sabato 7 agosto 2010

*NULLA PIU COME PRIMA....ELEZIONI IL 19 NOVEMBRE. BUONE VACANZE*

Berlusconi ha toccato con mano il disastro, s’è reso conto che il suo regno ha le settimane contate. Non gli serviva un pallottoliere per scoprire che «opposizione più astensioni uguale governo in minoranza». Ma un conto è ragionare di numeri in astratto, altro è viverli nell’emiciclo: questione di adrenalina, di percezioni fisiche tipo quelle che prova chi si trova a sedere sotto lo scranno del rivale…

Subito dopo il voto, Berlusconi è una furia. Si sfoga con gli amici, non trattiene il fiume dello sconforto: «Una cosa del genere», ripete scuotendo la testa quasi fosse un automa, «non l’avrei mai immaginata. Eravamo il governo più forte e stabile del continente, un punto di riferimento all’estero da tutti invidiato. Ora guardate in che stato siamo ridotti, giudicate voi che devastazione ha prodotto Fini. Con l’aggravante che non se ne riesce a comprendere la motivazione, per quale motivo l’abbia fatto».

Non si dà pace il premier, e l’impatto con la cruda realtà spazza via tutte le false illusioni, gli ottimismi di maniera sparsi a piene mani la sera prima durante un cocktail nel castello di Tor Crescenza. Con le deputate a lui rimaste fedeli il Cavaliere era stato prodigo di anelli e bracciali, ma soprattutto rassicurante: «Il mio governo andrà avanti, non c’è spazio per soluzioni tecniche che falserebbero la volontà degli elettori, le elezioni sono solo un’extrema ratio perché l’Europa ci chiede stabilità, ce la chiedono le agenzie di rating, una crisi avrebbe percussioni molto negative sulla nostra economia».

Ora, dopo il voto su Caliendo, il clima appare radicalmente cambiato. Altro che rosee prospettive di governo, Berlusconi è il primo a non crederci più. Le elezioni anticipate tornano ad essere la sua principale e, forse, unica opzione. «Teniamoci pronti» dice a sera ai deputati. E poco parla di Fini, e del caso Montecarlo, senza citarlo mai: «C’è qualcuno che nutre speranze nei confronti di un leader che è al centro di notizie poco chiare e che dovrebbe spiegare». Riunito con i gerarchi nel bunker di Palazzo Grazioli, il premier studia all’ora di pranzo i piani di battaglia. Non uno dei presenti, da Cicchitto a Quagliariello allo stesso Tremonti, giudica percorribile la via della tregua armata con Fini. Semmai Berlusconi assiste alla gara tra chi è più falco e intransigente. Esemplare il discorso di Gasparri, presidente dei senatori: «Quali sono le alternative al voto anticipato? Io non le vedo. A settembre ci ritroveremo nelle stesse condizioni di adesso, forse peggio. Dovremo negoziare qualsiasi cosa con Fini, il cui obiettivo strategico è solo il nostro smantellamento, attraverso nuove leggi elettorali o governi istituzionali…».

Nessuno sfoglia il calendario, ma è chiaro che metà novembre (magari il 19) sarebbe la data ideale per chiamare gli italiani alle urne. Chi ha avuto contatti col Pd (Tremonti, Bonaiuti) riferisce al Capo le preoccupazioni di Bersani: le elezioni coglierebbero di sprovvista anche loro, al Botteghino le eviterebbero volentieri, però sono impotenti, mica possono sostenere il governo nelle leggi «ad personam» sulla giustizia.

Letta ha sentito il Presidente della Repubblica, ne ha colto dalla viva voce la preoccupazione. Da Stromboli, Napolitano raccomanda «prudenza e testa fredda», si sa che non accetterebbe crisi di governo fuori del Parlamento, bisogna quantomeno aspettare che le Camere riaprano a settembre, sperando che il time-out serva a chiarire le idee di tutti i protagonisti.

Di qui ad allora, Berlusconi proverà a dare la scossa al partito, preparandolo alla battaglia finale. Via la vecchia guardia di generali stanchi e sfiduciati, come l’ultimo Bonaparte anche Silvio ama i giovani e gli entusiasti. Vorrebbe sostituire i «triumviri» (Bondi, Verdini e La Russa) con facce più televisive, e chi l’ha sentito l’altra sera a Tor Crescenza è sicuro di aver individuato i prescelti: sarebbero Alfano, la Gelmini e (per dare rappresentanza alla truppa ex-An) la Meloni. Sennonché il desiderio del leader cozza con la realtà, perché deludere La Russa significherebbe regalare altri 30 deputati e senatori a Fini proprio nel momento più delicato.

Grande è la confusione sotto il cielo. Per i centristi la situazione è eccellente.


ON. BIAGIO MARZO

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