sabato 27 novembre 2010

Liberare la democrazia dal dipietrismo

Liberare la democrazia dal dipietrismo

di Giuseppe Giudice

Chi viene come me da una regione del mezzogiorno appennico (che va dal Molise all’alta Calabria includendo Irpinia e Lucania) sa probabilmente meglio di altri cosa si nasconde dietro un personaggio come Antonio Di Pietro. Tale area è abitata da gente generalmente laboriosa, tenace, leale ed onesta. Ma è anche l’area che ha prodotto veri e propri potentati di ras democristiani: Ciriaco De Mita ed Emilio Colombo (che oggi, nella mia regione, viene omaggiato con tutti gli onori da ex PCI presenti nel PD) ne sono gli esempi più tipici. Un sistema di potere forte pervasivo che ha sempre impedito la crescita civile e democratica (perlomeno fino agli inizi degli anni 70); un sistema di controllo sociale fondato sull’uso scientifico del clientelismo e sul diffondersi di una cultura della rassegnazione.

All’interno di questo sistema c’è sempre stato spazio per i furbacchioni di paese: arroganti ed ignoranti, ma dotati di un fiuto da politicante. Opportunisti e doppiogiochisti.

Il “trebbiatore di Montenero” si iscrive, a mio avviso in tale categoria del politicantismo pecoreccio che mentre nella I Repubblica era limitato ad un ruolo servente nei confronti dei ras, oggi diviene una categoria politica addirittura dominante. Del resto non abbiamo sempre detto che berlusconismo e dipietrismo sono speculari? Ed uno degli elementi che li accomuna è proprio l’elevazione del pecoreccio a tratto caratterizzante del sistema politico.

Certo il Dr Di Pietro deve spiegare molte cose agli italiani. Perché ha abbandonato la magistratura (non l’ha mai detto con chiarezza e precisione). Come ha fatto a laurearsi in giurisprudenza ed a vincere il concorso in Magistratura. Ma questi due ultimi sono francamente aspetti marginali. Più pregnanti sono i suoi rapporti mai chiariti con personaggi come l’avvocato Lucibello o il finanziere Pacini Battaglia …e tanti altri. Delle fotografie con Contrada ed esponenti della Cia. O che dire delle accuse rivoltegli dal suo ex compagno di partito Elio Veltri sulla gestione economica del partito stesso e sul particolare interesse sul mercato dei valori….immobiliari. Probabilmente in tutto questo non vi sarà nulla di rilevante penalmente (le inchieste finora condotte così hanno detto; anche se personalmente mi fido poco di inchieste giudiziarie condotte negli anni 90 nel clima dei ricatti incrociati su cui si è fondata la II Repubblica). Nulla di penale ma molto di moralmente discutibile per uno si è fatto paladino della legalità e della lotta al malaffare.

Del resto viene a galla la condizione di merda che vive il nostro paese attualmente: un personaggio incolto, pecoreccio, furbo e politicamente opportunista (e con molti lati oscuri nella sua biografia) che viene elevato sull’altare di una certa stampa falsamente progressista ma in realtà espressione di lobby economiche ben precise. Del resto nel gioco delle parti della politica italiana tra belusconismo ed antiberlusconismo Di Pietro entra perfettamente.

Ma io scrivo queste righe anche per ricordare i danni enormi fatti alla democrazia, all’idea di stato di diritto, alla cultura della sinistra, dal “dipietrismo” come degenerazione dell’uso degli strumenti giudiziari.

Un ex presidente della Repubblica che ha sempre difeso la magistratura e non è certo sospettabile di simpatie per Berlusconi (anzi!) come Oscar Luigi Scalfaro, in un discorso di fine anno parlò di “tintinnio di manette” riferendosi abbastanza chiaramente all’uso della custodia cautelare come mezzo per estorcere confessioni da parte di pezzi ben precisi di magistratura. Ora ricordo bene l’imbarazzo di quel politico geniale di Massimo D’Alema (che qualche mese prima aveva fatto eleggere Di Pietro al Mugello – ma D’Alema di danni ne ha fatti molti altri) ed Armando Cossutta che sorridendo diceva : “Scalfaro ha tratteggiato l’identikit di Antonio Di Pietro).

