venerdì 25 novembre 2011

Il Socialismo europeo e globale di fronte a sfide epocali

di Carlo Felici


La sconfitta dei socialisti spagnoli è sicuramente un segnale d'allarme significativo non solo in merito alle prospettive del socialismo europeo, ma anche per quanto riguarda una seria politica di contrasto alle tendenze neoliberiste imperanti e al monetarismo sempre più spiccato della BCE.


E' altresì un indicatore importante della crisi del socialismo a livello globale?


Non sembrerebbe proprio. Innanzitutto rileviamo che, pur essendo battuto con un largo margine, il PSOE spagnolo conserva circa un 30% dei consensi e tale è sicuramente, rispetto ad altri partiti riformisti specialmente di area italiana, una percentuale ragguardevole. In secondo luogo c'è da notare che tale calo di consensi è più dovuto ad una disaffezione interna del suo elettorato che ad una valida alternativa presentata dal suo partito antagonista. E' stata quindi una sconfitta segnata duramente dal fattore “delusione”.


Il leader dei popolari spagnoli ha infatti conquistato una maggioranza assoluta praticamente senza promettere nulla, con un semplice, perdurante ma convincente.. “vedremo”, mentre i socialisti scontano due errori clamorosi.


Il primo è stato quello di non sapere interpretare le nuove sfide della crisi economica attuale, dimostrandosi incapaci di fornire risposte e tanto meno spiegazioni adeguate al loro elettorato. La conseguenza di ciò è stata che non si è avuta più la percezione di un distinguo netto tra politiche di sinistra e quelle di destra. Due casi sono emblematici in tal senso nelle politiche di Zapatero: il congelamento delle pensioni e una riforma dello Statuto dei lavoratori altamente penalizzante, imposta dall'alto senza cercare un minimo di concertazione o di consenso per una maggiore flessibilità tra i lavoratori. A ciò si aggiunga uno spiccato “laicismo” che è arrivato fin quasi allo scontro frontale con la Chiesa Cattolica, tradizionalmente ben radicata in Spagna.


Ma il fattore “disoccupazione” ha sicuramente pesato ancora di più, dato che la Spagna è oggi in Europa la nazione con un numero di disoccupati tra i più elevati.


In tale contesto, così come in altri, recuperare un terreno di dialogo con la protesta crescente degli “indignados” era non solo necessario ma sicuramente indispensabile per contenere almeno la perdita progressiva di consensi. Si è avuto invece l'esatto contrario: la crescita esponenziale della divaricazione tra governo socialista e movimenti di piazza.


Il movimento degli “indignati” ricorda un po' quelli anarchici della guerra civile spagnola: la FAI, il CNT, con le istanze libertarie, partecipative e la tendenza all'autogestione, ma senza quella organizzazione territoriale che si ebbe allora, anche se con una spiccata critica dell'apparato compromissorio verso il capitale e le politiche neoliberiste.


La protesta degli “indignados” però non è confluita in una vera e propria proposta alternativa di governo e di gestione dell'economia, e si è limitata alla “pars destruens”, esattamente come certi altri movimenti partecipativi che rimettono in primo piano la necessità dell'esercizio della democrazia diretta, senza però andare in profondità e spiegare come e quando potersi sottrarre validamente al tutoraggio dei grandi potentati economici oggi dominanti in Europa e nel mondo. L'invito al non voto è stato da parte di tali movimenti, sul cui coordinamento in rete alcuni sollevano vari dubbi in merito alla questione che siano in una certa qual misura eterodiretti più che spontanei, l'elemento infine più efficace e dirompente che ha causato la sonora sconfitta dei socialisti.


Dice tutto la seguente dichiarazione di uno di loro: Ignacio, un avvocato di 37 anni: «Io lo so che in fondo non è tutta colpa di Zapatero questo disastro. Il punto è che anche lui è un fantoccio nelle mani di qualcun altro: i banchieri, il Fondo monetario, la Commissione europea. Mi dispiace per come è andata con lui. Però è la dimostrazione che la politica in Spagna non ha bisogno di super eroi ma di gente semplice che si dedica alle piccole cose».


Il punto però è anche un altro: con la vittoria folgorante della destra, che fine farà questa “gente semplice che si dedica a piccole cose” non lo sappiamo di sicuro, ma una cosa certamente c'è da aspettarsela: che essa subisca, in Spagna come altrove, ulteriori e più numerosi tagli ai servizi e alle opportunità che già sono fortemente in crisi o scarseggiano fino a sparire del tutto.


