martedì 21 dicembre 2010

DIPIETRISMO E VELTRONISMO


DIPIETRISMO E VELTRONISMO

di Ugo Intini

L’ antipolitica e la retorica “anti partitocratica” cavalcata da una parte della sinistra le hanno fatto danni politici ed elettorali catastrofici per anni. Il 14 dicembre, le hanno fatto danni anche pratici e immediati, decidendo la vittoria numerica di Berlusconi.

Da sempre osserviamo (ripetendo per la verità l’ABC) che antipolitica”, anti partitocrazia”, qualunquismo e personalizzazione della politica sono in tutto il mondo lo strumento della destra, mentre al contrario la politica con la P maiuscola e i partiti organizzati democraticamente sono lo strumento della sinistra. Soltanto una sinistra italiana anomala e “impazzita” poteva inseguire dipietrismo e veltronismo. Anche perché il dipietrismo è una assicurazione sulla vita per Berlusconi, l’altra faccia della stessa medaglia, l’avversario perfetto da scegliersi per aumentare i voti. Di Pietro, padre padrone come Berlusconi di un partito non democratico e demagogo come Berlusconi. A lui speculare, è sempre stato un formidabile repellente di voti ai danni della sinistra. Un repellente per gli ex socialisti ed ex democristiani che non gli perdonano di avere distrutto i loro partiti. Un repellente per chi crede nello Stato di diritto,ricorda e teme gli eccessi del giustizialismo. Un repellente perché formidabile “testimonial” di Berlusconi quando questi inveisce contro la “magistratura politicizzata alleata della sinistra”. Qualcuno contesta lo slogan? Compare l’ex magistrato Di Pietro diventato leader politico e alleato del PD e compare il perfetto simbolo vivente (e strepitante) della “magistratura politicizzata alleata della sinistra”. E a ulteriore rafforzamento del suo essere testimonial berlusconiano, si tira dietro continuamente altri simboli, persino più spregiudicati, come De Magistris.
Mentre questi danni di fondo si trascinano da anni, ecco che il 14 si è aggiunto in modo emblematico il danno immediato, la sconfitta concreta e cocente. E’ un caso che due deputati dipietristi e il PD Calearo abbiano fatto la differenza nel voto decisivo? Per di Pietro, perdere parlamentari lungo la strada non è l’eccezione, ma la norma. Dopo le elezioni del 2001, il suo unico senatore, Carraro, è andato in Forza Italia, ed è ancora parlamentare del PdL. Dopo il 2006, il pluri inquisito senatore Di Gregorio, passando al nemico, ha segnato l’inizio del declino per il governo Prodi.
Adesso i transfughi sono diventati addirittura due. Perché? Perché l’Italia dei Valori è l’essenza della antipolitica e della sua personalizzazione. Non è un partito e non è democratica, non ha storia, né cultura, né programmi. Il dipietrismo è un marchio in franchising, un brand a disposizione sul mercato elettorale. Qualunque imbroglione e mestatore locale lo può adottare e aprire una bottega politica, sperando di fare fortuna.
Non c’è bisogno di ragionare e approfondire, per diventare un dipietrino locale. Basta gridare più forte degli altri un concetto semplice: “vogliamo che i politici ladri vadano in galera”. Una propaganda popolare e monotematica. Come quella di Bossi d’altronde: “non vogliamo gli immigrati delinquenti e non vogliamo pagare le tasse per mantenere quegli straccioni di meridionali”. Naturalmente, se al dipietrino viene offerto in franchising un marchio più vantaggioso, cambia l’insegna della bottega e passa alla concorrenza, come è avvenuto il 14 dicembre (e precedentemente con i senatori Carraro e Di Gregorio).
L’antipolitica, scriteriatamente cavalcata dalla sinistra, si è ritorta contro gli apprendisti stregoni anche nel caso Calearo.
Che non è un semplice deputato, è il capolista del PD alla Camera, imposto da Veltroni, in una regione chiave come il Veneto. Un simbolo clamoroso, dunque, del fallimento del veltronismo. Ci si doveva accodare nella regione più leghista alla retorica della “Italia che produce”? Si doveva dimostrare che si è vicini alle imprese private nascondendo la lunga coda di paglia di ex comunisti? Semplice. Si è preso non un industriale vero, ma il figlio di un industriale e in 24 ore lo si è trasformato in leader politico.
Come d’altronde si è fatto a suo tempo per il candidato a sindaco di Milano Fumagalli che, regolarmente sconfitto, non si è neppure degnato di guidare come consigliere comunale l’opposizione: si è dimesso dopo pochi mesi. Si dava uno schiaffo in questo modo ai militanti e ai quadri dirigenti di partito, scavalcati dopo anni di sacrifici? Si ridicolizzavano le chiacchere spese per la “meritocrazia” e i giovani, dimostrando che si viene scelti come leader di un partito della sinistra esattamente come si fa carriera nell’Italia del declino, ovvero perché si è figli di qualcuno? Non importa. Alla vigilia delle elezioni politiche del 2008 il “nuovismo” di Veltroni non si fermava certo di fronte a queste piccolezze. Come avrebbe potuto? In nome del nuovismo e della demagogia, Veltroni aveva nel contempo contribuito a cancellare dal Parlamento (cosa riuscita al solo fascismo) i socialisti, e aveva invece salvato i dipietristi, che senza l’alleanza elettorale col Pd, non avrebbero probabilmente raggiunto la soglia del 4 per cento e sarebbero spariti: sarebbero spariti loro, il loro brand in franchising, il loro ricatto continuo al PD e i loro deputati in vendita.
Adesso, il 14 dicembre, i due deputati dipietristi e Calearo hanno deciso la partita.
E’ finita 314 a 311 per Berlusconi. Se i tre non avessero tradito, sarebbe finita sempre 314 a 311, ma contro Berlusconi. I numeri, come i fatti, hanno la testa dura.
Fanno toccare con mano a tutti i risultati devastanti per la sinistra della anti politica, accompagnata dai suoi naturali corollari di “nuovismo” e demagogia.

UGO INTINI


Nessun commento:

Posta un commento