martedì 20 ottobre 2009

*Dello scandalo e dell'indignazione*

DELLO SCANDALO E DELL'INDIGNAZIONE

Da un po' di tempo, quindici anni circa, nell'Italia istituzionale e
politica si respira un'aria pesante. La delegittimazione della
controparte è diventata un fatto abituale, il che comporta il mancato
riconoscimento dell'avversario politico e, di conseguenza, una caduta
del rispetto dovuto all'interlocutore.

I valori del Paese, tracciati dai padri costituenti all'indomani della
caduta del fascismo, sono stati snaturati, almeno nella coscienza e
nella cultura di massa, bombardate e plagiate dall'ossessiva
propaganda dei mass media. I partiti politici hanno perso la loro
cifra ideologica, la tensione morale sufficiente a progettare i
destini della nazione, intesa come entità che amministra l'oggi, ma
traguarda anche il futuro, curando gli interessi dei cittadini non
ancora nati.

Il progressivo avvitamento dei valori sta lacerando il tessuto
connettivo unitario del Paese. Tutti sembrano comportarsi come i
naufraghi annaspanti in acque agitate, capaci di trascinare sul fondo
quanti volessero correre in soccorso. Quando emergono clamorose
responsabilità a carico di persone o di istituzioni legate
all'interesse pubblico, allora siamo allo scandalo.

Cos'è uno scandalo?
Uno scandalo è tutto quanto turba la suscettibilità, per un eccesso di
spregiudicatezza o per un impudente dispregio delle convenzioni o
della moralità corrente. Certo la percezione di un fatto scandalistico
è, per così dire, soggettiva. Quello che scandalizza me, potrebbe
essere facilmente accettato da altri. La soglia dell'indignazione
popolare credo si stia alzando sempre più. L'indignazione è la
risoluta ribellione a quanto offende la dignità propria o altrui. Il
limite degli italiani, oggi, è proprio qui: nella progressiva
assuefazione, nell'incapacità, cioè, di indignarsi e scandalizzarsi
per tutto quello che capita e che, solo venti anni fa, avrebbe fatto
gridare allo scandalo.

All'indomani della pronuncia della Corte Costituzionale sul cosiddetto
Lodo Alfano, abbiamo assistito ad una delle pagine più nere della
storia della Repubblica: all'invettiva mediatica della Presidenza del
Consiglio contro la Presidenza della Repubblica e la stessa Corte
Costituzionale, organo supremo di garanzia della nostra democrazia
costituzionale, declassata a fazione politica. La crisi istituzionale,
conseguenza evidente di una simile aggressione, è nelle cose.
Il bombardamento delle artiglierie pesanti delle forze parlamentari,
di maggioranza e di opposizione, ha fatto da tappo alla legittima
indignazione popolare, tuttavia assente. Sarebbe stato comprensibile
un accenno di indignazione rispetto all'infelice frase di Bossi pronto
a "fare la guerra" per difendere il federalismo, ma non se ne è vista
traccia. La lotta ormai a viso aperto fra i "poteri dello stato" ha
paralizzato i cittadini e, forse, ha cominciato ad indurre in molti un
senso di paura indefinita per le sorti della democrazia, della nostra
libertà, della civiltà italiana.

Già, perché emergono qui anche le responsabilità dell'opposizione,
incapace di conquistare credibilità. Aver affossato la prima
repubblica per via giudiziaria ha danneggiato tutti, soprattutto
quanti credevano di aver scippato storia, ideali, ruolo politico e di
governo ai partiti delegittimati.
Mentre la gente soffre, di cosa si discute in Italia?
Di escort, veline, minorenni rampanti; potrebbero anche essere utili
argomenti se affiancati, però, ai problemi veri della gente. Alla
prova di governo l'attuale opposizione ha preferito rimanere nel
tradizionale solco, favorendo i soliti poteri forti, garantendo i
conflitti di interesse, adagiandosi nella legge elettorale porcata e
dimenticando il proprio elettorato di riferimento. Intanto i problemi
veri, ieri come oggi, vengono fatti marcire. La crisi economica morde
sempre più. Una spirale di crescente disperazione investe quanti hanno
perso e perderanno il posto di lavoro. L'Europa sanziona l'Italia per
eccessivo scostamento dai parametri di Mastricht, precisando che la
crisi c'entra poco. A fronte dei salari, delle pensioni e degli
stipendi più bassi d'Europa, delle tasse più alte e della
disoccupazione più preoccupante, negli ultimi dieci anni i prezzi al
consumo, in Italia, sono aumentati del 32% in più rispetto al resto
d'Europa, nella più assoluta indifferenza di chi ci ha governato e ci
governa.
I rifiuti di Napoli (in periferia e nei siti di stoccaggio) e di
Palermo soffocano le città per il calcolo della malavita organizzata
(camorra e cosa nostra). I paradisi fiscali funzionano sempre bene per
i furbi, protetti da uno scudo fiscale indecoroso in quanto premia
ancora una volta i disonesti. Lo stato con una spesa complessiva di
800 miliardi di euro, a fronte di 720 miliardi di entrate, scaricherà
di nuovo 80 miliardi sulle spalle dei "soliti onesti", e proteggerà
quel 30% di lavoro nero e quei 100 miliardi di evasione fiscale.
L'irrisione degli evasori, i quali si sentono protetti dal governo, è
ormai pubblica: in televisione abbiamo visto tanti possessori di
panfili dichiararsi poveri con un ghigno su un grugno indecoroso. Chi
dovrebbe furiosamente intervenire, legiferando opportunamente e
favorendo controlli adeguati, guarda da un'altra parte. La
precarizzazione del lavoro esclude dall'occupazione un'intera
generazione, mentre assistiamo alla criminalizzazione dei lavoratori e
di tante altre categorie ad opera di ministri della Repubblica.

Sulla stampa leggiamo di consulenze pagate a peso d'oro e promosse dai
politici con indifferenza e insensibilità verso la povertà crescente
di tanti strati sociali, ma più ancora dei revisori dei conti e della
Corte dei Conti, organo di controllo che fu decentrato per evitare
spese non rispondenti ai criteri di efficacia, efficienza e
produttività.
Le calamità naturali, come quelle degli Abruzzi e di Messina,
suscitano un sentimento di commozione, ma nessuno si è indignato per
le precise, individuate responsabilità degli uomini. Le promesse del
governo, tuttavia, lasciano ancora allo scoperto migliaia di cittadini
disperati.

Un parere scientifico contrario agli interessi della classe dominante,
si traduce nell'offesa alla credibilità professionale di chi quel
parere esprime, come abbiamo visto in Exit, trasmissione di Ilaria
D'Amico, a proposito del ponte sullo stretto, sconsigliato per la
precaria situazione geologica dei luoghi. L'elenco potrebbe
continuare, ma qualcuno griderebbe allo scandalismo ed al disfattismo
secondo una strategia ormai rodata.
Isolare chi solleva un problema e farlo sparire dalla visibilità
pubblica è diventato un modo di procedere. Quello che non si vede non
esiste! Una soap opera, un film, una partita di calcio, un quiz, un
grande fratello allieteranno il popolo.

Lo scandalo è disturbare il manovratore, l'indignazione è di chi manovra.


Ivo Costamagna
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www.partitosocialista-mc.org
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