domenica 28 agosto 2011

"Stringiamoci a corte, siam pronti alla morte; Italia chiamò!"

di Carlo Felici

Nella storia d'Italia, dal dopoguerra in poi, non c'era mai stato un governo di destra che stesse al potere così a lungo. In pratica, quasi dieci anni senza interruzione, se non consideriamo la breve parentesi del governo Prodi bis, che sicuramente non ha saputo interrompere la continuità di una tendenza rovinosa soprattutto per l'assetto civile e culturale del nostro Paese.

Mai era capitato che un ministro dell'Economia deridesse quel mondo della cultura che dovrebbe essere uno dei settori trainanti per le nostre finanze pubbliche, dato che possediamo circa un terzo del patrimonio artistico mondiale (e che purtroppo lasciamo in gran parte abbandonato al saccheggio), al punto tale da affermare senza ritegno che «la cultura non dà da mangiare». Come se non si sapesse che in un Paese moderno ed avanzato proprio questo settore è destinato non solo a fornire una gran quantità di posti di lavoro, ma anche ad assicurare un futuro alle nuove generazioni, mediante una adeguata formazione.

I governi di destra ed il berlusconismo imperante hanno invece tagliato risorse preziose al mondo della cultura, riducendo le sovvenzioni agli enti locali che promuovono inziative culturali, colpendo inesorabilmente la scuola pubblica e privandola di preziose risorse, e, al contempo, sovvenzionando quella privata e confessionale.

L'obiettivo di rendere l'Italia simile ad una sorta di repubblica delle banane sul modello di certi stati del terzo mondo, in cui una classe dirigente corrotta obbedisce alle direttive dei grandi centri strategici sul piano militare e dominanti su quello economico è stato quasi raggiunto. La guerra in Libia ha ampiamente dimostrato che la nostra sovranità ed i nostri interessi nazionali sono stati, di fatto, annullati, come mai era successo, non dico dal dopoguerra, ma dalla stessa nascita dell'Italia come Stato unitario. Tanto è che qualcuno, come rimedio, si appresta già a configurare una secessione e, paradosso tra i paradossi, nel 150° anniversario dell'Unità d'Italia, propone di dividerla di nuovo, mettendo, dagli scranni governativi, su di essa il timbro con la scritta: «fine».

Per portare a termine questa opera infame, manca solo di annullare i simboli fondanti della nostra Repubblica, le ricorrenze che, più di tutte, ci ricordano come essa è nata, e quali regole si è data per assicurare un futuro alle nuove generazioni.

Cancellare le festività del 25 Aprile e del 2 Giugno è consequenziale e direttamente collegabile alla abrogazione del 1 Maggio, proprio perché la nostra Costituzione, nata dalla lotta di Liberazione e dalla Resistenza, ci ricorda costantemente che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro e sui lavoratori che ne hanno diritto. E' questa una sorta di «trinità laica» che ha garantito per decenni la vitalità di tante lotte tra i lavoratori italiani, per la conquista di diritti essenziali e per tutelare la libertà dagli attacchi del rigurgito neo fascista e del terrorismo.

Far saltare queste fondamenta, vuol dire spargere sale sul significato stesso della democrazia italiana.

E' necessario reagire con fermezza, mobilitando tutte le forze della cultura, del lavoro, del sindacato ancora libero dai diktat padronali, tutta la società civile che ancora non si rassegna ad essere messa in ombra e ridotta a «servitù di casta», per difendere a tutti i costi questi simboli della nostra democrazia, della Repubblica Laica e del Lavoro come strumento di civiltà.

Da tempo vado sostenendo che la plutocrazia corrotta imperante è, sotto vari aspetti, anche peggio del fascismo, sebbene non si sia imposta a suon di manganellate, ma con un rigido controllo degli strumenti di comunicazione e mediatici, perché questa forma di subdolo dominio si impone in primo luogo nelle coscienze, impedendo l'uso degli strumenti essenziali per riconoscere il valore della libertà e della responsabilità, come la scuola pubblica. Essa annienta il passato e riduce tutto a «consumismo presente». Trasforma le persone in servi obbedienti ed incapaci di riconoscere un destino diverso da quello della servitù a cui si vuole vengano destinati dalla nascita, li «emancipa» soltanto per integrarli nel suo sistema imperialistico di vassallaggio, controllandoli come «vassalli», «valvassini» e «valvassori» a seconda del «beneficio» economico che riconosce loro, ed in cambio del grado di obbedienza che essi sono in grado di assicurare, annulla i simboli dello Stato e il significato stesso di Patria e della dignità e sovranità popolare e nazionale

Far parte quindi del «gruppo» dei «vassalli» di sinistra non è molto diverso dall'apprtenere a quello dei «vassalli di destra», anzi, può essere, di fatto, persino peggio.

Chiamarsi democratici senza lottare strenuamente per impedire che vengano rimosse con un colpo solo le fondamenta stesse della nostra democrazia è persino più rovinoso, anacronistico e irridente che avere palesemente una fisionomia, di nome e di fatto, neoliberista.

Se dunque il Partito Democratico, che rappresenta oggi gran parte dell'opposizione parlamentare esistente in Italia, consentisse questa sciagurata manovra e la rimozione delle festività fondanti della nostra civiltà, sovranità e democrazia, non sarebbe affatto più degno di chiamarsi democratico, il suo stesso nome non sarebbe altro che una truffa e una derisione dei suoi elettori.

Noi lanciamo quindi una grande inziativa a livello nazionale affinché ci sia presto una mobilitazione in tutte le piazze e in tutte le città italiane per tutelare la democrazia, la Costituzione ed il mondo del lavoro in Italia, preservando e valorizzando le festività che ci ricordano ogni anno questi valori: il 25 Aprile, il 1 Maggio e il 2 Giugno.

Aderiamo, sottoscrivendola, alla petizione della CGIL e facciamo anche nostre le sue osservazioni: «il ricordo della Liberazione del nostro Paese da una dittatura feroce e sanguinaria; la celebrazione del Lavoro come strumento di dignità per milioni di donne e uomini che con la loro fatica ed intelligenza consentono al Paese di progredire; la celebrazione del passaggio alla Repubblica parlamentare”, sono “tappe fondamentali che non intendiamo consentire vengano cancellate”. Per altro, sottolinea ancora la segreteria CGIL, “mentre irrisorio è il beneficio economico che ne deriverebbe, i costi civili sul versante della memoria e dell’identità sarebbero, se la norma venisse confermata, di gran lunga maggiori. Inoltre, è sufficiente un confronto con altre situazione per vedere come l’Italia è un Paese che ha un numero contenuto di festività civili e come in altri Paesi le ricorrenze civili siano celebrate e custodite con attenzione”. Esortiamo tutti a firmare: http://www.cgil.it/petizione/default.aspx

Invitiamo tutti i partiti della sinistra a "stringersi a coorte", a partire da SEL dal PSI e dalla FED, e tutte le associazioni a promuovere uno sforzo unitario per impedire la cancellazione di queste festività laiche, a cominciare dalla Lega dei Socialisti e dal Network per il Socialismo Europeo

Auspichiamo che il Partito Democratico non rinunci alla sua stessa identità democratica consentendo la rimozione dei simboli su cui esso pure si fonda, e invitiamo anche il Presidente della Repubblica, supremo difensore dei valori della Costituzione, a non firmare in alcun modo il decreto di soppressione delle festività del 25 Aprile, del 1 Maggio e del 2 Giugno.

