venerdì 25 novembre 2011

Egitto, il caos detta le regole

di Pia Locatelli*


Il Cairo, 22 novembre
- Sono arrivata al Cairo per incontrare le - per la verità pochissime - candidate al Parlamento a pochi giorni dal voto, ma le ragioni della mia visita stanno venendo meno in queste ore perché il rischio che queste elezioni non si facciano è altissimo.
E’ difficile capire la complessità delle ragioni e gli intenti dei protagonisti in un momento così turbolento; altrettanto lo è dare conto di quello che è successo nei pochi mesi che ci separano dalla caduta di Mubarak. La tensione è altissima e io stessa, durante gli ultimi scontri in piazza Tahrir, sono stata costretta a preciptarmi nella cantina di un caffè per sfuggire da poliziotti e lacrimogeni. Gli avvenimenti che si sono susseguiti non hanno avuto un andamento lineare, né tantomeno pacifico, verso l’obiettivo che i militari si sono assegnati: guidare un processo di transizione verso la costruzione di istituzioni democratiche che si sarebbe dovuto compiere in sei mesi con l’elezione del parlamento, la predisposizione della Costituzione, le elezioni presidenziali...
I protagonisti di questi mesi sono numerosi e, lo dico in modo sommesso, quasi mai all’altezza della situazione. Innanzitutto lo SCAF, il Consiglio Supremo delle Forze Armate, che domina il Paese e nei fatti esprime la continuità con il vecchio regime; il governo, emanazione dello SCAF; i giovani di Piazza Tahrir, generosi e disordinati, con alcune frange violente, come purtroppo capita al di là delle intenzioni e del controllo dei più; i vecchi partiti come la Fratellanza Musulmana o lo Wafd laico, un tempo nemici, poi alleati nella coalizione “Alleanza Democratica” e di nuovo separati; i partiti più nuovi riuniti nel “Blocco Egiziano”, come i socialdemocratici, o nella coalizione “della rivoluzione che continua”, di chiaro orientamento di sinistra della quale fa parte una fetta consistente dei giovani della Fratellanza musulmana, staccatisi dalla casa madre per indisponibilità ad “ascoltare ed obbedire”, come loro richiesto. Ci sono poi i singoli indipendenti, intenzionati a candidarsi nei collegi maggioritari, soprattutto ricchi imprenditori, pare legati al vecchio regime.
Tante vicende, tanti protagonisti, certamente obiettivi diversi e poche certezze, il tutto condito con metodi lontani da un normale comportamento democratico con 12.000 civili sottoposti a giudizio in tribunali militari.
La giunta militare, guidata dall’anziano feld-maresciallo Hussein Tantawi, sembra vivere fuori dalla realtà quotidiana, incapace di interpretare i sentimenti del Paese, quantomeno della parte più coinvolta nelle vicende degli ultimi mesi (anche in Egitto c’è una maggioranza silenziosa che sta a guardare); violenta nella repressione, come nel caso della protesta dei Copti che ha lasciato qualche decina di morti nelle strade; sicuramente incapace di costruire un percorso lineare verso istituzioni democratiche.
Difficile descrivere la roadmap predisposta dai generali che hanno inventato un processo elettorale che prevede, per la sola elezione del Parlamento e della Camera Alta, la Shura, dodici appuntamenti diversi: si parte il 28 novembre e si finisce a marzo 2012, con i quasi trenta governatorati che compongono il Paese che voteranno in tre date diverse, secondo una complicata formula mista di maggioritario (30%) e di proporzionale (70%) per eleggere circa 720 persone, con una riserva del 50% dei seggi a lavoratori e contadini e almeno una donna in ogni lista. Più di 700 persone per eleggere un’Assemblea costituente di 100, di cui la metà forse, perché ancora non è certo, esterna alle due Camere, incaricata di redigere la nuova Costituzione che sarà poi sottoposta ad approvazione referendaria entro sei mesi.
Non è ancora stata fissata una data per le elezioni presidenziali, in compenso i candidati sono già in campagna elettorale. Tra i nomi più noti: Amr Moussa, ex Ministro degli Esteri di Mubarak e fino a pochi mesi fa Segretario Generale della Lega Araba; Mohamed El Baradei, ex direttore generale della AIEA, l’agenzia dell’ONU per la energia nucleare. C’è anche una donna: Bouthaina Kamel, anchor woman prima nella televisione di Stato, dalla quale si è dimessa per la censura che vi regnava, e poi conduttrice di una trasmissione molto popolare su una rete indipendente.
Insomma un processo complicato, lunghissimo e allo stesso tempo ancora indefinito nella sua fisionomia e nei tempi, nel tentativo di tenere sotto controllo un Paese che va a rotoli dal punto di vista economico e sociale (il 60% della popolazione vive con meno di due dollari al giorno).
Né il governo scelto dai militari, né lo stesso SCAF, diventato il nemico numero uno, sono all’altezza della situazione, certamente difficilissima.
Situazione che è precipitata in questi ultimi giorni perché i militari, per cercare di controllare gli esiti del processo costituzionale nel timore di una soverchiante vittoria degli Islamici, moderati e fondamentalisti alleati fra loro, si sono auto-autorizzati a cambiare le regole annunciate, da loro costruite, già complicate e lente. L’annuncio dei militari dell’auto-conferimento di poteri sovra-costituzionali per definire alcuni contenuti della costituzione, affermare un’autonomia assoluta di bilancio per le spese militari, assumere il potere di veto per leggi parlamentari riferite all’esercito, ha scatenato una reazione generale.
Da venerdì 18 novembre Piazza Tahrir, simbolo della “rivoluzione del 25 gennaio”, si è nuovamente riempita ed è costantemente occupata, momenti di protesta pacifica si alternano a violenze, trasmesse in continuazione su tutti le reti del mondo, i feriti si contano a centinaia e i morti a decine. L’incertezza domina, il governo si è dimesso e la piazza chiede un governo di salute pubblica. Per ora i militari prendono tempo nel tentativo di trovare una soluzione (o un capo di governo?) che consenta loro di continuare a controllare la situazione.
E’ difficile fare previsioni perché se i militari si sono dimostrati incapaci e preoccupati soprattutto di mantenere il potere, altrettanto confusa è la situazione dei partiti, sia islamici sia non islamici, e dei giovani, che si attribuiscono il merito della “Rivoluzione” e quindi della liberazione da Mubarak, in teoria coordinati fra loro nella Youth Union, nella pratica distribuiti trasversalmente fra i diversi schieramenti e con una presenza più numerosa nella coalizione della “Alleanza Socialista”.

E’ difficile costruire la democrazia con le richieste di piazza, così come è difficile improvvisarla o esportarla (vedi l’Iraq). E’ ancor più difficile in un Paese in cui l’analfabetismo è altissimo, oltre il 60% della popolazione è sotto la soglia di povertà, l’economia è andata a picco, la burocrazia statale continua ad essere corrotta e inefficiente, le forze armate sono da troppo tempo al potere per pensare di rinunciarci. Una situazione difficilissima da tutti i punti di vista di cui è arduo prevedere gli sbocchi.


*Presidente Internazionale Socialista Donne


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