venerdì 11 febbraio 2011

*PD, PARTITO IN MEZZO AL GUADO*


Il Partito democratico soffre di solitudine riformista, per non aver avuto il coraggio, nel suo atto di nascita, di scrivere la sua peculiarità riformista, scaturita da un profondo processo revisionista. Ha preferito, invece, fra le tante cose che ha messo in programma solo accennarla. Per questo, è un partito in mezzo al guado.

E, comunque, sono i riformisti che insalutati ospiti vanno via dal partito a cui avevano creduto ciecamente, come se avessero trovato il Santo Graal della politica italiana. La crisi del Partito democratico è più profonda di come i sondaggi la presentano. Al momento, non affiora a tutto tondo, dato che il Rubygate l’offusca, visto che all’opinione pubblica interessa più il gossip e la politica da buco della serratura, per i risvolti di teatrino cochon. Drammaticamente, all’interno del Pd ha ripreso la diaspora e sta avvenendo, strano a dirsi, nel momento di maggiore crisi del berlusconismo. E, guarda caso, il Pd e il Pdl sono in crisi, perché sono il risultato di un assemblaggio di forze eterogenee, una volta conflittuali tra loro. Tuttavia, il Pd è colpito da un male oscuro incurabile che lo sta martoriando.

Nato per curare i mali della politica italiana e per superare alcune anomalie, come il deficit riformista, alla lunga, si sta dimostrando di essere il vero malato terminale. Perde pezzi di gruppo dirigente: Nicola Rossi e Agazio Loiero hanno sbattuto la porta e sono andati via, ma perde altrettanto voti alla sua sinistra che vengono polarizzati dal partito, Sel, di Vendola. Il quale, peraltro, sta facendo il pieno di candidati a sindaco in molte città, sfruttando divisioni e il vuoto organizzativo. Quando Pier Luigi Bersani prese in mano il timone del Pd, nel novembre del 2009, aveva come obiettivo il rilancio del Pd, puntando sia a radicarlo nella realtà sia a rinnovarlo, essendo un agglomerato di natura residuale. Insomma, era l’eredita lasciata dal Pci, da un lato, e dalla Dc, dall’altra. A ben pensarci, Bersani aveva ragione ad impegnarsi per fargli cambiare pelle, perché è un partito nato da un negoziato, costituito attraverso una fusione a freddo, con uno stato maggiore di provenienza di partiti storicamente ostili. E, comunque, non poteva restare senza referenti sociali e nella condizione di non essere né carne né pesce. Oltretutto, dal radicamento sarebbe dipeso vuoi la sua identità vuoi le sue alleanze elettorali. Abituato a fare politica nel Pci- Pds e Ds Bersani si era messo di buzzo buono per aprire il cantiere, ma non credeva ai suoi occhi di trovarsi di fronte a un partito ectoplasma.

Il suo inizio di segretario è stato disastroso, perché il Pd subì una serie di fuoruscite di esponenti di origine ex Dc e la scissione guidata da Francesco Rutelli, fondatore di Api, e confluito nel Partito della nazione, cioè in quel Terzo Polo con capo Casini, Fini e Rutelli stesso che si batte contro bipolarismo e la legge elettorale maggioritaria alla quale preferiscono la proporzionale alla tedesca. A questa impostazione d’antan, il Pd, legato a Bersani e D’Alema, si sta adeguando, nell’ipotesi di una futuro fronte comune per sconfiggere Berlusconi. Così facendo tradisce tutto quello che aveva affermato negli Novanta del Novecento: il bipolarismo e il maggioritario erano l’architrave della Second repubblica e nessuno avrebbe avuto la forza di smobilizzarli. Adesso i vertice democratico vorrebbe tornare al passato, dopo essere stati al futuro, ma questo andare avanti e indietro gli ha procurato solo guai.

C’è di più. Non avendo una linea politica e una identità va dietro a ciò che potrebbe creare condizioni di potersi sedere nella stanza del potere. Motivo per cui, di volta in volta, civetta con coloro che possono aiutarlo alla loro ascesa al potere. Di questo passo, non fanno altro che zigzagare: da Di Pietro a Vendola, da Casini a Fini fino a Bossi. Nel frattempo, un gruppo di senatori ha sottoscritto un documento secondo cui Fini dovrebbe dimettersi da Presidente della camera, non potendo, parimenti, essere capo di Fli. Un partito allo sbando, di là dalla sforzo di Veltroni di arricchirlo di grammatica e di sintesi politica. Ma è partito, per come, è messo, non sa leggere.

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