domenica 9 gennaio 2011

L'Accordo FIAT : La conseguenza forzata di una soluzione finanziaria che anticipa la fine della Democrazia Conflittuale

L'Accordo FIAT : La conseguenza forzata di una soluzione finanziaria che anticipa la fine della Democrazia Conflittuale.

di Franco Bartolomei

1) L’accordo Mirafiori, sottoscritto da tutte le sigle sindacali con la rilevantissima eccezione della Fiom, rappresenta un momento cruciale della gravissima crisi che il movimento sindacale da tempo attraversa.

Questo accordo assume un significato che travalica largamente il merito dei risvolti sindacali del progetto aziendale Fiat, potendo rappresentare, sul terreno delle relazioni industriali, l'anticipazione di un disegno piu’ generale di riorganizzazione della Societa’, come risposta da destra alla crisi, fondato sulla abolizione del conflitto sociale e sulla soppressione totale della automia dei soggetti sociali, in nome di una idea della rappresentanze come esclusivo momento interno ad una gestione sostanzialmente forzosa degli equilibri economici , finanziari e sociali, esistenti, predeterminati da processi decisionali riservati in gran parte a tecnostrutture esterne alle sedi istituzionali deputate alla espressione della sovranita’ popolare.

Appare assolutamente evidente che questo possibile scenario pone la sinistra italiana nella necessita’ di rilanciare in alternativa la visione costituzionale di una democrazia conflittuale, che rappresenta e governa democraticamente le rivendicazioni e le spinte sociali, autonomamente e liberamente espresse, lavorando per assorbirne le istanze all’interno di soluzioni di governo affidate al quadro istituzionale.

Per rispondere a questo insidioso disegno diretto a modificare i caratteri sostanziali della nostra Democrazia.

Allo stesso modo il sindacato deve sviluppare una nuova capacita’ di essere classe dirigente complessiva dei processi aziendali ed economici, come espressione organizzata di una coscienza sociale alternativa del mondo del lavoro, che lo renda in grado di comprendere e governare, da sinistra, le scelte di modello necessarie a proteggere la funzionalita’, l’equilibrio e l’impianto democratico del nostro assetto sociale.

Questa duplice riappropiazione di cultura di governo e di identita’ alternativa, puo’ consentire quella ripresa di una capacita’ di rappresentanza sociale e di proposta che puo’ evitare l’affermazione, come nel caso Fiat, di soluzioni aziendali unilaterali ai problemi del rilancio produttivo che rischiano di produrre drammatici arretramenti nelle condizioni di lavoro e gravi limitazioni dei diritti.

2) Attraverso l’operazione Crysler la Fiat affronta in effetti i problemi derivanti dalla crisi globale con un progetto di riorganizzazione aziendale caratterizzato da un livello qualitativo sicuramente superiore a quello delle risposte adottate in passato da tante altre realta’ imprenditoriali, che hanno guadagnato enormemente in questi anni su una delocalizzazione nel terzo mondo delle produzioni , e sul contemporaneo impiego in speculazioni finanziarie dei profitti ottenuti non reinvestiti in innovazione nelle loro aziende.

Fiat al contrario gioca sull’ingresso nel mercato Nord- Americano tutte le sue carte nella partita per la sua permanenza tra i 7/8 player mondiali dell'auto che sopravviveranno nei prossimi 10 anni . sfruttando le opportunita’ , le disponibilita’ finanziarie , e le agevolazioni ad essa offerte dal governo americano per l’acquisto della maggioranza di CRYSLER, come contropartita del fatto che il management di Torino cercasse di risolvere la gestione fallimentare del precedente management di Detroit, ed a condizione che venisse introdotta nel mercato americano una vettura economica a basso consumo.

FIAT in pratica dopo aver massimizzato le utilita' derivanti da una enorme opportunita', finora tutta di natura finanziaria,tenta ora di costruire con lo strumento dell'accordo di produttivita' mirafiori un piano di lavoro che possa a posteriori trasformarla in un vero progetto aziendale.

In questo fiat, pur ribadendo una scelta di non investimento in nuovi modelli e limitando al minimo i nuovi investimenti, sceglie una strada che non implica un trasferimento delle linee produttive in paesi arretrati, in cui il lavoro salariato e’ sfruttato e sottopagato, ma semmai in alternativa potrebbe essere effettuata negli Stati Uniti d’America, in cui sicuramente la logica di classe e’ compressa ma il lavoro operaio di fabbrica è pagato molto meglio che nel nostro paese.