Io ho avuto testimonianze di diversa gente che è finita in carcere in quel periodo, è uscita completamente pulita dalle vicende giudiziarie (in diversi casi non sono neanche stati rinviati a giudizio). Ed una toccante di un compagno socialista (il nome non lo faccio neanche sotto tortura) che è stato tenuto dentro (proprio su ordine di un Gip che faceva da passacarte a Di Pietro) per costringerlo a fare il delatore. E per questo – ma sulla base di diverse testimonianze lette sui giornali questa era la prassi a Milano – era inserito in una cella invivibile con tossicodipendenti in crisi di astinenza. Poi se dice la verità (ma non la verità autentica ma quella che quella che è in testa ai magistrati) magari ti passano agli arresti domiciliari e poi fuori. Devi diventare un delatore. E certo uno per non farsi 40 giorni in condizioni subumane è disposto a questo ed altro e magari a dire il falso (basta che accontenta il magistrato). Nel caso di cui parlo non v’è stata alcuna delazione e la persona è stata assolta con formula piena ed anche risarcita per l’ingiusta detenzione. Ma è chiaro che per una persona onesta ed innocente subire una esperienza del genere (e c’è gente che ha fatto anche quattro mesi di carcere preventivo) produce una ferita interiore che è difficile da sanare.

In quegli anni si è messo sotto i piedi la dignità delle persone da soggetti che se fossero nati in Sudamerica sarebbero stati i più stretti collaboratori di Videla o Pinochet.

Io una idea di Mani Pulite me la sono fatta da tempo. E’ stata una sostanziale operazione “golpista” di destra diretta dal capitale finanziario transnazionale e con l’appoggio di quello nazionale (proprietaria dei mezzi d’informazione) che puntava a liquidare il sistema della impresa pubblica ed a svenderla sotto costo (non è un caso che l’inchiesta decapitò l’IRI e l’ENI e sfiorò solo la grande privata). E distruggere il sistema politico fondato sui partiti di massa. Non come pensano gli ultrà craxiani a “distruggere il PSI”.

Il PSI subì gli attacchi più forti perché molti suoi esponenti erano diventati invisi all’opinione pubblica (ripeto quello che ho sempre detto: accanto ai tantissimi compagni onesti ingiustamente perseguitati c’erano nel mio ex partito tanti farabutti rampanti che ostentavano con arroganza e protervia stili di vita e modi di essere che non avevano nulla di socialista – questi irresponsabilmente favoriti dalla gestione craxiana furono quelli che attirarono antipatia sul PSI distruggendolo). Ma l’attacco era generalizzato al sistema democratico uscito dalla Resistenza.

Naturalmente c’è da chiedersi perché un pezzo importante della sinistra non solo non ha reagito ma ha sostenuto ed alimentato l’ondata antipolitica che ha prodotto una II Repubblica che di fatto ha cancellato molti principi costituzionali.

Il tema del finanziamento illecito dei partiti (su cui poi sono si sono inseriti gli arricchimenti e le corruzioni individuali) andava affrontato di petto alla fine degli anni 80 insieme a quello della pervasività dei partiti che da macchine di potere dovevano tornare ad essere strumenti di organizzazione della democrazia. Indubbiamente dopo l’89 occorreva un radicale riassetto del sistema partitico. Ma non certo la sua eliminazione di fatto. I partiti della II Repubblica non possono essere considerati tali.

Ma una sinistra democratica deve porsi il problema di modificare le cause di un processo degenerativo della politica, ma con gli strumenti della democrazia e del diritto e non certo affidandosi allo stato di polizia.

E qui viene il nodo dolente e che riguarda la cultura comunista.

Io personalmente penso che nella scelta comunista vi siano due fattori che la determinano (e che sono in forte contraddizione fra loro): una nasce da una reale istanza di liberazione:un modo radicale e conseguente dell’essere socialisti per una società completamente liberata dalla merce e dallo stato – una prospettiva con elementi di utopismo evidente ma profondamente libertaria. L’altra radice infida è quella giacobina (che ha ammazzato tutte le rivoluzioni) a cui con gradi diversi si sono ispirati Lenin e Stalin.