Sono i pilastri della nostra Patria, della nostra libertà e del nostro futuro, se cadranno non avremo alcuna rinascita né resurrezione, ma solo una spietata eutanasia morale, civile e politica. Di conseguenza non c'è alcuna alternativa:

Patria o morte!

Vinceremo!


martedì 23 agosto 2011

NENCINI AL TGLA7: ABOLIRE I PRIVILEGI FISCALI ALLA CHIESA.



"La Festa nazionale socialista di domenica 4 settembre verrà dedicata dal PSI a spiegare ai cittadini quali e
quanti siano i privilegi e le agevolazioni fiscali di cui gode la Chiesa italiana e come nessuno di questi sia
stato messo in discussione in una fase così delicata".
E' quanto afferma in una nota Riccardo Nencini, segretario
nazionale del Psi

"Inizieremo in quella sede una raccolta di firme su una proposta di legge di iniziativa popolare affinché la Chiesa
italiana faccia la sua parte in un momento in cui tutti sono chiamati a fare sacrifici. Ricordo - prosegue la nota che - l’insieme
dei benefici (esenzione dal pagamento dell’Ici, pagamento degli insegnanti di religione da parte dello Stato e 8
per mille) valgono tra gli 8 e i 10 miliardi di euro.
Questa campagna, iniziata un mese fa, si rivolge a tutti i cittadini italiani nel nome della equità
e della giustizia. Niente di anticlericale - conclude il leader socialista - ma semplicemente l’appello ad una
responsabilità condivisa. I cristiani pagano, la Chiesa no".

sabato 20 agosto 2011

La prospettiva verso cui muoversi: il socialismo del XXI secolo.

La prospettiva verso cui muoversi:
il Socialismo del XXI secolo !
di Paolo Ferrero
(da Liberazione del 20 agosto 2011)

Non c’è stato nessun rimbalzo. Ieri le borse non hanno recuperato il tonfo del giorno precedente. Si può fare una lunga disamina delle cause che hanno portato a questo: gli speculatori hanno paura della tobin Tax; visto che i titoli sintetici sono dei mostri ingestibili, che possono nascondere perdite enormi, i più furbi stanno togliendo le mani dalla tagliola e mettendo al sicuro il malloppo: oro e titoli di stato americani; il fatto che le economie sono rientrate in recessione e quindi ci si aspetta un periodo di vacche magre; molti titoli sono sopravvalutati e quindi la bolla speculativa si sta sgonfiando, ecc.

Si può fare un lungo elenco dei motivi del disastro attuale - e i giornali lo fanno con dovizia di particolari - ma il risultato non cambia: dopo tre anni di crisi e 15.000 miliardi di dollari sprecati dagli stati per salvare le banche private, siamo punto e a capo in piena recessione. Non solo, gli stati si sono indebitati per salvare le banche e poi gli stessi finanzieri hanno abbondantemente speculato sui debiti sovrani, fregando altri soldi agli stati (pardon, ai cittadini) come stiamo verificato di persona. Oltre al danno la beffa.
Non solo, come medici ubriachi gli esponenti dei poteri forti che siedono a capo dei governi - in particolare quelli europei - stanno continuando a dare al malato la medicina che l’ha portato in coma: tagli delle spese sociali e pareggio di bilancio inserito in Costituzione. Così la recessione è assicurata. La Merkel è stata così solerte a chiedere ed ottenere il taglio delle spese e il conseguente massacro sociale nei vari paesi europei che è riuscita nella mirabolante impresa di mandare la Germania in recessione: dove diavolo le vende le merci l’azienda tedesca se in Europa nessuno ha più i soldi per comprare? Il mitico Marchionne, che il Ministro Sacconi vuole trasformare nel patrono d’Italia, dopo aver usato a piene mani la speculazione nel far crescere il titolo di una azienda dedita non alla produzione di automobili ma alla distruzione dei diritti dei lavoratori e dei contratti nazionali di lavoro, si ritrova adesso con un pugno di mosche.

Il fatto che nessuno dei nostri governanti vuole ammettere - e con loro nessun manager e nessun commentatore economico o politico - è uno e uno solo: si chiama fallimento del capitalismo. E’ il capitalismo neoliberista che ha fallito e il moribondo non è in grado di riprendersi. Non solo: continuando a somministrare la medicina neoliberista, il malato sta sempre peggio, mentre vengono demolite le fondamenta del vivere civile.
Se il problema fosse un fatto privato degli speculatori e dei manager potremmo far finta di nulla. Invece questi delinquenti stanno applicando le loro assurde ricette ideologiche sulla nostra pelle, sulla pelle di milioni e milioni di persone.
E così, i loro esperimenti portano le persone a non avere i servizi sociali, a doversi pagare le cure mediche, a non trovare un lavoro; la società si ripiega su se stessa, nella paura e nell’insicurezza. Per questo diciamo chiaramente che il problema si chiama capitalismo e che occorre cambiare cura: occorrono misure di tipo Socialista a partire dalla ripresa della piena sovranità degli stati sulla moneta e sulla finanza.
Il bivio è chiaro dinnanzi a noi: o gli stati sottomettono la moneta ed esercitano democraticamente la propria sovranità sul denaro demolendo i potentati finanziari costruiti in questi anni, oppure la finanza distruggerà le condizioni di vita sul pianeta producendo un pesante regresso della civiltà umana. Questo è il punto. Anche perché i poteri forti stanno portando allo sfacelo la società ma continuano ad avere il potere di farlo. Hanno i soldi per comprasi tutto: dalle università ai mezzi di comunicazione, al complesso degli operatori che concorrono a formare la pubblica opinione. Hanno i soldi per sfidare e piegare gli stati. O gli stati mettono la mordacchia al capitale finanziario o questo demolirà la società, realizzando l’utopia reazionaria della Thatcher che sosteneva per l’appunto che la società, semplicemente «non esiste».
Per questo, va bene parlare di eurobond, di Tobin tax e così via. Rischiano però, oramai, di essere misure largamente insufficienti. Per rimanere alla metafora medica, non basta un’aspirina quando il problema è il cancro. E’ necessario fare un salto di qualità, rapido e radicale. Occorre cambiare radicalmente il ruolo della Bce, sottoponendola al potere politico e obbligandola a battere moneta per finanziare la riconversione ambientale e sociale dell’economia e la piena occupazione. Occorre nazionalizzare le grandi banche e decidere democraticamente la gestione degli investimenti. Occorre rovesciare il trattamento fiscale del lavoro e della finanza: poche tasse sul lavoro e moltissime sulla finanza e sulle grandi ricchezze, a partire dalla patrimoniale.

