domenica 1 maggio 2011

Il riformismo in questo Primo Maggio


Il riformismo in questo Primo Maggio


di Emanuele Macaluso

Scrivo il mio primo editoriale da direttore del Riformista il primo maggio, una data che dà un senso anche alla nostra testata. E lo dà non solo se penso a un passato, in cui anch’io sono stato coinvolto negli anni in cui ho diretto la Cgil in Sicilia, ma pensando al difficile domani delle nuove generazioni. E ho pensato molto anche al primo maggio del 1982 quando dedicai l’editoriale sull’Unità a Pio La Torre ucciso il 30 aprile. Oggi, la parola riformismo è deprezzata, svalutata: tutti si definiscono riformisti, pure a destra, e ogni legge o leggina sfornata dal Parlamento viene indicata come “riforma”. Anche chi vuole stravolgere la Costituzione e il ruolo che essa assegna al lavoro nella società, parla di “riforme. Nel centrosinistra manca una forza con una identità tale da ricordare la storia di quel riformismo che richiama il socialismo democratico italiano ed europeo, le sue conquiste sociali, politiche e civili. Una forza che richiami anche le grandi innovazioni politico-culturali che in Europa hanno compiuto quei partiti, segnati da sconfitte e da vittorie, i quali, però, sono sempre la sola forza alternativa alla destra e alla conservazione. Il “Riformista” non ha partiti potentati di riferimento, ma sappiamo che la democrazia italiana può superare le sue difficoltà solo se sarà sostenuta da grandi partiti alternativi, al governo o all’opposizione.
In questo quadro, con le nostre modeste forze, vogliamo contribuire alla costruzione di un grande partito della sinistra, attraverso un’informazione corretta e puntuale, il dialogo e una lotta politica con le forze che oggi confluiscono nel centrosinistra.
In questo primo maggio il sindacato è più debole perché più diviso: le confederazioni, come negli anni cinquanta, appaiono agganciate al governo o all’opposizione. I problemi nuovi e per molti versi drammatici che la globalizzazione pone al mondo del lavoro esigono invece un sindacato unito. La vertenza Fiat ci dice che è stato sconfitto chi non ha firmato gli “accordi”, ma anche chi ha firmato, a pagare sono i lavoratori. Non solo, si rende così più difficile un assetto sociale, diverso dal passato, ma più giusto di quel che vediamo e più condiviso. Tuttavia, va ricordato che nel sindacato, nel movimento cooperativo, che si sta unificando, nelle associazioni imprenditoriali, nel volontariato, si ritrovano milioni di persone motivate non solo dai loro interessi più immediati, ma dall’esigenza di pesare nelle scelte politiche. La democrazia italiana ha retto anche per la consistenza di questo associazionismo, dato che la politica è in crisi e sempre meno credibile. E per uscire da questa crisi occorre ripartire proprio dai problemi del paese che il complesso di questo associazionismo pone, per fare emergere con un forte impegno politico culturale un riformismo moderno in grado di promuovere sviluppo e giustizia in una società in cui le divaricazioni sociali si allargano anziché restringersi. Il berlusconismo è fallito su questo terreno. E si può uscire dal tunnel non con la sentenza di un tribunale, che può anche avere rilevanza politica, ma con una alternativa che metta al centro il domani di questo paese. Su questo terreno vogliamo dare il nostro contributo.
Cosa sarà questo giornale che forse ha una storia breve ma significativa segnata dalla sua nascita dall’opera di Antonio Polito, che seppe affermarlo nel difficile panorama editoriale, e dalle direzioni di Paolo Franchi e poi ancora Polito e anche la crisi di cui tanto si è parlato. La breve direzione di Stefano Cappellini ha dimostrato che nei giovani della redazione ci sono energie che possono assicurare un avvenire al Riformista.
Con loro, io e Marcello Del Bosco (che ha una grande esperienza di direzione nella carta stampata e nelle Radio e Tv) lavoreremo per fare di questo giornale una voce autonoma e possibilmente ascoltata.
Ringrazio tutti, sono molti, compagni, amici, colleghi giornalisti, parlamentari di schieramenti diversi che hanno voluto fare gli auguri a me e al giornale.
Non sono sciocco da non capire che a 87 anni non si dovrebbe assumere la direzione di un giornale. Ma in questa prima fase, come hanno deciso i compagni e gli amici che con me condividono questa avventura, forse era necessario, anche perché la mia storia politica e giornalistica vuole indicare in concreto un indirizzo editoriale e un metodo nei rapporti politici.
Ringrazio particolarmente il Presidente Napolitano per i suoi auguri che sono anche affettuosi. Qualche giornale ha scritto che, con me direttore, il Riformista sarà il “giornale del Presidente”. Sciocchezze di chi non conosce bene né me, né Napolitano. Il quale assolve il suo ruolo con autorevolezza e autonomia. Con minore autorevolezza ma con totale autonomia dirigerò questo quotidiano. A ciascuno il suo.

Buon lavoro a tutti.



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