sabato 22 agosto 2009

*L’AMMISSIONE DI PRODI E L’ANALISI DI SANSONETTI*

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Date: Sat, 22 Aug 2009 10:52:14 -0700 (PDT)
Subject: [PARTITO SOCIALISTA - SOCIALISMO MACERATESE] L'AMMISSIONE DI
PRODI E L'ANALIS...
To: ivocostamagna@gmail.com

L'AMMISSIONE DI PRODI E L'ANALISI DI SANSONETTI

Il Professore demolisce le basi politiche del suo governo e del
centrosinistra, mettendo in discussione la traduzione italiana del
riformismo. Non tarda l'intervento di Piero Sansonetti che trova nelle
parole di Prodi una storica ammissione.

"Prodi: Abbiamo sbagliato tutto"

di Piero Sansonetti da L'Altro del 18/08/2009

Diciotto mesi dopo la sua caduta in Senato, e cioè 18 mesi dopo la fine
del centrosinistra (dell'Unione, dell'Ulivo e tutto il resto) Romano
Prodi ha scritto un articolo, molto importante, per il Messaggero e ha
demolito le basi politiche del suo governo e del centrosinistra. Anzi
ha fatto di più: ha demolito l'intera esperienza di centrosinistra sul
piano europeo e forse mondiale. E ha affermato, con grande nettezza,
che è necessario, ai riformisti, cambiare del tutto strada, azzerare
l'idea dei compromessi con le politiche moderate, sfidare lo stesso
elettorato e prepararsi a progettare una società nuova che modifichi
sostanzialmente il capitalismo e la vecchia idea di società di mercato.
L'articolo di Prodi è uscito il giorno di Ferragosto ed è passato
abbastanza inosservato, ma è una vera e propria bomba, sul piano
politico. Se qualcuno leggesse quell'articolo senza conoscerne
l'autore, e poi gli fosse chiesto a bruciapelo: "chi l'ha scritto?" ,
risponderebbe a colpo sicuro: Bertinotti. Non penserebbe mai che invece
l'autore di una critica così feroce sia proprio il leader che guidò
quella esperienza, sia nella sua prima fase, dal 1996 al 1998, sia nel
tratto finale, dopo le elezioni del 2006 fino alla sconfitta definitiva
del febbraio 2008.

L'articolo sul Messaggero è molto significativo proprio perché è di
Prodi, ed è molto interessante perché mette in discussione tutto, ma
proprio tutto quello che il cosiddetto riformismo ha fatto in questi 13
anni. Mette in discussione persino la parola, la parola riformismo,
contestando l'ipotesi che il riformismo abbia tentato di compiere delle
riforme. No, dice Prodi, da quando è nato, e cioè subito dopo la caduta
del governo Thatcher in Gran Bretagna (poco dopo il ritiro di Reagan e
la sconfitta di Bush padre negli Stati Uniti) il centrosinistra europeo
"ha preso decisioni che non si discostavano da quelle precedenti, sul
dominio assoluto dei mercati, sul peggioramento nella distribuzione dei
redditi, sulle politiche europee, sul grande problema della pace e
della guerra, sui diritti dei cittadini e sulle politiche fiscali…". La
sostanza è questa. E forse la parte più interessante dell'articolo è la
parte finale, nella quale Prodi incita le forze politiche che si
richiamano al centrosinistra o al riformismo a gettare via tutta
l'eredità del passato e a ricominciare da capo a progettare una società
diversa da quella attuale. Anche a costo di di dover rinunciare a una
parte del proprio elettorato e di dover cercare nuovi pezzi di
elettorati in settori nuovi della società.

