basta con l'inoperosità ed oziosità degli "addetti ai lavori", basta con i medici con la tessera di partito. Ripristinare un giusto metro incardinato sulle capacità.

In senso più esteso, per condurre il nostro Paese fuori da un cono d'ombra rappresentato da una prospettiva ineludibile e probabilmente irreversibile, di recessione economica, sociale e culturale, urge ripensare ad una grande riforma strutturale e capillare. La chiave di volta dovrà essere un progetto ragionato e pragmatico di lungo respiro, fondato sulla promozione dei meriti e sulla salvaguardia dei bisogni.

Non più soluzioni una tantum, né "maquillage-contentino". Occorrerà snellire drasticamente la macchina burocratica delle procedure e dei costi e decentralizzare varie competenze in senso virtuoso ed in base al principio di sussidiarietà orizzontale. Bisognerà mettere in campo le migliori "teste", avere grande senso di responsabilità ed incamminarci in percorsi coraggiosi, figli della cultura del fare, in direzione di uno sviluppo attento e affidabile. Saranno questi i requisiti minimi di comportamento per riprendere il cammino di modernità e crescita, in linea con gli altri principali Paesi europei.
Evitiamo gli errori del passato

Il Partito Socialista che si appresta a celebrare il suo congresso fondativo deve innanzitutto fare chiarezza su cosa sia attualmente, per evitare di confondere un'immagine edulcorata di se stesso con la realtà e trarne illusorie speranze anche in termini di aspettative elettorali.

La prima, più evidente, necessità per il PS è indubbiamente un efficace e necessario ricambio di un gruppo dirigente che ha mostrato, prima e durante la campagna elettorale, tutti i propri limiti. Abbiamo già analizzato come la gestione del PS, principalmente se non esclusivamente demandata alla solita ristrettissima cerchia, sia stata fin dal principio votata al fallimento.

A ben vedere però, salvo limitate eccezioni, e con le necessarie differenze in termini di responsabilità politiche, è tutto il gruppo dirigente emerso nella stagione della diaspora a palesare difficoltà e legnosità in questa fase, non essendo aggiornato adeguatamente per intercettare le dinamiche di rapidi cambiamenti di una società in continuo divenire. Appare così in tutta la sua gravità il disastroso effetto del biennio di tangentopoli che ha di fatto eliminato una generazione di militanti, i quarantenni, che avrebbero potuto in una situazione di forte difficoltà come questa, prendere in mano il partito.

Questo gigantesco gap generazionale rende automaticamente un po' ridicolo e inutile qualunque richiamo a un giovanilismo che proponga un ricambio completo della dirigenza senza che alternative concrete siano realmente disponibili.

Non c'è solo il problema della leadership; il PS è un partito che fondamentalmente mantiene un organizzazione territoriale che ricalca quella del partito di Nenni e Craxi, non solo dunque fermo a qualche decennio fa, ma ulteriormente indebolito.

Oggi, a quasi quindici anni dalla fine del PSI, quella struttura un tempo capillare, copre solo a macchia di leopardo il territorio nazionale, risultando praticamente assente in molte realtà importanti del Paese. ( si pensi a varie aree del Nord).

Il post-tangentopoli ha anche azzerato la capacità politica e la forza elettorale. I vari spezzoni della diaspora, per molteplici ragioni, con la perdita dell'autonomia politica hanno arrancato nello sviluppo ed elaborazione di una piattaforma culturale e programmatica aggiornata. Si è perpetuata una politica di sufficienza, mirata all'autoconservazione, nel nostro piccolo in sintonia con la cultura del non governo che ha caratterizzato questo quindicennio seguito al crollo della Prima Repubblica.

Abbiamo assistito ad un vero e proprio impoverimento delle capacità politiche dei quadri locali e nazionali, sia dal punto di vista culturale, che delle capacità organizzative, strategiche, di analisi, e di comunicazione.

Si è di conseguenza man mano persa ogni forma di rapporto, più o meno organico, con la società; sono spariti gli interlocutori nel mondo intellettuale, nel panorama dell'informazione, tra le associazioni di categoria, nei vari apparati produttivi. Si è disperso anche un patrimonio di competenze tecniche e settoriali vicini alla nostra sensibilità politico-culturale.