Le nostre proposte concrete e praticabili, a partire dalla patrimoniale, che dobbiamo fare per rendere tangibile e non fumosa la nostra proposta, debbono quindi avere questo respiro e questa portata: il capitalismo neoliberista è fallito, si tratta di impedirgli di continuare a fare danni e indicare con chiarezza la prospettiva verso cui muoversi:

Il Socialismo del XXI secolo !!!


venerdì 19 agosto 2011

Il Socialismo impronunciabile

Il Socialismo impronunciabile
di Giuseppe Giudice

Peppino Caldarola ha scritto un ironico e gustoso articolo sull’ostracismo che in Italia ancora permane verso i socialisti. (Vedi ultimo post)

Non c’è dubbio che gli atteggiamenti di coloro che pretendono di considerarsi socialisti stando nel PDL nonché gli ectoplasmatici come Nencini, finiscono per alimentare certe campagne denigratorie. Ma certo questo non basta a spiegare gli atteggiamenti che negano di fatto alla tradizione socialista il suo naturale diritto di cittadinanza nella sinistra italiana (e questa negazione è certo una delle cause della rovina della sinistra stessa).

Inizierò con il dire che nel centro-destra non ci sono solo i Cicchitto, Brunetta, Sacconi, quali ex rappresentanti della sinistra che hanno saltato il fosso. Quanti di loro provengono dalla più generale area comunista? Tiziana Maiolo (ex Manifesto), Sandro Bondi (ex PCI), Gaetano Pecorella (ex Rifondazione), Giuliano Ferrara, ecc. Perché allora prendersela con i socialisti? Quando ci sono tanti importanti esponenti del Psi che sono rimasti a sinistra (sia pur in una pessima sinistra): Spini, Ruffolo, Aniasi, Vittorelli, Arfè, Amato, Formica, Signorile, i due ultimi segretari della CGIL?

E’ che la II Repubblica, per rifare una verginità ai democristiani confluiti nella Margherita, doveva addossare a Craxi ed ai socialisti tutto il peso delle degenerazioni della I Repubblica. Che Craxi avesse le sue responsabilità e le sue colpe, così come il gruppo dirigente, è fuor di dubbio. Ma che queste responsabilità coinvolgessero largamente il gruppo dirigente della DC da Forlani a De Mita a Prodi è fuor di dubbio. Così come il consociativismo (che è durato per tutti gli anni 80) coinvolgesse politicamente anche il PCI è un altro dato non contestabile.

Considerando che la II Repubblica si è rivelata ben peggiore della peggiore prima, non starei tanto a fare le pulci, quanto piuttosto a cercare di far sì che la tradizione del socialismo italiano (quella migliore) ritorni pienamente ad essere parte integrante e fondante della nuova sinistra.

Per fare questo occorre però combattere una seria battaglia politica e culturale, all’interno del centrosinistra, verso coloro che hanno sempre opposto una resistenza, sia pur surrettizia, alla piena rivalutazione della tradizione e della cultura socialista.

Chi sono?

In primo luogo i nuovisti alla Veltroni, che vaneggiano su un superamento a destra del 900 (per andare dove?). Ma c’è anche una variante di sinistra di questa tendenza che è composta dai giustizialisti come l’ex craxiano Floers D’Arcais, dagli orfani di Berlinguer che parlano di sinistra senza aggettivi (variante più radicale del nuovismo), dai neo-azionisti di risulta scalfariani.

Una seconda corrente è quella del neo-integralismo democristiano antisocialista come quella dell’isterica Rosi Bindi.

Una terza componente è quella del funeral.comunismo del Manifessto. Essendo crollato il comunismo costoro vogliono dimostrare che anche il socialismo democratico è da buttare. Mal comune mezzo gaudio.

Ora queste sono correnti di sub-pensiero che ovviamente esistono solo in Italia. Il loro carattere provinciale la dice lunga. Ma sono comunque stati fattori profondamente negativi per far acquisire alla sinistra italiana una identità che la potesse rendere più europea. C’è gente che preferisce Rosi Bindi a Susanna Camusso….è quanto dire.

Ho promesso di dedicare questa parte della mia vita al compito di stimolare una forte discussione per ricostruire la storia e la memoria socialista. E’ estremamente importante in una fase di crisi profonda come questa, lavorare per dare coordinate strategiche alla sinistra. Tali coordinate sarà impossibile trovarle se la sinistra è mutilata di una delle sue componenti essenziali.

Lo sforzo che stiamo facendo affinchè la parte maggioritaria della sinistra si riconosca nel PSE è essenziale. Ed è qualcosa che riguarda tutti, ex Psi ed ex PCI. Ma si può pensare veramente di costruire una sinistra nel PSE se permane il pregiudizio, la diffidenza, l’ostilità verso il socialismo italiano.

Purtroppo un vecchio settarismo è duro a morire. Ma è nostro dovere combatterlo senza tregua e rispondendo colpo su colpo.

Gli ex Psi che hanno fatto una scelta di destra si commentano da soli. Sono degli sporcaccioni con cui non vogliamo avere nulla a che fare.

Ma questo non può essere preso costantemente a pretesto, per impedire alla sinistra di riprendersi dalle sue orribili mutilazioni.

PEPPE GIUDICE


mercoledì 17 agosto 2011

Socialista è una brutta parola ?

Socialista è una brutta parola ?

Antonio Martino, liberale, ex ministro, oggi fra i più agguerriti critici della manovra di Berlusconi, ha scoperto che la deriva del Pdl e del suo amato premier è tutta colpa dei socialisti. Ne vede troppi nel governo e nei ruoli apicali del partito e li cita tutti, da Sacconi a Brunetta a Cicchitto a Tremonti. è uno strano destino quello che accompagna una cultura e una tradizione che hanno fatto compagnia a milioni di cittadini per decenni.

Vecchia sezione del Psi (Flickr)

Quello che è accaduto alla parola "socialisti" negli ultimi tempi assomiglia a un film horror. Ogni volta che si è voluto contrassegnare un vizio italiano e soprattutto un degrado della politica si è fatto ricorso a questa definizione. Socialista era il marchio di infamia con cui vennero contrassegnati i tangentari della prima repubblica e socialista fu il leader più odiato alla fine degli anni Ottanta e inizio Novanta quasi che in lui si concentrasse tutto il malaffare della politica.

Oggi sono socialisti sia i ministri detestati per la manovra sia quelli in prima linea negli atteggiamenti antisindacali, cioè Sacconi e Brunetta. Siamo forse l'unico paese occidentale, a parte gli Stati uniti, in cui nessun partito ha voglia di fare ricorso alla definizione socialista per contrassegnare il proprio progetto, addirittura gli ex comunisti hanno fatto diverse giravolte pur di evitare quella antica ma ormai disprezzata denominazione.

Tremonti, Sacconi e Brunetta

È visibilmente una vera rinuncia per la politica italiana che oggi si trova a sinistra senza miti da spendere e senza quella narrazione che Vendola sta cercando senza trovarla ancora. Molti hanno provato a cercare di ricostruire attorno a questa bandiera una nuova aggregazione politica. Ogni tentativo è però fallito malgrado spesso questi raduni socialisti siano affollati. Il paradosso è che mentre a sinistra pochi hanno voglia di dichiararsi socialisti, a destra molti esponenti di punta del berlusconismo si vantano di esserlo ancora. Al punto che al termine di quest'ultima stagione politica ci sono ancora socialisti da additare come gli uomini neri anche di questa crisi italiana.

