domenica 6 marzo 2011

CRAXI: LA LIBIA RISCHIA DI ESSERE LA NUOVA SOMALIA


La forza e la determinazione con la quale il colonnello Gheddafi ha cercato di reprimere e di respingere la scissione del Paese che ha guidato per più di quarant’anni ha spinto tutta la comunità internazionale a isolarlo politicamente e a cercare di sottrargli le risorse per poter andare avanti, ma è chiaro ed evidente che, fino a questo momento, l’unico vero esito di tale condotta è la drammaticità dell’esodo dei profughi, in maggioranza di provenienza maghrebina, che si sta scaricando sulla già precaria situazione del vicino Stato tunisino, le cui frontiere stanno collassando”.

E’ quanto scrive quest’oggi, in un articolo pubblicato sul blog di comunicazione politica www.socialist.it, Bobo Craxi, riflettendo sulla crisi libica e sulle sue gravissime conseguenze.

“La condizione ibrida”, scrive Craxi, “in cui ha vissuto la Libia di Gheddafi al cospetto della comunità Internazione , il reprobo scacciato prima e riammesso più tardi nei consessi internazionali più prestigiosi, rende assai difficile, stretta e impervia la strada che s’intenderebbe percorrere, ovverossia un intervento militare richiamato per ragioni umanitarie ma che, nei fatti, risponderebbe, oggi, a un’esigenza globalmente sentita: quella di un cambio di regime che, nel caso non avvenisse per mano endogena, dovrebbe essere eterodiretta dall’esterno o, addirittura, accompagnata da un intervento diretto”.

“La vicenda libica”, aggiunge, “si presenta ancor più complessa, politicamente, di quanto non siano state le crisi in Kosovo (dove esisteva un movimento indipendentista ) e in Irak (dove la comunità internazionale ha dichiarato la guerra al dittatore Saddam poiché si sosteneva rappresentasse una minaccia con le sue armi chimiche). Più simile appare il ricorso all’analogia con la Somalia (altra ex colonia italiana), dove tuttavia si è registrato uno dei più enormi fallimenti della comunità internazionale (quel Paese vive in uno stato di incertezza da più di vent’anni) e, per dirla tutta”, conclude l’attuale responsabile della politica estera del Psi, “quello dell’amministrazione Usa, che conobbe lo ‘smacco’ di un poco onorevole ritiro dal terreno”.

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