giovedì 20 gennaio 2011

Al convegno "Novant'anni di solitudine" un minuto di silenzio in memoria di Bettino Craxi-NENCINI: LA SINISTRA VINCE SOLO QUANDO E' RIFORMISTA


"La storia ci insegna che quando nella sinistra prevale il massimalismo, gli elettori non hanno dubbi e premiano la destra".

Lo ha sottolineato il segretario del Psi, Riccardo Nencini, concludendo l'incontro "1921-2011: Novant' anni di solitudine del riformismo" che si e' svolto oggi a Roma, a undici anni dalla morte di Bettino Craxi, deceduto proprio il 19 gennaio del 2000 ad Hammamet e che i partecipanti al convegno hanno ricordato al termine con un minuto di silenzio.


"Nel 1948, nel 1994 come nel 2006 il centro sinistra e' stato sconfitto perche' contrassegnato da una forte componente radicale. Nel '94 -ha ricordato Nencini- i Progressisti di Achille Occhetto hanno subito una sconfitta irreparabile aprendo il campo a Berlusconi e nel 2006 la sinistra ha conosciuto la stessa sorte alleandosi con Antonio Di Pietro.

La sinistra e' riuscita a prevalere quando si e' alleata ai cattolici democratici e grazie alla presenza di un riformista moderato come Romano Prodi".
Quindi, secondo Nencini, una formula vincente per battere Berlusconi e il centro destra esiste ed e' stata gia' collaudata con successo. "Nei casi di particolare debolezza di un Paese sul fronte politico, economico e sociale -situazione nella quale si trova in questo momento l'Italia- la risposta deve sempre essere riformista.

Di conseguenza e' evidente che la strada da seguire debba essere qualla di un'alleanza con i cattolici democratici", ha concluso il segretario socialista.
"L'illusione di poter sostituire l'ideologia rivoluzionaria con il socialgiustizialismo - ha osservato invece Bobo Craxi- e' clamorosamente fallita.

Gli eredi del Pci hanno pensato di conquistare la maggioranza e il governo del Paese ma questo massimalismo cieco, questo nuovo grumo ideologico, ha finito con il produrre una nuova divisione a sinistra. Un caso di scuola e' stata l'alleanza tra Veltroni e Di Pietro, con il primo che era convinto di poter circoscrivere e mettere sotto controllo il secondo. Non e' andata cosi' e ora il Pd si trova a inseguire l'Idv, che a sua volta a dato vita a fenomeni 'accessori' come il grillismo.

La realpolitik ci impone tuttavia di ragionare in termini concreti sul terreno del riformismo, dove i socialisti hanno ancora molto da dire". Secondo Emanuele Macaluso l'improrogabile necessita' della svolta, imposta dalla caduta del comunismo al Pci, "non e' stata accompagnata da un'adeguata analisi storica e da un ricollocamento del Pds nell'area riformista".

Ma anche Bettino Craxi e il gruppo dirigente socialista sbagliarono i calcoli. "Nell'89 Craxi era convinto di poter tornare a palazzo Chigi, che questo avrebbe determinato la scissione della componente riformista del Pci e che i fuoriusciti avrebbero aderito al Psi. Invece le cose sono andate in tutt'altro modo".
"Occhetto e chi lo circondava non compresero che i riformisti non avrebbero mai sposato la causa del Pds. Un errore che si e' ripetuto successivamente con la Cosa 2, con la pretesa di aggregare i socialisti e di far girare l'asse della sinistra intorno al Pds-Ds. Un obiettivo che pretesero di conseguire senza un radicale ricambio del gruppo dirigente che voleva intestarsi quel progetto e che discendeva direttamente dal Pci.

Era chiaro - ha concluso Macaluso - che i socialisti non lo avrebbero mai accettato".
La storia della lunga guerra tra i due cugini della sinistra italiana, iniziata appunto nel 1921 a Livorno, ha fatto da sottofondo, esplicito e non, di tutti gli interventi. “Il fatto è – aveva esordito lo strorico Giuseppe Tamburrano, presidente della Fondazione Nenni all’apertura del convegno – che lo scissionismo è sempre stato la tabe del Psi. L’unica utile è stata quella del ’92, tutte le altre, prima quella del ’21 poi quella saragattiana del 47, sono state nefaste”. Il Psi sarebbe stato un antemurale della resistenza contro la dittatura incipiente di Mussolini, ma i comunisti “con la scissione di Livorno invece di fare la rivoluzione bolscevica, favorirono l’avvento del fascismo”.

Tamburrano non lesina critiche ai comunisti e ricorda che credettero di vedere anche in Gorbaciov una possibile revisione del totalitarismo sovietico e che il loro rapporto con l’Urss finì veramente solo con il crollo di quel regime. Un rapporto di cui si conservano ancora le tracce fino a oggi visto che anche alla mostra organizzata per i ricordare i 70 anni del Pci dall’Istituto Gramsci si nascondono con imbarazzo anche i legami con Stalin.
Il fatto è che il comunismo all’italiana, prosegue Luigi Covatta, direttore di MondOperaio, era “irriformabile”. Anzi sarebbe meglio definirlo “l’ideologia dell’italocomunismo – ma proprio nulla ci è stato risparmiato – che era una liturgia basata su una teologia sbagliata, sopravvissuta incredibilmente pure alla fine del Pci, anche in termini angrafici”.

Era irriformabile perché era così sottile nella sua costruzione, era così “delicata che se la toccavi anche per un restauro, crollava” e così quel partito progettato a Torino nel 1919, te lo ritrovi oggi a fare “i conti con Marchionne e la Fiat di Mirafiori”, incapace oggi come allora di dare risposte utili al futuro della fabbrica, della città, dell’intero Paese.
Tocca a Marco Di Lello, che ha presieduto il convegno, prima del minuto di silenzio chiesto da Tamburrano per ricordare l’anniversario della scomparsa di Bettino Craxi, fare una battuta sdrammatizzante, ma non indolore, sul ruolo dei comunisti nella storia italiana. “Ma se la scissione di Livorno nel ’21 ha favorito la nascita del fascismo, - si è chuiesto il coordinatore della segreteria socialista - non è che anche la nascita del Pds nel 1991 ha favorito l’avvento di Berlusconi?” (Il presente resoconto è stato per la prima parte tratto dai lanci dell’agenzia AdnKronos e per la parte restante da appunti redazionali).

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