Che cosa ci sia di socialista nella cultura attuale degli uomini citati da Martino può essere oggetto di una difficile attività di investigazione sulla base di tracce e indizi assai deboli, tuttavia colpisce il fatto che i "cattivi" abbiano voglia di indossare questa veste mentre i "buoni" se ne spoglino. Scrivo queste ultime annotazione sul filo dell'ironia solo per osservare che se non si riuscirà a fare un comitato di salvaguardia del socialismo italiano, che lo restituisca alla sinistra e fra le correnti riformiste di questa, è bene metterci una pietra sopra nella convinzione che se il socialismo avrebbe potuto sopravvivere a Craxi difficilmente si rialzerà dopo Sacconi e Brunetta.


domenica 14 agosto 2011

Macellai e Mattatoi

Macellai e Mattatoi
di Carlo Felici

In questo ferragosto di crisi, una meditazione è d'obbligo, se non altro per evitare di essere troppo miopi e credere che le vicende nostrane siano frutto soltanto di mali secolari di quello che dovrebbe essere tuttora il “bel paese” e che, invece, tende ad essere considerato sempre di più una sorta di “brutto anatroccolo dell'Europa, ovviamente in compagnia di altri altrettanto “piccoli e neri”

Quello che si sta affermando in Europa è una sorta di totalitarismo plutonomico, fondato sull'assolutismo monetaristico, che vuol dire, in parole più chiare e semplici, che l'Europa è governata da un gotha misto di speculatori, affaristi e grandi plutocrati che hanno come fine primario l'accumulo di ricchezza e il dominio dei popoli attraverso il controllo ferreo dei mercati finanziari. Un fine che fa impallidire il confronto persino con certi fascismi del secolo scorso i quali conservavano finalità “etiche” anche se di tipo totalitario. Quello di oggi, infatti, è il totalitarismo dell' antietica, la negazione a priori di ogni fine etico che abbia come punto di riferimento l'essere umano e la natura, in nome della riduzione di entrambi a merce per fini di profitto.

Le crisi globali sono infatti pilotate da grandi speculatori che dispongono di enormi capitali e agiscono in combriccola con quella consorteria, che usa la prassi mafiosa dei colletti bianchi, e che è fortemente presente nei centri nevralgici del potere economico e politico, in Europa e nel mondo, essendo in grado di manovrare istituzioni e banche . Il gioco è sempre lo stesso: si manda avanti un grande speculatore come Soros, si conta sull'appoggio collaterale di di chi è al governo di uno stato, già ampiamente indebolito poiché non vi è ricambio di personaggi politici in gran parte corrotti, e poi si fa cadere inesorabilmente la mannaia sui più poveri e disgraziati, privatizzando preziose risorse, tagliando i servizi e colpendo soprattutto la memoria storica, la cultura e la formazione, giustificando infine il tutto con la legge del mercato.

Questo è accaduto e sta accadendo sempre più palesemente in Italia da circa venti anni. Più o meno dalla caduta del muro di Berlino e dall'avvento della globalizzazione a senso unico neoliberista.

Questo gioco perverso può però contare anche sul collateralismo di certa demagogia da parte di coloro che solo apparentemente si oppongono a tale processo mentre, di fatto, ne favoriscono lo svolgimento collateralmente a chi lo governa apertamente.

Quando un importante leader della sinistra dice apertamente che: “sia il papa che Draghi hanno affermato esplicitamente che la precarietà minaccia la coesione sociale – Perché la sinistra non lo grida? “ Ebbene, in tal modo, fa pericolosamente demagogia, perché si sa molto bene che sia il papa che Draghi fanno poco o nulla per favorire socialmente ed economicamente la riduzione della precarietà ma, anzi, contribuiscono meno di altri, nel primo caso, per incrementare le preziose risorse dello Stato o delle amministrazioni locali che servirebbero per promuovere le politiche sul lavoro (non pagano imposte come l'ICI ad esempio) e nel secondo, poiché esortano in modo quasi perentorio, dalla loro posizione nevralgica nella UE e nella BCE, chi è a capo del nostro governo a tagliare preziosi servizi, a falcidiare gli stipendi e le pensioni, ad ignorare il turn over, imponendo pertanto di andare esattamente e drasticamente nella direzione contraria. Precarizzano un intero tessuto sociale. Far credere che la sinistra non gridi abbastanza è la mistificazione consequenziale di tutto ciò e rischia di significare: “meglio accordarsi coi poteri forti che combatterli apertamente".

Non si può pertanto dare del “macellaio” a chi in un governo si adegua a direttive calate dall'alto e considerare alla stregua di un “papa” chi ambisce ad essere il “capo del mattatoio” Non si può soprattutto considerare una crisi permanente frutto di una reiterata speculazione finanziaria, alla stregua di una sorta di fenomeno meteorologico, per cui la prima cosa da fare è aprire l'ombrello sui più ricchi e potenti e far scendere una pioggia sempre più fredda e acida sui più poveri e disgraziati.

Non abbiamo bisogno di falsi oppositori né di Presidenti che firmano senza fiatare ogni bollettino meteorologico senza mettere in alcun modo in discussione le previsioni del tempo, persino quando la grandine cancella le nostre più importanti ricorrenze nazionali, e anche, di fatto, il cosiddetto “mestiere” chi è a capo delle Istituzioni di uno Stato per garantire la continuità della sua storia e del suo funzionamento.

Questo è un gioco perverso che può essere arrestato solo da chi ha una grande responsabilità verso il proprio popolo, in primis, e non verso i mercati.

Dobbiamo credere in una Europa diversa, non restare impiccati al permanente ricatto monetario. I plutocrati delle istituzioni europee sanno benissimo che non possono fare a meno di una Italia che, fuori dall'euro, avrebbe problemi immediati di materie prime ad alto costo, ma diverrebbe, in tempi relativamente brevi, e soprattutto sapendo allacciare proficui rapporti con i paesi emergenti, altamente competitiva con i suoi prodotti. Lo sanno talmente bene che con il giochetto perverso teso all'impoverimento, allo snaturamento e persino alla distruzione del patrimonio culturale e storico del nostro paese, hanno affossato un intero sistema di Stato..Eppure, nonostante ciò, i nostri politici nell'attuale parlamento e in buona parte dell'opposizione al di fuori di esso, non sembrano fare altro che adeguarsi alle agenzie di rating le quali furono le prime a promuovere i velenosissimi derivati e futures. Il farmaco letale che ammazza il paziente invece di curarlo. La migliore medicina preventiva invece resta abbandonare la ginnastica di obbedienza in nome di training di mobilitazione e di lotta, dura e senza paura.

Patria o morte compañeros! Affondiamo il Britannia!


Craxi su Marx - Marxismo, Socialismo e Liberta'

Potenza, 14/08/2011 - Ripubblico dopo diverso tempo questo (molto lontano nel tempo) discorso di Craxi su Marx ed Engels. Gli errori e colpe politiche di Craxi restano tutte così come purtroppo le conseguenze negative che essi hanno prodotto sul PSI. Ma credo sia anche giusto far conoscere il dibattito vivo ed intesno che vi fu nel PSI nella seconda metà degli anni 70 - poichè questo è stato rimosso. Ognuno potrà giudicare. Prendetela come lettura di Ferragosto...in un periodo in cui - da più parti si rilegge Marx.....

