giovedì 11 febbraio 2010

*Giorgio Ruffolo ricorda ANTONIO GIOLITTI*

*ANTONIO GIOLITTI, i sorci e le riforme*

di GIORGIO RUFFOLO

Il Manifesto 9 febbraio 2010 -

Sono stato legato ad Antonio Giolitti da
una lunga fraterna amicizia. Ricordo ancora con emozione il giorno che
lessi una sua recensione di un mio articolo sulla disoccupazione
pubblicato su Moneta e Credito, ero un giovanotto, e ne fui molto
fiero. Cominciò così, a partire da un successivo incontro alla Casa
Einaudi, dove lui lavorava, e poi nel Partito Socialista dove lui era
entrato dopo i fatti d'Ungheria, nella corrente della sinistra nella
quale i «giolittiani» costituivano un gruppo particolare, si chiamava
Impegno Socialista, tra il 2 e il 4 per cento degli iscritti al
partito: più 2 che 4, se ricordo bene.
E poi nell'esperienza di
programmazione.

Anni di impegno vero, tormentato ed esaltante al tempo stesso. Anni di
grandi riforme, lo si può dire oggi che di riformismo
non si fa che parlare, allora non se ne poteva neppure parlare, a
sinistra, perché il riformismo era considerato poco meno di un
cedimento al nemico, si doveva dire, per carità: riformatori, non
riformisti. Però le riforme, in quella stagione di centro sinistra, si
fecero davvero.

In quegli anni cambiò la scuola, cambiò il sistema
pensionistico, si introdusse il sistema sanitario, si fece lo statuto
dei lavoratori, si completò la grande rete autostradale, si
costituirono le regioni. Gli uffici della programmazione si
installarono in un grande corridoio dove enormi sorci inseguivano
timidi gattini.

Era il tentativo di inserire una strategia di progresso
sociale e di equilibrio territoriale in uno sviluppo economico poderoso
ma tumultuoso, disordinato, iniquo. Erano sogni? Forse: diventarono
incubi, quando le contraddizioni che si erano inserite nel contesto
politico italiano, non corrette da una politica di programma,
esplosero, in una congiuntura sempre più difficile.

La sinistra, che è
immemore, dovrebbe riflettere su quella esperienza: e soprattutto su
quale dovrebbe essere il contributo di una cultura aggiornata a una
progettazione politica che oggi brilla per assenza.

Giolitti era il
rappresentante di una classe politica di cui si sono molto affievolite
le tracce: quando politica e cultura diventavano parte di un solo
messaggio. Con lui si poteva parlare di politica, naturalmente: ma
anche di musica, della quale era particolarmente esperto, e di arte e
di letteratura, e ci si poteva divertire scherzando, lasciandosi
guidare dal suo stile ironico e arguto. In compenso, non ricordo di
avergli sentito raccontare una sola barzelletta.

Egli resterà con me e
per me, per il resto della mia vita, un modello di professione
politica, nel senso weberiano, non del mestiere, ma della vocazione;
prima che quella vocazione si identificasse, in modo così desolante,
con il nudo potere, con il denaro, con la volgarità.


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www.partitosocialista-mc.org
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