Cosa dice, in sostanza, Prodi? Quello che da un po' di tempo cercano di
dire gli esponenti più "illuminati" (per usare la vecchia terminologia
politica) della sinistra. Azzeriamo e proviamo a ricostruire una nuova
sinistra, non più divisa tra moderati e radicali e non più costretta a
schiacciarsi sul centro o addirittura sulla destra. E neppure -
viceversa - a invocare ogni piè sospinto la sua purezza rivoluzionaria.
Facciamo saltare le vecchie barriere politiche, azzeriamo i vecchi
campi degli schieramenti e delle vecchie correnti, e vediamo se
possiamo mettere insieme un progetto di riforma della società che non
dia per scontati i pilastri sui quali oggi si regge il capitalismo.
Cioè la dittatura del mercato e il valore-competitività.

Naturalmente si può rispondere a Prodi anche con stizza. Non è stato
forse lui a guidare l'esperienza, che oggi tratta persino con qualche
derisione, del cosiddetto "Ulivo mondiale"? E dunque non pensa di avere
qualche responsabilità nel suo fallimento, e di dover dire che aveva
torto quando respingeva con sdegno le osservazioni che gli venivano da
sinistra, sulla riforma del welfare, ad esempio, o sulla guerra, o
sulla mancanza di strategia e di progetto del suo governo?

Però, diciamoci la verità, è abbastanza difficile trovare tra i
dirigenti dei vari partiti di sinistra e di centrosinistra qualcuno che
sia senza colpe, privo di responsabilità per la sconfitta. E allora,
magari, possiamo anche dirci: chissenefrega, oggi, della ricerca dei
colpevoli o dei "più colpevoli". E' l'ora forse, di interrompere il
processo ai responsabili e le accuse reciproche. E persino è l'ora di
sospendere la tiritera sulla necessità di una nuova generazione
dirigente, e sull'accantonamento dei vecchi eccetera eccetera. Se c'è
una nuova generazione dirigente, benissimo, facciamogli spazio. Ma non
stiamo a trasformare il rinnovamento politico in un controllo delle
carte d'identità e della data di nascita, piuttosto prendiamo per buona
l'analisi di Prodi e vediamo se ci sono le forze sufficienti per
rifondare un centrosinistra che rinunci alle attrazioni fatali verso
Berlusconi (il moderatismo veltroniano ) e si proponga non come pura e
semplice forza di governo, ma come forza di governo del cambiamento, e
cioè di un progetto politico che porti ad un ridimensionamento del
mercato, a una fortissima riduzione delle differenze sociali, e ad un
netto innalzamento delle libertà.

"Riformisti, il coraggio di parlare controcorrente"

di Romano Prodi da Il Messaggero del 14/08/2009

Il dibattito sulla crisi del riformismo in Europa ha tenuto banco per
qualche settimana dopo le elezioni europee. Poi è sparito nel nulla
senza aver prodotto alcun apparente risultato. Lontano dalle polemiche
elettorali e favoriti dalla quiete estiva conviene ritornare
sull'argomento.

Che i partiti riformisti siano in profonda crisi non è contestabile: il
centro-sinistra è stato sconfitto nella maggioranza dei paesi europei
proprio durante una crisi economica che ha rivalutato molte delle
proposte che erano tipiche di questi partiti. Per spiegare questo
paradosso conviene fare qualche passo indietro e ritornare al momento
in cui, dopo un lungo periodo in cui la politica mondiale era stata
dominata dal binomio Reagan-Thatcher, la situazione si rovesciò con la
vittoria di Blair che sembrava in grado di cambiare i destini europei
con il new labour, la terza via che avrebbe dovuto rinnovare il
riformismo europeo e lo schema politico mondiale collegandosi con le
novità che Clinton proponeva negli Stati Uniti.