L'incapacità da parte degli “indignados” di compenetrarsi validamente nel processo di rinnovamento politico, civile e sociale, fino ad entrare con prepotenza negli apparati di partito della sinistra e l'incapacità di quest'ultima, e soprattutto del PSOE, di andare incontro validamente a tali istanze innovative, fino a rimettersi in discussione e trasformarsi ulteriormente dall'interno, ci danno la misura della sommatoria di errori che hanno portato ad una sonora sconfitta.


Sono gli stessi della sinistra riformista italiana nei confronti dei “grillini” che hanno contribuito alla “grulleria” della sconfitta in alcune nostre regioni.


Ma è davvero possibile reagire alle politiche neoliberiste, oppure la sconfitta dei socialisti spagnoli e di quelli greci dimostrano che, in realtà, nell'ambito degli schieramenti tradizionalmente maggioritari in Europa, ed in particolare in quelli socialisti, nulla di nuovo e di valido si può ormai proporre, nemmeno per arginare o ridurre l'impatto rovinoso dell'economia sulla politica?


Essenzialmente un dato emerge con sempre più chiarezza.


Nell' eurozona in cui manca una valida direzione fiscale e politica delle iniziative monetarie della BCE, ad essere penalizzati sempre di più appaiono i partiti di sinistra, in particolare quando agiscono senza un coordinamento continentale e, seguendo in buona parte interessi nazionali, in ordine sparso. In altri paesi come la Danimarca tuttora fuori dell'eurozona, le cose vanno diversamente. Evidentemente la sovranità monetaria rappresenta un vantaggio per chi propone un programma basato su investimenti pubblici, energie rinnovabili e fondi a educazione e sanità. E questo dovrebbe spingerci seriamente a riflettere sulla opportunità quanto meno di rinegoziare presenza e ruolo nell'ambito dell'eurozona, specialmente considerando come essa sia sempre più proiettata verso una centralità economica e finanziaria continentale e tedesca, e sempre meno orientata verso una valida sponda di cooperazione e di sviluppo nell'area mediterranea.


L'unico continente in cui il Socialismo, nei suoi vari e molteplici aspetti, vince democraticamente e liberamente appare oggi il Sudamerica, a causa di una concomitanza di fattori positivi:


La situazione dissestata delle economie dei Paesi dell’area, dovuta in gran parte alla crescita del debito estero e all’adozione del modello neoliberale ha determinato una forte reazione politica che ha visto coinvolti movimenti e personaggi che, dalla opposizione militare e guerrigliera, hanno saputo reinterpretare il loro ruolo e conquistare validamente quei consensi che hanno consentito loro di vincere le competizioni elettorali . Questo anche grazie alla revisione ideologica di alcuni partiti di sinistra, che ha permesso loro di abbracciare una fetta più ampia dell’elettorato. La capacità dei partiti e degli esponenti di sinistra di attrarre il voto di persone che non avevano mai votato prima è avvenuta soprattutto grazie al forte richiamo simbolico di alcuni candidati presidenziali.


Naturalmente tutto ciò è stato favorito dalla grande disponibilità di materie prime, dalla nazionalizzazione del loro sfruttamento e dall'incremento di rapporti con i paesi emergenti dell'area BRIC, in particolare con la Cina.


Nel Mediterraneo non è impossibile realizzare un ponte con il Sudamerica, e soprattutto con quei paesi emergenti che validamente hanno come comune obiettivo la riduzione della povertà e delle disuguaglianze. Programmi come Chile solidario, Fame zero in Brasile o le Misiones venezuelane si concentrano sulle fasce più deboli della popolazione, cui si propongono di offrire – tramite una serie di sussidi – una risposta alla fame, all’analfabetismo, all’emergenza medica. Lo Stato torna ad avere un ruolo centrale anche nell’economia. Ciò non sorprende, dato che anche un recente sondaggio di Latinobarometro ha confermato che i latinoamericani non hanno molta fiducia nell’economia di mercato e nelle imprese private. Tali politiche sarebbero cruciali per risollevare le disastrate condizioni di vari paesi della sponda sud del Mediterraneo, sottraendoli alla rovina del tribalismo, del fondamentalismo, del caudillismo e soprattutto del rischio di un caos sociale e politico permanente dovuto a conflitti endemici senza soluzione di continuità.


Un'area mediterranea di libero scambio, di progresso economico oltre che di sviluppo sociale, sottratta al nazionalismo e alla sudditanza neocoloniale, sarebbe davvero la carta vincente, soprattutto se coordinata con altre zone di analoga tendenza nei paesi emergenti e nel Sudamerica, contro quell'invadenza e quell'offensiva neoliberista e neocolonialista che, con guerre sempre più rovinose e perduranti, si sta imponendo dall'inizio del secolo, e che ha come principale scopo quello di impedire che il commercio delle materie prime, dal Mediterraneo al Medio Oriente, avvenga non più in dollari ma in euro.


