venerdì 11 febbraio 2011

*LE SETTE VITE DEL CAIMANO*


Piaccia o no, Silvio Berlusconi ha sette vite come i gatti. L’hanno dato più volte per spacciato, ma poi come Lazzaro è risuscitato.

Giovedì scorso, giorno della doppia votazione: sul federalismo e sull’autorizzazione a procedere contro il Presidente del consiglio, è riuscito a pareggiare sul federalismo e a vincere sulla Procura di Milano, che farebbe ferro e fuoco per inguaiarlo definitivamente.

Eppure, in pochi avrebbero scommesso che ce l’avrebbe fatta, ma, alla fine, quando è in gioco la sua vita politica sa dare il meglio di sé. Tanto ha fatto e brigato che ha messo su una maggioranza, mentre lo davano già per morto, politicamente si intende.

Avendo un’alta considerazione di sé, si considera un “uomo necessario” ed è convinto che non è un personaggio nato per caso, ma figlio di una felice congiunzione astrale.

Quando un giorno lontanissimo morirà, è difficile collocarlo nella storia per essere un personaggio che non possiamo definirlo un politico a tutto tondo e, nello stesso tempo, non possiamo dire che non lo sia, visto che fa questo mestiere da circa vent’anni.

Nato, politicamente, con la fine della guerra fredda e con il crollo della Prima repubblica, essendo un analfabeta politico, è riuscito a sbaragliare i professionisti della politica e a inventarsi un partito a sua immagine e somiglianza, conquistando il potere. A conti fatti, per tre volte è stato inquilino di Palazzo Chigi e non detto che non potrebbe esserlo per la quarta volta, visto il nanismo politico che lo circonda.

Epperò, se non ci fosse stato la fine di Yalta e quella dell’ancien règime, Silvio Berlusconi sarebbe stato un imprenditore di successo, ma in politica non sarebbe mai sceso. Troppo compromesso con il potere della Prima repubblica e poco politico per sfidarlo, essendo impolitico e antipolitico. Due attitudini che sono state la sua fortuna nella Seconda repubblica, ma non bastavano, perciò, per incantare l’elettorato, uscito sfiduciato, frustato e depresso per gli avvenimenti di Mani pulite, occorreva un quid, ossia il new gold dream che riuscì a prenderselo dagli anni Ottanta.

Personaggio fuori del comune, cioè fuori dell’immaginario popolare, è stato preso di punta da media internazionali, che non gli hanno perdonato nulla, riducendolo ad ecce homo: per il suo stato di imprenditore self made man, per le sue diverse vicende giudiziarie comprese le notti “boccaccesche” di Arcore, che hanno fatto il giro del mondo, e, per il suo status di Capo di governo anomalo, avendo più conflitti di interesse che capelli.

Per L’Economist non era adeguato a guidare l’Italia, per il Financial Times: “Il salvatore è il sintomo dei mali dell’Italia” e per il Daily Telegraph il “ clown price of Europe”. Basta e avanza

Fatto sta che Berlusconi, per via della situazione economica che non decolla e per via della sua vita privata vissuta sulla falsariga del famoso motivo di Vasco Rossi: “Voglio una vita spericolata, una vita che non si fa mai tardi di quelle che non dormi mai, voglio una vita piena di guai …” vive un momento difficile e, per giunta, inseguito dalla Procura di Milano per il Rubygate.

Ciononostante, è riuscito a farla franca e, in special modo, nell’ultimo caso in cui la Procura di Milano con a capo Ilda Boccassini non gli sta dando tregua. Comunque sia, ha dato dimostrazione di avere una maggioranz per governare, sebbene in modo risicato, e, di questo passo, non è detto che non aumenteranno i proseliti, visto che gli avversari hanno intrapreso un percorso sbagliato, perché talvolta illudono i loro elettori che è bell’e fritto, non avendo i voti sufficienti per governare talaltra che si verificherà quanto prima il “Miracolo a Milano”: non quello del film di Vittorio De Sica in cui i barboni con le scope dei netturbini volavano a cavallo in cielo, bensì quello di San Vittore. Naturalmente, in entrambi i casi, il secondo da veri garantisti non glielo auguriamo, dovrebbe uscire di scena.

Non c’è che dire, per Berlusconi, giovedì è stato un giorno fortunato: ha vinto sulla procura di Milano, ha perso l’opposizione e Bossi, non portando a casa il federalismo ( anzi, ha peggiorato la situazione, facendo approvare dal Cdm il federalismo con un decreto, il Quirinale l’ha respinto al mittente) , dovrà stringersi a lui ancora di più. A ben vedere, tutti i giri delle sette chiese fatti da Calderoli non hanno sortito alcun effetto.

In conclusione. Casini ha perso la fiducia di costruire un governo diverso dall’attuale, Fini non ha raggiunto l’obiettivo di defenestrarlo da Palazzo Chigi e Bersani spera che sia la Procura di Milano a sconfiggerlo.

Ma per come si è messa la vicenda giudiziaria, non è detto che potrebbe dargli una mano: la questione della competenza posta dagli avvocati del Cavaliere potrebbe rivelarsi un boomerang.

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