Con un pizzico di esagerazione, ma anche per esaltare il ruolo italiano
in questo processo, si era arrivati perfino a parlare di "ulivo
mondiale". La causa della sconfitta di questa grande stagione è da
individuare nel fatto che, mentre in teoria il nuovo labour e l'ulivo
mondiale erano una fucina di novità, nella prassi di governo di Tony
Blair e i governi che ad esso si erano ispirati si limitavano ad
imitare le precedenti politiche dei conservatori inseguendone i
contenuti e accontentandosi di un nuovo linguaggio. Sul dominio
assoluto dei mercati, sul peggioramento nella distribuzione dei
redditi, sulle politiche europee, sul grande problema della pace e
della guerra, sui diritti dei cittadini e sulle politiche fiscali le
decisioni non si discostavano spesso da quelle precedenti. Il messaggio
lanciato all'elettore era il più delle volte dedicato a dimostrare che
il modo di governare sarebbe stato migliore. Nel frattempo il
cambiamento della società continuava secondo le linee precedenti: una
crescente disparità nelle distribuzione dei redditi, un dominio
assoluto e incontrastato del mercato, un diffuso disprezzo del ruolo
dello Stato e dell'uso delle politiche fiscali, una presenza sempre più
limitata degli interventi pubblici di carattere sociale.

Vent'anni fa una mia semplice osservazione che la differenza di
remunerazione da uno a quaranta tra il direttore e gli operai di una
stessa azienda era eccessiva, aveva causato scandali e discussioni a
non finire. Oggi nessuno si stupisce del fatto che questa differenza
sia in molti casi da uno a quattrocento. Durante il momento più acuto
della presente crisi abbiamo assistito a una breve fase di sdegno nei
confronti della remunerazione di alcuni dirigenti, ma poi tutto è stato
dimenticato.

Come se vivessimo in una società immutabile, come se la realtà
esistente e le convinzioni dell'opinione pubblica fossero così forti da
non essere riformabili. Il riformismo ha cioè perso la fiducia in se
stesso e preferisce inseguire le piattaforme e i programmi degli altri,
pensando che, per rovesciare le fortune elettorali, sia sufficiente
criticare gli errori e i comportamenti dei governanti. A cambiare gli
equilibri politici tutto ciò non basta, anche perché la rapidità con
cui gli "estremisti" del mercato si sono impadroniti del linguaggio dei
riformisti è davvero degna di un premio Nobel.

Per vincere i riformisti debbono elaborare nuove idee e nuovi progetti
su tutti i temi elencati in precedenza. Ribadendo con forza il ruolo
dello Stato come regolatore di un mercato finalmente pulito.
Approfondendo i modi e gli strumenti attraverso i quali i cittadini
abbiano uguali prospettive di fronte alla vita. Rinnovando il
funzionamento del sistema scolastico, della ricerca scientifica e del
sistema sanitario. Ripensando al grande processo di superamento del
nuovo nazionalismo politico ed economico con una forte adesione agli
obiettivi di coesione europea e di solidarietà internazionale. Non
avendo paura di denunciare i tanti aspetti riguardo ai quali il
capitalismo deve profondamente riformarsi. Non accontentandosi di
mostrare un giorno la faccia feroce e il giorno dopo un viso sorridente
verso gli immigrati, ma preparando una organica politica di legalità ed
accoglienza.

Mi rendo conto che tutto ciò significa avere il coraggio di scontentare
molti e aver la forza di scomporre e ricomporre il proprio
elettorato.Mi rendo conto che nessun politico affronta a cuor leggero
questa azione di scomposizione e ricomposizione, ma mi rendo anche
conto che la crisi economica sta cambiando percezioni e mentalità. Essa
rende più accettabili le proposte innovative e coraggiose che il
centro-sinistra deve elaborare per essere ritenuto in grado di
governare la nostra società. Un compito difficile, tutto in salita e,
in una prima fase, addirittura contro corrente. Tuttavia chi non è
capace di nuotare contro corrente non sarà mai in grado di risalire un
fiume.
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Postato da Webmaster su PARTITO SOCIALISTA - SOCIALISMO MACERATESE il
8/21/2009 07:45:00 AM


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Ivo Costamagna
--
ps-macerata.blogspot.com

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