domenica 1 agosto 2010

*GOVERNO DEL FARE, CHE COSA RESTA?* - di Angelo Panebianco

IL RISCHIO DI RIPETERE L'ESPERIENZA DI PRODI

Governo del fare, che cosa resta?


I numeri sembrano dare ragione a Fini e torto a Berlusconi. Con un
gruppo parlamentare di più di 30 deputati, più numeroso del previsto,
il Presidente della Camera è ora in grado, plausibilmente, di ridurre
l'(ex) fortissimo governo Berlusconi nelle condizioni in cui si trovava
il precedente, fin dall'origine debolissimo, governo Prodi: una
maggioranza troppo risicata, margini di manovra troppo stretti, una
navigazione parlamentare disseminata di ostacoli.

Tanto più che Fini, pur promettendo formalmente una sorta di «appoggio
esterno» al governo,
ha messo in chiaro che intende tenersi le mani libere sui temi che
contano, dalla «legalità» (leggi: intercettazioni e riforma della
giustizia) alle questioni che toccano l'unità nazionale (leggi:
federalismo fiscale). In queste condizioni che cosa resterà, nei
prossimi mesi, di quel «governo del fare » che Berlusconi aveva
promesso ai suoi elettori?
E, inoltre, sarà disponibile Bossi a mantenere il sostegno a un
governo che risultasse privo della forza
necessaria per attuare il federalismo fiscale?


E non è solo una questione di numeri parlamentari.
Ci sono anche i tanti effetti collaterali della fine del Popolo della
Libertà nella sua versione originaria. È l'intero sistema politico che
viene rimesso in moto, con conseguenze imprevedibili. È da vedere se
Berlusconi avrà la forza per predisporre argini sufficientemente alti
a
difesa del governo.

La principale conseguenza «sistemica» della rottura fra Berlusconi e
Fini potrebbe essere quella di ridare rapidamente peso
politico e importanza a un «luogo», per lungo tempo messo da parte,
anche se mai spazzato via del tutto, dal sistema bipolare: il CENTRO.

Vediamo perché.

Con la fine del Popolo della Libertà suonano le campane
a morto anche per il Partito Democratico. Le due aggregazioni nemiche
si sorreggevano a vicenda. La fine dell'una annuncia la fine
dell'altra. Il Partito Democratico, del resto, era ormai sfibrato da
troppe sconfitte e da troppe risse interne. Adesso che il Popolo della
Libertà si è diviso, non c'è più alcun collante che possa tenerlo
insieme. Il Segretario del PD, Bersani, lo sa. Per questo avrebbe
bisogno (ma difficilmente la otterrà) di una immediata crisi di
governo che lo rimetta in gioco.

Salgono le azioni di Casini (corteggiatissimo
da Berlusconi) e dell'Udc. E il «centro» può diventare una calamita
capace di attirare molti potenziali transfughi del PD.
È possibile che in tempi rapidi, qualche mese al massimo, il centro,
ossia l'area parlamentare che sta in mezzo fra Berlusconi e la
sinistra, diventi piuttosto affollato. Anche perché l'avvenuto
indebolimento parlamentare del governo apre per quest'area spazi fino
a ieri insperati di manovra e di negoziazione.
Chi scrive pensa che, pur con tutti i difetti manifestati, il sistema
bipolare sia il più utile per il Paese.
L'attuale legge elettorale premia le coalizioni contrapposte ma le
leggi elettorali difficilmente resistono a cambiamenti troppo radicali
degli equilibri politici.


Nei prossimi mesi ci saranno due aspetti da
tenere d'occhio. Si tratterà di capire, in primo luogo, se Berlusconi
potrà ancora attingere a una qualche riserva di risorse che gli
consenta di governare il Paese pur nelle mutate condizioni. Si
tratterà, in secondo luogo, di valutare le conseguenze sistemiche
della rottura fra Berlusconi e Fini. Bisognerà, cioè, capire se questo
divorzio
risulterà, alla fine, un episodio importante ma dagli effetti
circoscritti oppure, come sembra più plausibile, il punto di avvio di
una valanga destinata a investire e, forse, a travolgere l'intero
sistema politico attuale.

ANGELO PANEBIANCO

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