Causa principale di tali debolezze, l'infelice assunto del "meno siamo meglio stiamo" che per troppo tempo è stato la stella polare dell'azione politica dei dirigenti socialisti.

Ancora, fattore piuttosto penalizzante è l'assenza di un organo di stampa di riferimento funzionale sia alla divulgazione e comunicazione verso l'interno, fungendo da filtro nei rapporti centro-periferia, sia verso l'esterno, raggiungendo l'opinione pubblica e le varie sfere della società.

Proposte e "crash program"

E' obbligatorio e necessario, prima di avviare "pseudo mini-cantieri o abbandonare armi e bagagli, traghettando la comunità socialista in lidi confusi e inappropriati", occorre in primis riacquisire dignità e dare forma e corpo a questo partito. Nell'era di My Space e di Second Life diviene basilare dotarsi di una forma chiara e moderna e di una connotazione snella, dinamica e costante. Un partito, dimensione "I-Pod", compagno di viaggio assiduo, affidabile ed a portata di click. E' opportuno, dunque, assimilare e dotarsi di uno spirito garibaldino(coscienti che ad oggi rappresentiamo un partito "semi extraparlamentare"), che pur non sfociando nel movimentismo zotico, sia antitetico alla "staticità da Palazzo". Occorre aggiornare linguaggi e lessico e ramificarsi con efficacia nel mondo del web e della realtà virtuale, "bucando" ogni possibile spazio per favorire dibattiti a 360°.

Perseguire ed applicare al meglio la regola delle "3F": fare, fare bene e far sapere. Costanza, settorialità, continuità e sistematicità dovranno essere le parole d'ordine per l'ottimizzazione dell'azione e degli indirizzi del nuovo partito che ci accingiamo a costituire. Pianificare l'operato quotidiano, calibrandolo in commissioni di lavoro permanenti, aventi come metro di selezione i principi di merito, competenza e specificità. In tal senso, ad esempio, sarebbe auspicabile la nascita di gruppi quotidiani e volontari di lettura nelle singole realtà, al fine di individuare sugli organi di stampa, eventuali spazi in cui i nostri referenti territoriali possano elaborare comunicati e fornire pubblicamente soluzioni. Così avremmo un effetto di credibilità da parte dell'opinione pubblica, che avvertirebbe l'iniziativa del PS non più come un'entità sommersa o meramente strumentale, un iceberg senza punta. Quindi non più una comunità votata all'analisi politica fine a se stessa e scollata dalla cittadinanza, ma una prospettiva tangibile di vicinanza al territorio ed al termometro popolare. E' fondamentale riuscire a "colpire l'obiettivo", ossia far sì che i nostri messaggi raggiungano adeguatamente l'utenza.

Per consentire la divulgazione e la penetrazione dell'identità socialista nel nostro Paese, è basilare costruire un nuova rete di collegamenti tra il nostro partito ed il mondo dell'associazionismo. Pensiamo alla creazione di associazioni ricreative(ad esempio l'Acsi), di volontariato e di consulenza. In tal modo si potrà riedificare un sostanziale substrato culturale, partner dell'area socialista, teso ad accrescere nel futuro.

Per quanto attiene la sfera amministrativa, si deve pensare a forme di raccordo e cooperazione tra i nostri rappresentanti nelle istituzioni e realtà locali, in modo tale che ciascuno di essi possa attingere alle migliori proposte avanzate, rimarcando e denotando ulteriormente le caratteristiche del Partito Socialista. Nascerà così un network di "best practice", che potranno essere applicate anche in territori differenti, pur con le dovute peculiarità, ma comunque nell'interesse della comunità.

Le necessarie risoluzioni per un rilancio dell'azione politica del Partito Socialista non possono prescindere da una seria analisi degli errori fin qui commessi, dai nostri attuali limiti per così dire "strutturali", sia da una riflessione su quella che può essere la funzione politica del partito nella società italiana.

Solo tenendo conto delle nostre caratteristiche e di quella della società in cui operiamo possiamo elaborare un'offerta politica consona alla situazione, allegando soluzioni e contributi calibrati, tesi al rilancio del progetto socialista.

Ci proponiamo di farlo con l'approccio semplice e sfrontato di chi non ha tanti anni d'esperienza sulle spalle , sperando di dare, col nostro contributo, un punto di vista diverso e forse, un po' "ribelle", coraggioso e dinamico.



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