Giuseppe Giudice



Marxismo, Socialismo e Liberta'


(Discorso tenuto a Treviri, in occasione del XXX anniversario della ricostruzione della casa natale di Carlo Marx, distrutta dai nazisti - 4 maggio 1977 Manifestazione organizzata dalla SPD e con la presenza di Willi Brandt)


di Bettino Craxi

Una passione profonda dominò i padri del "socialismo scientifico": l'emancipazione dell'uomo da ogni forma di schiavitù materiale e morale.

Il loro valore supremo non fu la giustizia sociale disgiunta dalla libertà: concepirono sempre il socialismo come un ordine sociale in cui la libertà di tutti sarebbe stata la condizione della libertà di ognuno. Essi avversarono quello che chiamavano, con un'espressione tagliente, il "comunismo di caserma". Una umanità irreggimentata, livellata in basso, inquadrata in una rigida disciplina marziale fu da essi considerata sempre come un pericolo da scongiurare. Avversarono il capitalismo ottocentesco perché questo proclamava l'ideale della libertà, ma in realtà riservata solo ad una infima minoranza, la classe possidente, ed escludeva la massa dei proletari, i quali per sopravvivere, erano costretti a vendere i loro corpi, la loro energia lavorativa e la loro stessa essenza umana. Un tale sistema andava modificato alla radice proprio per allargare a tutti la libertà per renderla piena e sostanziale. E la società comunista sarebbe stata, per l'appunto, il regno della libertà.

E tuttavia in nome del socialismo di Marx ed Engels sono stati instaurati nel mondo regimi oppressivi e totalitari.

Di fronte a tale fenomeno possiamo chiederci quale nesso ci sia tra la teoria marxiana e tali regimi e se in essa non vi sia una ambivalenza di fondo che l'ha trasformata nel contrario di quello che intendeva essere.

Non è un caso che il marxismo a un certo punto ha partorito una pletora di scuole che si sono dette ortodosse e che, in qualche modo, lo sono state effettivamente. Ciò è avvenuto molto probabilmente perché il marxismo non è stato, fin dalle origini, un "singolare", bensì un "plurale".

Formidabile sintesi del sapere moderno - c'è chi ha parlato di un nuovo aristotelismo per indicare la grandiosità della Weltenschaung marx-engelsiana - , esso ha ospitato in se stesso praticamente tutti i contributi significativi della cultura occidentale del secolo scorso. Ma proprio perciò, il marxismo ha sempre avuto una struttura polivalente ed ha svolto un ruolo storico contraddittorio.

E' imperativo porsi di fronte al socialismo di Marx ed Engels con un atteggiamento critico distinguendo i vari modelli di socialismo che essi hanno proposto quale alternativa al sistema capitalistico.

Ci sono stati, e continuano ad esserci, vari marxismi. E mi riferisco non solo ai marxismo dei marxisti; mi riferisco anche al marxismo di Marx ed Engels.

Il loro pensiero subì una evoluzione strettamente legata all'evoluzione oggettiva della società capitalistica, la cui dinamica socio-economica essi tennero presente per dare il massimo di realismo possibile all'azione del movimento operaio.

Il primo schema di transizione dal capitalismo al socialismo è stato fissato in una forma destinata ad essere scandita nei seguenti passaggi: guerra di classe, conquista violenta dello stato, dittatura rivoluzionaria, collettivismo economico.

Marx ed Engels sopravvalutarono in quel periodo le possibilità rivoluzionarie insite nel sistema. Fortemente influenzati dalle correnti più estremistiche del socialismo ottocentesco (Blanqui), essi credettero all'imminenza di una vera e propria palingenesi sociale.

Dopo la delusione della rivoluzione del 48 essi compresero che la strategia dello scontro frontale non era altro che la proiezione di un potente desiderio che immaginava già presenti in Europa le condizioni materiali e spirituali del passaggio dalla società classista alla società senza classi. Allora elaborarono la strategia della "lunga traversata nel deserto". Essi si convinsero - e cercarono di convincere i leader del movimento socialista internazionale - che il passaggio dal capitalismo al socialismo si sarebbe verificato solo quando lo sviluppo delle forze produttive avesse toccato il culmine, solo cioè dopo la fase dell'accumulazione forzata del capitale e della industrializzazione del sistema produttivo.

Essi si resero conto che il socialismo, per liberare gli uomini da tutto ciò che li opprimeva, aveva bisogno di una base materiale adeguata, vale a dire di un sistema produttivo opulento.

Di qui l'esaltazione della rivoluzione industriale e della borghesia capitalistica quale artefice dell'illimitato sviluppo delle forze produttive. Di qui altresì la tesi della rivoluzione comunista come rivoluzione post-industriale. Il capitalismo doveva compiere per intero il suo ciclo storico espandendosi a livello planetario. Poi si sarebbe palesata la contraddizione fondamentale tra le forze produttive ed i rapporti di produzione che avrebbe portato allo scontro frontale fra la borghesia ed il proletariato. Ma fino a quando la borghesia non avesse completato la sua missione storica, non sarebbe stato possibile parlare di socialismo. Occorreva pertanto controllare l'impazienza rivoluzionaria, frenare la tentazione continuamente risorgente di voler materializzare subito ed a qualsiasi costo il progetto socialista. Per questo un grande teorico del socialismo democratico, che è stato anche un grande esegeta del pensiero marxiano - mi riferisco a Rodolfo Mondolfo - soleva dire che il Capitale era un invito alla prudenza, un ammonimento a non precipitare i tempi, visto che il parto del nuovo ordine sociale può avvenire solo al nono mese, e non già prima. Diversamente, i rivoluzionari si sarebbero trovati fra le mani un aborto o, peggio, una creatura mostruosa, lontanissima dalle loro aspettative.

A questa strategia si attenne la SPD (partito socialdemocratico tedesco) e soprattutto il suo maggior teorico, Karl Kautsky, che lottò costantemente contro tutte le forme di estremismo ed impazienza rivoluzionaria. Kautsky tenne sempre presente quella che era l'idea direttiva della strategia delineata dal Capitale : attendere che anime e cose fossero mature per il passaggio al socialismo e, nel frattempo, lavorare ad elevare il grado di coscienza di classe dei lavoratori ed a sviluppare e perfezionare le loro organizzazioni di lotta. Dal momento che la rivoluzione non poteva essere prodotta dalla capricciosa volontà di alcuni dottrinari ma sarebbe scaturita logicamente ed ineluttabilmente dalle contraddizioni interne al sistema, la SPD doveva definirsi come un partito rivoluzionario non come un partito che fa rivoluzioni.

La seconda strategia elaborata da Marx ed Engels si appoggiava su una ipotesi: che il sistema capitalistico avesse gli anni contati e che sarebbe precipitato nel nulla storico a causa delle sue insanabili contraddizioni interne. Se tale ipotesi non fosse stata suffragata dai fatti, i partiti socialisti avrebbero dovuto modificare la loro linea d'azione. Essi avrebbero dovuto ricorrere alla strategia dell'allargamento graduale, metodico, progressiva della democrazia liberale.