Il giacobinismo è una variante moderna del vecchio assolutismo: non a caso nega la separazione dei poteri e concepisce la rivoluzione come conquista del potere politico da parte di una elite.

Il che ha portato al fallimento di tutte le rivoluzioni del 900 in quanto si sono caratterizzate per la sostituzione di una oppressione ad un’altra.

Ora nel PCI di fine anni 80 un pezzo di esso in modo coerente indicava nel socialismo democratico il punto di arrivo della sua evoluzione storica. Non a caso i Napolitano, i Chiaromonte i Macaluso furono garantisti convinti e convinti oppositori della deriva poliziesca ed autoritaria di “mani pulite”.

Chi non seppe prendere atto della necessità di una ridefinizione identitaria non si rese conto che le due motivazioni dell’essere comunisti (la libertaria e la giacobina) dopo l’89 erano destinate ad essere sempre più distanti ed incompatibili. Il comportamento schizofrenico della sinistra radicale tra garantismo e giustizialismo si spiega così.

La mentalità giacobina ed autoritaria separata ormai totalmente da un progetto rivoluzionario si sposava alla perfezione con il ciarpame giustizialista ed intrinsecamente qualunquista dei Di Pietro, sostenuto anche dalla Lega ,da un pezzo della destra (Feltri fu tra i più accaniti giustizialisti) e dal clericalismo inquisitorio (alla Savonarola) di Leoluca Orlando.

Poi c’è stato un giustizialismo opportunista: quello della maggioranza del PDS (Occhetto, Veltroni, D’Alema). Sostenere Mani Pulite per evitare di essere travolti anch’essi. Non dobbiamo dimenticare che probabilmente lo stesso Berlusconi stabilì qualche patto. Io con le mie televisioni sostengo le inchieste (vi ricordate l’Emilio Fede del 93?) e voi non mi rompete i coglioni. Nel 93 la Fininvest fu l’unica grande azienda a non essere mai sfiorata dalle indagini. Le altre lo furono ma subito tirate fuori: l’unica a pagare fu la impresa pubblica.

La morte culturale della sinistra italiana parte proprio da lì. Dall’incapacità di opporsi a quella deriva autoritaria ed antipolitica che ha aperto autostrade a Berlusconi, alle dottrine neoliberali dello stato minimo, all’opportunismo di D’Alema e Veltroni ad un centrosinistra sotto il ricatto di Di Pietro.

Oggi è proprio un prodotto di quella idea libertaria di comunismo, Nichi Vendola che può rappresentare una concreta speranza. Un comunismo libertario liberato dall’utopismo ottocentesco non può che confluire nel filone culturale del socialismo democratico così come definito a Bad Godesberg e da Rosselli.

Ma oggi la sinistra democratica, libertaria e socialista deve rendersi pienamente conto che Di Pietro rappresenta un elemento di contraddizione radicale nel centrosinistra. Non è una caso che la lobby giustizialista dipietrista guidata da un ex fascista come Travaglio e da un ex stalinista come Santoro trami contro Pisapia un esempio coerente di sinistra libertaria. Né si può pensare di controbilanciare Di Pietro con Casini (sommando nel centrosinistra giustizialismo e clericalismo).

No; la marginalizzazione e conseguentemente l’espulsione del dipietrismo passa attraverso una crescita della cultura socialista e libertaria nel centrosinistra che consiste in una sintesi della impostazione alternativa al neoliberalismo in economia e nello sviluppo coerente di una cultura della libertà e dei diritti della persona in democrazia.

Vendola sta sottraendo molto terreno di consenso al dipietrismo. Il furbacchione prima si è fatto caricare dal Pd e poi gli ha sparato contro cercando di catalizzare non tanto il voto giustizialista ma la critica all’incapacità di fare opposizione del PD stesso. Con Vendola il trucco non è più possibile.

Ma ora si tratta di fare di più. Di combattere una organica battaglia politica e culturale contro il dipietrismo ad esempio dimostrando come esso abbia aperto la strada (con la demonizzazione della politica) all’ideologia liberista dello stato minimo.

PEPPE GIUDICE



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