Per queste ragioni i tanti punti oscuri dell’accordo Fiat, a cominciare dal ricatto della delocalizzazione, devono essere quindi valutati nel quadro di un progetto aziendale che in linea teorica potrebbe avrebbe una sua validità, ma che in realta’ paga interamente il suo essere costruito in ragione delle condizioni a cui e’ stata consentita dal governo e dai sindacati Americani l’acquisizione definitiva di Crysler che costituisce lo strumento fondamentale di un tentativo di espansione sui mercati da realizzare, a bassissimo livello di investimenti, attraverso l’ingresso dei prodotti gia’esistenti dei due marchi nei due macromercati in cui sono sempre stati rispettivamente assenti.

L’ipotesi di delocalizzazione degli impianti in USA, paventata da Marchionne purtroppo non solamente come mero strumento di pressione,qualora l’accordo non venisse approvato, deriva quindi dal fatto che l’azienda Torinese ha contratto impegni stringenti a cui non non potrebbe comunque piu’ derogare abbandonando un progetto, che passa tutto sulla contrazione dei costi ( o quelli di produzione se costruice a Torino, o quelli di trasporto se costruisce a Detroit), direttamente realizzato con il governo USA, nella piu’ totale assenza del governo italiano, che ha gia’ consentito a Fiat di godere ,quale anticipazione rilevantissima, di una rivalorizzazione impressionante della sua capitalizzazione finanziaria.

Il Sindacato Americano, partner fondamentale di tutta l’operazione e oggetto centrale dell’interesse mostrato da Obama per il progetto, infatti, avendo ricevuto l'altra metà della proprietà di CRYSLER in cambio dei sacrifici offerti per la riduzione generale dei costi aziendali, ha di fatto agganciato a tutela del proprio investimento le valutazioni azionarie del titolo Fiat al vortice ascensionale prodotto dagli investimeti dei fondi pensione americani ( tanto che il valore dei titoli fiat si è quasi quadruplicato nonostante la fiat abbia ancora perso quote di mercato italiano ed europeo), e tutto il sistema finanziario che ruota attorno a Wall Street ha conseguentemente inserito Fiat all’interno del proprio scenario di investimenti sistemici.

Sotto questo profilo appare assolutamente evidente come la delocalizzazione degli impianti risponde ad interessi che hanno un centro di riferimento esterno al nostro tessuto sociale ed economico nazionale, e come Marchionne, avendo ricevuto quasi a costo zero il controllo di Crysler, concepisca, avendone un diretto ritorno finanziario per Fiat, le sue scelte di direzione aziendale in termini di garanzia assoluta di una scommessa su cui si gioca parte non secondaria di quel nuovo equilibrio sociale americano di cui Obama vuole essere portatore.

In nome di questa scommessa Marchionne punta, al di la’ del merito strettamente sindacale dei contenuti dell’accordo, alla distruzione della contrattazione nazionale, alla introduzione delle rappresentanze sindacali come esclusivo soggetto aziendale di gestione degli accordi contrattuali esistenti, alla negazione del diritto di sciopero come facolta’ assoluta del dipendente costituzionalmente garantita, puntando ad una assimilazione di ruolo, natura , e poteri del sindacato italiano con quello americano,anche sfruttando la disponibilita’ offerta dalle altre sigle sindacali concorrenti.

Questa ratio generale del progetto di Marchionne spiega l’accordo Mirafiori, finalizzato alla massima intensificazione possibile dell’utilizzo dell’impianto per la produzione di modelli, Fiat e Crysler direttamente indirizzati al mercato nord-americano, che prevede un livello di nuovi investimenti su un impianto considerato centrale nel nuovo sviluppo d’impresa di entita’ assolutamente irrilevante ( 1 miliardo di euro).

Un accordo che non a caso esalta una concezione della produttività tutta concentrata, nella interpretazione più tradizionale del punto di vista padronale, sull’incremento della intensità della prestazione di lavoro del dipendente, senza contenere alcun elemento di innovazione organizzativa diretto a consentire recuperi di produttività attraverso l’inversa valorizzazione del fattore lavoro, come ad esempio avviene all’interno delle linee produttive tedesche.

3) Questa logica delle scelte aziendali Fiat, ad ogni modo proiettate sulla penetrazione in mercati evoluti, deve necessariamente essere contrastata attraverso l’emergere di una nuova capacità del sindacato di entrare nel merito , attraverso proposte alternative di qualità, delle risposte ai problemi di natura produttiva ed organizzativa che l’azienda ritiene essere presupposto della riuscita del proprio progetto industria.