Già Marx nel 1872 all'Aja, anticipò una simile svolta. Disse che dove esisteva una consolidata tradizione liberaldemocratica (Inghilterra, Stati Uniti e Olanda) sarebbe stato possibile ed opportuno saggiare una strategia riformista e fare in modo che il socialismo trionfasse con mezzi assolutamente pacifici. Ma fu soprattutto Engels che, poco prima di morire, in quello che viene considerato il suo testamento politico - mi riferisco alla prefazione del 1895 - pose le basi ideologiche della via democratico-riformista al socialismo.

Prima di tutto Engels riconobbe esplicitamente che la prospettiva rivoluzionaria - cioè l'abbattimento dello stato borghese come unico mezzo per liberare la classe operaia dallo sfruttamento capitalistico - era superata, per ragioni politiche oltre che per ragioni strettamente tecniche. I rivoluzionari delle passate generazioni avevano accarezzato l'idea di poter instaurare con un colpo a sorpresa il socialismo, grazie all'energica e risoluta azione di una minoranza cosciente ed attiva.

Senonchè l'evoluzione storica della società moderna rendeva palese che ciò era assolutamente impossibile. La Comune stava lì a testimoniare il carattere irrealistico del modello quarantottesco.

Da ciò egli trasse una logica conseguenza: che era necessario modificare la tattica del movimento operaio. Coerentemente con le conclusioni della sua nuova analisi, egli espresse piena fiducia negli strumenti della democrazia liberale e vide nel suffragio universale un mezzo che non aveva l'uguale per entrare in contatto con le masse popolari e costringere i partiti borghesi a difendersi dagli attacchi socialisti davanti al popolo.

Il discorso di Engels fu ripreso e sviluppato da Eduard Bernstein nei Presupposti del socialismo ed i compiti della socialdemocrazia. Qui non solo il modello operativo abbozzato nel Manifesto fu messo in discussione sulla falsariga della autocritica di Engels, ma anche la validità dell'idea del crollo catastrofico del capitalismo fu sottoposta ad una critica serrata. Dal momento che nulla indicava che il sistema di mercato era allo stremo - questa in sintesi la tesi centrale di Bernstein -, davanti al movimento operaio non restava che una via: quella intravista da Marx e teorizzata da Engels: il metodo gradualistico basato sulle riforme sociali e politiche e la lotta di classe per il superamento dei limiti borghesi della democrazia liberale. Conseguentemente l'Internazionale Socialista doveva mettere da parte l'utopia millenaristica del salto rivoluzionario dal regno della necessità al regno della libertà e lavorare come una talpa nel sistema per cambiare dall'interno la struttura. Occorreva, in altre parole, erodere con una azione lenta e paziente i centri di potere della classe dominante, sottoporre lo sviluppo economico al controllo della collettività, democratizzare le istituzioni, sviluppare la partecipazione dal basso e le forme di autogoverno.

Ma la conquista del potere da parte dei bolscevichi riaccese la fiamma della speranza rivoluzionaria. Il modello operativo del Manifesto, che Marx ed Engels avevano ripudiato esplicitamente, ritornò di colpo alla ribalta della storia. A molti sembrò che Lenin e Trotzky avevano trovato il modo giusto per provocare il parto della società socialista: militarizzazione del movimento operaio, guerra di classe, dittatura del partito unico, statizzazione integrale della vita economica. Antonio Gramsci non esitò a scrivere che la conquista del potere da parte dei bolscevichi doveva essere interpretata come una "rivoluzione contro il Capitale".

Certo i bolscevichi si consideravano come dei marxisti ortodossi. Ma lo erano solo a condizione di considerare insignificante tutto quello che Marx ed Engels avevano scritto dopo la delusione del Quarantotto. In breve: il marxismo di Lenin e Trotzky non era altro che il giacobinismo giovanile di Marx ed Engels; un concentrato di volontarismo ed estremismo, di speranze millenaristiche e di autoritarismo, di moralismo esasperato e di realismo machiavellico.

Stando così le cose, si capisce perché tutti i maggiori leaders della Seconda Internazionale rifiutarono di riconoscersi nel progetto bolscevico. Malgrado le divergenze che li dividevano essi concordarono tutti su un punto: che socialismo e giacobinismo erano termini antitetici. Il giacobinismo, in effetti, è una concezione elitistica, autoritaria e totalitaria della rivoluzione. Affida ad una minoranza cosciente ed attiva il compito di creare autocraticamente la società perfetta. Il giacobinismo promette la democrazia sostanziale e la vera libertà, ma di fatto porta alla dittatura totalitaria dei custodi dell'ideologia. Proudhon meglio di qualsiasi altro ha individuato - e condannato - l'essenza del progetto giacobino: "dateci diritto di vita e di morte su voi tutti, essi dicono, e vi porteremo alla salvezza".

Tuttavia il legame tra bolscevismo e marxismo non si limitò al recupero del giovanile giacobinismo di Marx ed Engels. C'era una idea alla quale questi annettevano la massima importanza: la superiorità del collettivismo sull'economia di mercato, che essi identificavano con il capitalismo e quindi con lo sfruttamento. Nei loro scritti la statizzazione integrale dei mezzi di produzione è concepita come il passaggio obbligato per accedere alla società socialista.

Fu appunto questa idea che i dottrinari bolscevichi vollero applicare con rigorosa consequenzialità. "Il capitalismo di stato è l'anticamera del socialismo" diceva Lenin. Noi oggi conosciamo tutte le conseguenze negative di questa idea. Il monopolio delle risorse materiali porta alla fusione del potere economico e del potere politico, cioè al potere totale.

Lungi dal liberare il lavoratore, la statizzazione generalizzata della economia diviene la base materiale della dittatura monopartitica e della formazione di una nuova classe. Sicchè si può concludere che i bolscevichi credettero di lavorare per la liberazione degli uomini dallo sfruttamento, ma di fatto finirono per essere le prime vittime di quella legge sociologica che Max Weber chiamava il "paradosso delle conseguenze" .

Vollero sinceramente il regno della libertà e invece fecero nascere il regno del partito unico, totalitario e dei suoi funzionari. I partiti socialisti e socialdemocratici hanno seguito la via opposta. Hanno preferito attenersi alle indicazioni del vecchio Engels ed alla metodologia abbozzata da Bernstein. Anziché distruggere la democrazia rappresentativa, l'hanno potenziata; anziché cancellare il mercato, hanno mirato a sottoporlo al controllo politico; anziché accentrare i processi decisionali, hanno cercato di decentrarli in modo di avvicinare la cosa pubblica ai lavoratori. Certo, non sono riusciti ancora a creare un tipo di società conforme ai principi della democrazia socialista, dal momento che ancora oggi le società europee presentano tratti tipicamente classisti. Ma il metodo da essi adottato è risultato essere l'unico capace di accrescere la libertà e l'influenza delle classi lavoratrici. C'è quindi molto lavoro davanti a noi e molti problemi palesano una complessità assai superiore a quella che pensavamo.

