sabato 17 aprile 2010

dopo la sconfitta..Il Pd si scinda per salvare quel che resta della sinistra

Ci vorrebbe una scissione, per salvare la sinistra. Con i dati delle ultime elezioni regionali e amministrative, la crisi è più profonda del previsto, nel nord è quasi scomparsa, e solo un miracolo potrebbe salvarla, ma dato che non è tempo di miracoli, visto che la Chiesa ne vorrebbe uno tutto per sé, resta l’unica via, la scissione all’interno del Pd.

Una crisi che parte da lontano, dal momento in cui il Pds di Occhetto, D’Alema e Veltroni decise di dare scacco matto al Psi di Craxi, alleandosi con il partito dei Pm, per eliminarlo e impossessarsi di voti e storia, senza il gruppo dirigente socialista, se no quella piccolissima parte (Giuliano Amato) a cui impose una pubblica autodafè. Al momento vinsero, alla lunga stanno perdendo, avendo avuto la forza, in questo caso è risultata debolezza di distruggere il tessuto socialista riformista, non avendo avuto le capacità di impossessarsene, anzi, stoltamente, se lo sono lasciato sfuggire, facendo un piccolo regalo a Berlusconi.

Bisogna convincersi che l’unica soluzione possibile e immaginabile per la sinistra è unificare l’arcipelago dei massimalisti (Vendola incluso) con la componente ex Ds, presente nel Pd, la cui sorte dovrebbe essere segnata dalla scissione.

Il Pd non ha più senso così com’é, anche se si sottoponesse alla “rivoluzione” di ingegneria organizzativa formulata da Romano Prodi e puntualizzata meglio da Pierluigi Bersani: cioè il partito federale guidato dai 20 segretari regionali priva di primarie e della vecchia nomenclatura. Questa nuova forma partito, a ben vedere, se venisse adottata, non sarebbe l’antidoto per guarire dal cancro politico di cui è malato il Pd. Per farla breve, il problema non è organizzativo, sebbene abbia la sua importanza, bensì di identità nonché politico.

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