Saddam e Gheddafi che commerciavano petrolio in cambio di euro sono stati eliminati soprattutto per questo motivo, e c'è seriamente da considerare che lo stesso rischio oggi corra l'Iran anche se, in tal caso, il conflitto assumerebbe le proporzioni di un vero e proprio Armagheddon.


La Spagna, però, in tale difficile contingenza globale, pur nella sua difficile situazione sociale ed economica, e nonostante la cocente sconfitta socialista, ha saputo dimostrare sicuramente uno slancio, una dignità e una credibilità in più di altri paesi “fratelli” della sponda mediterranea come la Grecia e l'Italia, e sebbene non stia sicuramente meglio di noi italiani, perché ha saputo eleggere un governo democraticamente, senza subire l'umiliazione “tutoriale” di governi “alieni e consociativi”, di fatto imposti dalla BCE.


L'Europa della BCE assomiglia molto a quella carolingia. “Spazza via” chi non si “converte” alla fede monetaristica ed inaugura un ferreo sistema di vassallaggio nei rapporti tra economia e politica. Ma non ha futuro, perché sostanzialmente autoreferenziale ed “utile” soltanto per dirottare ricchezza dai ceti medi ai grandi “feudatari bancari”.


Un' Europa mediterranea fa paura a chi vuole usare il “mare nostrum” come “base militare” di controllo dello sfruttamento delle aree più ricche di quelle materie prime destinate, nei prossimi anni, a diminuire di quantità e ad aumentare di prezzo.


Il Socialismo europeo ha quindi di fronte a sé molti nemici, proprio per il rischio che esso potrebbe rappresentare se potesse realmente coordinarsi e sfuggire al dominio delle tendenze neoliberiste e neocolonialiste. Un rischio talmente grosso da costituire una svolta epocale.


Ovvio quindi che si cerchi di sabotarne l'affermazione seminando la proliferazione di innumerevoli suoi nemici interni che abbiano come loro missione principale proprio la necessità di dimostrarne l'inefficacia, l'inconsistenza, la sudditanza ed il suo squilibrio permanente tra utopismo e massimalismo ideologico a sfondo totalitario.


Nemici ovviamente perfettamente inseriti nella gerarchia di vassallaggio con cui il totalitarismo monetaristico neoliberista si sta affermando. Nemici a tal punto tale, da arrivare a definirlo un “errore antropologico”, cioè una sorta di contraddizione intrinseca della natura umana, capovolgendo e misconoscendo completamente il senso profondo delle radici umanistiche su cui il Socialismo stesso si fonda.


L'Ecosocialismo libertario invece resta tuttora la risposta migliore che si possa dare ad una crisi che rischia di aggredire la natura umana nei suoi più intimi valori fondativi: la libertà, la solidarietà e l'uguaglianza. In un mondo sempre più minacciato dai dissesti idrogeologici, strettamente legati a quelle politiche che considerano il territorio “merce” da utilizzare per fini di profitto, esso più che un'opzione politica, rappresenta la via della sopravvivenza della specie umana e la seria possibilità di arrivare indenni alla fine di questo secolo.


Attualmente abbiamo in Italia una pericolosa alleanza tra quei tecnocrati che lo considerano una “pericolosa illusione” ed i “gerarchi ecclesiali” che lo intendono come “errore antropologico”, suffragata dall'utilizzo di partiti contenitori guidati da vecchi leader “riciclatisi” proprio per sostenerne l'inconsistenza su scala globale.


Ricostruire una prospettiva di sviluppo socialista che sia concretamente libertaria e che contrasti in primo luogo quel totalitarismo dei mercati che non premia il merito, la competitività e l'innovazione, ma incentiva piuttosto l'oligopolio, l'obbedienza e la servitù monetaria, per promuovere una alternativa di emancipazione individuale e collettiva, è molto difficile, ma non impossibile e, allo stato attuale dei fatti, non può che risultare come un impegno rivoluzionario sia nei confronti di vecchi assunti dogmatici veteromarxisti sia contro le mistificazioni dell'apparato feudale neoliberista.


Solo alcuni grandi leader che sanno smascherare le trame lobbistiche che si celano dietro certi governi, e che allo stesso tempo viaggiano, conoscono ed apprezzano le grandi tendenze innovative che emergono prepotentemente nel mondo che non subisce passivamente un modello di globalizzazione a senso unico, possono concretamente restituire anche nel nostro Paese una possibilità di riscatto nella prospettiva del Socialismo del XXI secolo.


Non è difficile, basta solo che “diventino seriamente” ciò che “sono” e, come tali, si facciano autenticamente e coraggiosamente riconoscere in ambito europeo e globale.


C.F.




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