Oggi alla luce degli esperimenti compiuti nei paesi che hanno saggiato la via leninista, ci appare chiaro che la statizzazione integrale dei mezzi di produzione fagocita la logica pluralista e tende a distruggere tutte le precondizioni che rendono possibile lo sviluppo della libertà delle classi lavoratrici. Sappiamo che Marx ed Engels su questo specifico punto si erano sbagliati. Ma sappiamo anche che essi non hanno mai cessato di vedere criticamente le loro posizioni e che la loro teoria della transizione al socialismo era multipla ed in continua evoluzione.

In altre parole, ci sono vari modi di essere tributari del grande insegnamento di Marx ed Engels. E' giusto esprimere una fedeltà critica che non rinuncia a praticare l'unico metodo che può permetterci di correggere i nostri errori: il controllo continuo delle nostre ipotesi, la verifica metodica tra aspettative e conseguenze. Un tale procedimento Marx ed Engels lo hanno applicato alle loro stesse idee, alcune delle quali non esitarono ad abbandonare di fronte alla smentita della storia. E questo proprio perché essi cercarono di essere fedeli al proprio progetto fondamentale, che era la liberazione dell'umanità da tutte quelle realtà che le impedivano - e tuttora impediscono - di realizzare se stessa.

Del resto quello che il marxismo ha significato per il movimento operaio europeo è già da tempo consegnato alla storia. Grazie ad esso - ai suoi formidabili strumenti analitici ed alla critica distruttiva di ogni forma di classismo - i lavoratori hanno acquistato una coscienza politica, un ruolo fondamentale nella nostra società. Il marxismo continua a far parte del corredo intellettuale e morale del socialismo democratico proprio perché esso ha proclamato a chiare lettere il diritto di tutti gli uomini alla libertà sostanziale. Il marxismo non aveva e non ha tutta la ragione dalla sua, ma la parte di ragione che ha è sufficiente per considerarlo una delle componenti imprescindibili dell'ethos del socialismo democratico.

Quanto agli errori ed alle illusioni di Marx ed Engels, spetta a noi fare in modo che essi non continuino ad operare, producendo i loro tipici effetti negativi. In questo senso il socialismo moderno può dirsi marxista, ma deve dirsi anche revisionista. Il destino di tutti i grandi dell'umanità - Marx ed Engels lo sono stati in sommo grado - è quello di essere superati, non già imbalsamati e trasformati in feticci. Questo è l'unico modo di sviluppare criticamente quello che essi ci hanno insegnato.



sabato 13 agosto 2011

Lega dei socialisti: Governo di unità nazionale? Mai subalterno all’economia

Lega dei Socialisti: Governo di unità nazionale?
Mai subalterno all’economia !


«L'economia mette "sotto tutela" gli stati nazionali. I cittadini sono costretti a colmare i vuoti di bilancio degli stati che a loro volta sono "strumenti" attraverso i quali l'economia globale cerca di limitare i danni. Gli assenti, in questo schema, sono i partiti politici della sinistra, italiana ed europea, che, incapaci di coordinarsi e di produrre un progetto comune, si illudono di poter "cavalcare la tigre" senza venire azzannati, spacciando per proposta politica una serie di placebo che danneggiano i più deboli e non incidono minimamente sui danni creati dalla finanza.

Sul tema interviene "Franco Bartolomei", Segretario Nazionale della Lega dei Socialisti e membro della direzione nazionale del PSI: "la sinistra ufficiale si illude, a questo punto non so più quanto in buona fede, di poter cavalcare questo attacco alimentando una promessa di maggiore affidabilità, sperando in tal modo di supplire alla propria incapacità di costruire un consenso maggioritario nel paese attorno ad una propria autonoma proposta alternativa di modello di sviluppo." All'interno di questo scenario, prosegue Bartolomei, "non giunge alcun significativo segnale diretto a riunificare le forze socialiste di ognuno dei singoli paesi della UE attorno ad un concreto programma di ristrutturazione democratica della costruzione europea, che porti ad invertire in modo deciso, in favore della sovranità democratica liberamente espressa dalle popolazioni d'Europa, l'attuale rapporto di assoluta subalternità esistente tra le classi politiche e le tecno strutture finanziarie che a livello mondiale e continentale orientano in modo assolutamente vincolante le scelte dei governi".

Oggi è fin troppo evidente che le scelte economiche imposte ai governi nazionali hanno una sola finalità, che è quella di far ingoiare, per amore o per forza, il prezzo del riequilibrio del sistema ai ceti medio bassi. Gli stati non correggono più i mercati, si limitano a dire "si". La sinistra non impone la difesa dei deboli nè l'intervento dello stato per far assumere a chi è responsabile di queste sciagure la propria responsabilità. Anche la sinistra si limita a dire "si". All'interno di questo sistema malato, la Lega dei Socialisti vuole agire da anticorpo, "cercando di costruire una rete di alleanze politiche con tutte le forze ed i movimenti interessati a riprendere le fila di un ragionamento critico sulle scelte di politica economica e sociale".

A chi invoca un governo di responsabilità nazionale per far fronte al momento drammatico che il paese attraversa, Bartolomei risponde "L'ipotesi di un Governo di unità nazionale può essere avanzata dalla sinistra esclusivamente allo scopo di costruire un esecutivo di largo consenso che sia in grado di resistere alle richieste di compressione dello Stato Sociale e di sterilizzazione della sovranità nazionale proveniente dalle autorità finanziarie sovranazionali. Un governo in grado di riuscire ad attivare, sulla base di una diversa progettualità, meccanismi di crescita fuori dai dettami e dalle strettoie liberiste e monetariste indicate dagli organismi finanziari internazionali".
Un esecutivo, quindi, che sia realmente in grado di operare scelte a favore del paese e dei cittadini, che non mascheri una reale subalternità al mondo economico con semplici slogan, parole d'irdine e "cerotti" vari ma che invece reclami nei fatti, con forza e determinazione, la sua indipendenza. Un governo, infine, che non sia la prosecuzione, a sinistra, del modus operandi e dell'essenza del berlusconismo.
"In nessun caso", conclude Franco Bartolomei "può essere proposta una soluzione di unità nazionale al solo scopo di costruire un quadro politico nuovo in cui viene avviata una progressiva sostituzione del centro-destra sul terreno di una maggiore affidabilità garantita al sistema finanziario mondiale da parte di una nuova classe dirigente, espressione della sinistra ufficiale."

A queste condizioni ben venga un governo di unità nazionale...

Lega Nazionale dei Socialisti

giovedì 11 agosto 2011

Lettera ai compagni della Lega dei Socialisti, della Sinistra Socialista e del Network per il Socialismo Europeo

Roma - Giovedì 11 Agosto 2011 16:30

Cari compagni,

Il succedersi degli eventi, conferma purtroppo, al di là delle apparenze, come nuovamente, dopo il '92/'93, ancora una volta l'equilibrio politico esistente in Italia viene messo in discussione a livello internazionale "da destra" non riuscendo più a garantire la coesione del Paese sul terreno della adesione ai nuovi processi di integrazione finanziaria mondiale, caratterizzati da una ulteriore compressione di ciò che resta delle sovranità nazionali, necessari a garantire il superamento degli effetti della esplosione della bolla finanziaria attraverso la sterilizzazione pressochè totale dei bilanci pubblici delle economie dei paesi meno competitivi.