In tal senso non esistono dubbi che la FIOM, sia stato finora un sindacato carente sotto questo profilo della proposta, giungendo a pagare questo suo limite con un isolamento che ha di fatto favorito nel movimento sindacale il consolidamento di posizioni filogovernative caratterizzate da una forte acquiescenza alle scelte d’impresa, su cui Fiat ha costruito la sua ridefinizione dei rapporti aziendali.

E’ ormai necessario nell’interesse di tutto il movimento dei lavoratori che la FIOM cominci a ragionare in termini di politica industriale, sopratutto in un periodo di crisi produttiva e di forte rallentamento tendenziale dei tassi di crescita del mondo sviluppato, abbandonando una " radicalità", spesso riservata solo alla Fiat,che finisce per alimentare sovente forme di settarismo nelle altre confederazioni Sindacali ad essa concorrenti.

Su questo ritengo sia assolutamente da condividere l’impostazione che va assumendo la Cgil ed il richiamo da essa avanzato alla Fiom per una riconsiderazione del suo approccio generale alla contrattazione aziendale.

Questa esigenza di revisione della cultura sindacale della Fiom non elude pero’ il problema immediato di rispondere ad un accordo che scarica sul lavoro dipendente tutte le conseguenze di un progetto aziendale pensato a bassissimo livello di investimenti che fonda le sue possibilita’ di riuscita esclusivamente sulla massimizzazione dei risparmi di costo nei processi produttivi di mirafiori e nella eliminazione di ogni interruzione,dovuta per qualsiasi ragione, di un ciclo intensivo di utilizzazione degli impianti, in cui il recupero di produttivita’ è tutto ricavato sui turni, sui tempi , sulle pause, sugli strordinari ,e sulle assenze, ed in cui viene concepita per via contrattuale, a garanzia del nuovo sistema aziendale, una autolimitazione del diritto allo sciopero in caso di vertenze sull’interpretazione del contratto, o in caso di potenziale contrasto con le sue disposizioni .

Non è , infatti,evidentemente accettabile la tesi FIAT per cui la delocalizzazione di mirafiori sarebbe una scelta giustificata,necessitata dalla crisi globale,qualora non venisse approvato il tipo di impostazione organizzativa aziendale racchiusa nell’accordo del 23/12/2010.

Se passa questo sostanziale ricatto salta tutto quel poco che ancora resiste del nostro sistema paese, e viene unilateralmente modificato tutto un tessuto di relazioni industriali che ha costituito uno degli elementi di tenuta sociale del paese anche nella attuale difficilissima congiuntura.

La volontà di realizzare una delocalizzazione di Mirafiori, qualora il contratto non venisse approvato al referendum, sarebbe infatti, per le ragioni reali esterne che sottendono tale scelta, sopra evidenziate, un tradimento verso l’intera nazione, alla quale verrebbe inferto un colpo gravissimo attraverso la violazione di quel vincolo di responsabilita’ a cui devono naturalmente rispondere le classi dirigenti nei confronti del paese del quale sono espressione politica o economica.

Se vogliamo aiutare seriamente il tentativo della Camusso di riportare la FIOM su un terreno propositivo , ed in tal modo riattivare un piu’ generale processo di unita’ sindacale, dobbiamo quindi rimuovere dal tavolo il ricatto della delocalizzazione dell’impianto di Mirafiori, gettato in campo per alterare in favore dell’azienda il quadro di un possibile accordo sulla produttivita’e la efficienza delle linee produttive torinesi, che probabilmente poteva essere trovato anche con una intesa piu’ ampia comprendente la CGIL.

Appare quindi evidente che se Marchionne ribadisse la scelta della delocalizzazione, qualora il contratto non venisse approvato, non potremmo far altro, di fronte ad un così evidente condizionamento della volontà dei lavoratori nella necessaria libera valutazione dei loro interessi, che contrastare frontalmente l’accordo anche di fronte ai limiti della impostazione di fondo della FIOM.

Non mi soffermo, infine, volutamente sull’aspetto, piu’ ridicolo che drammatico, della pretesa di ritenere esclusa la FIOM dalle future rappresentanze aziendali in virtu’ di una interpretazione restrittiva di norme dello Statuto dei Lavoratori, che evidentemente non possono essere interpretate in contrasto con il disposto costituzionale di cui costituiscono una normativa di chiaro significato applicativo.

Ritengo pertanto che questo aspetto del quadro contrattuale scaturito dall’accordo non possa logicamente avere una sostanziale effettivita’ giuridica tale da resistere ad eventuali giudicati di legittimita’ dei magistrati del Lavoro o della Corte Costituzionale.

FRANCO BARTOLOMEI - Segreteria Nazionale PSI

www.socialismoesinistra.it


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