"O  la Repubblica o il caos"
"O  la Repubblica o il caos". Così Pietro Nenni, Socialista e Partigiano,  presentava agli italiani il referendum istituzionale del 2 giugno 1946.  E nel Paese di sicuro il caos lo conoscevano bene: le rovine fumanti  della guerra mondiale e poi civile erano ancora di fronte a tutti. Morte  e distruzione avevano colpito dal Nord al Sud. Gli anglo-americani e i  partigiani hanno appena sconfitto a duro prezzo il nazi-fascismo e i  nuovi partiti italiani che hanno guidato l’opposizione alla dittatura –  dal Pci di Longo e Togliatti, al Psi di Nenni e Pertini, passando per la  Dc di De Gasperi e per gli azionisti di Parri - cercano una strada  comune per la ricostruzione di un Paese in ginocchio. Dopo oltre vent'anni di dittatura fascista, e dopo la  tragedia del conflitto, l'Italia deve scegliere se continuare con la  Monarchia o se cambiare pagina e scegliere la Repubblica. La lotta di  liberazione è appena terminata: il 25 aprile de 1945 vede la liberazione  del Nord, di Milano e Genova e poi il 28 aprile l’esecuzione di  Mussolini, il cui cadavere è appeso a testa in giù a Piazzale Loreto. Sono passati venti mesi dall’armistizio dell’8 settembre  del 1943, oltre 30 mila partigiani sono caduti e gli eccidi degli  sconfitti (e dei vincitori) hanno riempito di lutti gran parte del  Paese. Che ora deve trovare il modo per cambiare strada. Innanzi tutto  bisogna sciogliere il rebus istituzionale. La Monarchia, da molti  considerata complice del regime fascista, deve continuare a regnare?  Matura la scelta del referendum e dell’elezione di un parlamento  finalmente libero: il popolo si reca al voto il 2 giugno del 1946. per un confronto duro, che si concluderà con una lotta all'ultima scheda (Audio: 1946, l'Italia al referendum). Una attesa interminabile prima del verdetto, con il giallo dei risultati ufficiali che tardano a venire. Ma  alla fine a favore della Repubblica si registrano il 54% circa dei  consensi, due milioni di voti in meno invece sono quelli dei sostenitori  della Corona. Alle urne si era recato l’89,1% degli aventi diritto,  pari a 24.947.187 italiani, di cui 12.998.131 donne, che si recano ai seggi per la prima volta. La gente si riversa nelle piazze, si celebra l'inizio di  una nuova era. Si cambia: il 5 giugno alle 18.30 il ministro degli  Interni Romita, attorniato dai giornalisti di mezzo mondo, annuncia il  risultato provvisorio ma che non verrà smentito (Audio: 1946, il ministro Romita sul referendum).  L’Italia sarà repubblicana. Il 
10 giugno arriva la conferma ufficiale  da Roma: il presidente della Corte di Cassazione Giuseppe Pagano legge  alla presenza del governo i risultati, sancendo il passaggio alla forma  repubblicana e l’abbandono della monarchia. A nessuno sfugge il valore simbolico di una data – quella  del 10 giugno – che è la stessa che vide nel 1924 cadere, sotto i colpi  della violenza fascista, Giacomo Matteotti e solo sei anni prima, nel  1940 l’annuncio della guerra da parte di Mussolini. Ma ora dice il  leader Socialista Pietro Nenni: ‘’Si apre una nuova fase della nostra  attività’’. Quattro sono gli obiettivi indicati: ‘’La pace con i popoli  vicini, la pacificazione interna, pane e lavoro, e la nuova  Costituzione’’. (Audio: 1946, Parlamento e insediamento Repubblica) Il 13 giugno, Umberto II, spontaneamente, nonostante il  voto del referendum venisse ancora contestato dai sostenitori della  Corona, parte da Ciampino per l'esilio portoghese: la monarchia dei Savoia rappresenta ormai il passato.  Il futuro lo sta per scrivere la neoeletta Assemblea Costituente,  incaricata di redigere la nuova Carta costituzionale. Un lavoro che  porterà il 1 gennaio del 1948 a promulgare la Costituzione della Repubblica Italiana.  E a sancire che l’Italia repubblicana, come è stato deciso nel  referendum, sarà anche – come recita l’articolo 1 della Carta - una  ‘’Repubblica democratica, fondata sul lavoro’’. La cui "sovranità  appartiene al popolo".
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