Ancora una volta purtroppo la sinistra ufficiale si illude, a questo punto non so più quanto in buona fede, di poter cavalcare questo attacco alimentando una promessa di maggiore affidabilità, sperando in tal modo di supplire alla propria incapacità di costruire un consenso maggioritario nel paese attorno ad una propria autonoma proposta alternativa di modello di sviluppo.
Purtroppo a differenza di come molti si impuntano a voler sostenere, senza guardare in faccia l'amara realtà, dal resto del movimento socialista europeo, a cominciare dai due partiti dei paesi guida, PSF ed SPD, non giunge alcun significativo segnale diretto a riunificare le forze socialiste di ognuno dei singoli paesi della CEE attorno ad un concreto programma di ristrutturazione democratica della costruzione europea, che porti ad invertire in modo deciso, in favore della sovranità democratica liberamente espressa dalle popolazioni d'europa, l'attuale rapporto di assoluta subalternità esistente tra le classi politiche e le tecno strutture finanziarie che a livello mondiale e continentale orientano in modo assolutamente vincolante le scelte dei governi, utilizzando palesemente l'intervento "correttivo" dei mercati, governati da fonti di concentramento di entità finanziarie enormi, superiori alla stessa capacità di spesa degli stati nazionali più sviluppati, in grado di essere movimentate con tempestività impressionante, che agiscono letteralmente a comando sulla base di imput diretti palesemente a forzare le scelte economiche dei paesi in direzione di un piano di sviluppo, spesso preventivamente anticipato e progettato.
Rispetto al '92 esiste però una differenza sostanziale che potrebbe costituire la base di partenza per la ricostruzione di un grande blocco democratico riformatore in tutte le società economicamente più sviluppate, teatro principale degli effetti della crisi finanziaria globale.
Mentre nel '92 i processi di integrazione forzata erano diretti a costituire lo scenario istituzionale di un modello apparentemente di crescita, oggi tutte le opinioni pubbliche hanno chiaro, di fronte a sè, come le attuali forzature compiute dalle istituzioni finanziarie protagoniste dei mercati nei confronti dei sistemi economici ed aziendali dei paesi in difficoltà di bilancio sono esplicitamente finalizzate a fare ingoiare alle forze sociali dei paesi tradizionalmente più sviluppati, il prezzo di un riequilibrio difficilissimo tra la situazione deficitaria del bilancio degli stati, le stringenti esigenze di produttività dei rispettivi sistemi economici rispetto alla concorrenza mondiale, gli eccessi di liquidità privata esistenti nei mercati finanziari rispetto alla ridottissima possibilità di nuova emissione monetaria da parte delle banche centrali, e l'indebitamento massiccio che grava su tutto il sistema bancario-assicurativo e finanziario mondiale.
Questa consapevolezza diffusa dei limiti di un sistema economico integrato a livello sovranazionale, in cui l'elemento finanziario agisce ormai in contrasto con gli interessi, reali e concreti, delle comunità dei produttori, dei lavoratori e degli stessi imprenditori, può costituire la base sociale di un nuovo grande patto democratico, nei popoli e tra i popoli, verso un nuovo modello di rapporti economici e sociali, in cui l'economia reale, la qualità concreta dei rapporti interpersonali, sociali, e produttivi, i parametri di valutazione della ricchezza sociale effettivamente goduta dai cittadini, la riqualificazione dei consumi all'interno di un più generale processo di maturazione culturale delle società sviluppate, possono tornare ad essere le pietre angolari di un progetto di rinascita democratica della società.
La Lega dei Socialisti deve lavorare lungo questa direttrice di azione, cercando di costruire una rete di alleanze politiche con tutte le forze ed i movimenti interessati a riprendere le fila di un ragionamento critico sulle scelte di politica economica e sociale, solo apparentemente neutre, che le classi dirigenti delle società dell'occidente democratico, più o meno convintamente, si predispongono a proporre, in apparente assenza di alternative.
Questo nostro approccio critico alla realtà che ci circonda deriva dalla profonda convinzione di fondo che l'economia sia in realtà una scelta sociale assolutamente complessa, e non una scenza esatta che non lascia margini alla creatività individuale, pur nella logica considerazione di una equilibrata e realistica valutazione dei dati della realtà sociale e produttiva.


*LETTERA APERTA AL SINDACO DI CIVITANOVA MARCHE, MASSIMO MOBILI, SU POPSOPHIA*



*LETTERA APERTA AL SINDACO MOBILI*



Un tempo si diceva che "non si poteva parlare male di Garibaldi",
sembra che oggi, a Civitanova, sia considerato quasi oltraggioso
dissintere su qualità e gestione di Popsophia.




Lei, Signor Sindaco, so gia, me lo "consenta", che mi risponderà (se
mi risponderà) evitando il "merito" delle questioni che tenterò di
porle ed utilizzando il solito ritornello della mia... "ricerca di
visibilità" come se a Civitanova esistesse qualcuno che non mi
conosce. "Ma mi faccia il piacere", direbbe il grande Totò.
Malgrado ciò provo lo stesso a dar voce ai dubbi, agli interrogativi
ed anche alle critiche che in tanti, mi creda, si limitano a...
"sussurrare".




Cercherò di essere diretto e conciso:


1) la qualità del "Cartellone" non è valutabile soltanto sul personale
spessore culturale in alcuni casi, ma solo in alcuni, indiscutibile
dei singoli oratori ma dipende da svariate componenti: dal filo
conduttore che è stato dato dai "temi" scelti per i diversi eventi
settimanali, dalle Rassegne, Mostre ed Intrattenimenti che hanno
completato il Cartellone stesso, dalla conduzione e gestione logistico
- ambientale sino al reale coinvolgimento di tutte le energie
culturali e sociali del nostro territorio.
E' l'insieme di questi ed altri elementi che danno un quadro
complessivo e da cui scaturisce un giudizio insoddisfacente e la
trasformazione di una Manifestazione di reale spessore culturale, come
Tuttoingioco, in una sua copia sbiadita di matrice
"nazional-popolare".




2) Mi limito, per il momento, ad un solo esempio e ad una domanda.
Perchè si è scelto uno spazio ristretto come il Lido Cluana, per
quelli che si sapeva essere i due appuntamenti di maggior richiamo con
Massimo Cacciari e Margherita Hack ? Così facendo la "Lectio" dei due
è stata costantemente disturbata dallo strepitio di piatti e posate
dei commensali del Ristorante. Perchè ?




3) Lei, Signor Sindaco, ha più volte ostentato i "grandi" numeri della
partecipazione come se fossero un "marchio di qualità".
Se le cose stessero così i 100.000 (centomila) presenti alla "Notte
Bianca" di San Benedetto del Tronto (a cui hanno partecipato anche mio
figlio ed i suoi amici e, quindi, lo dico senza alcuna animosità
polemica) che cosa dovrebbero farci concludere ? Semplicemente che si
tratta di una iniziativa molto ben pubblicizzata con una
partecipazione fisiologica per una serata d'estate sulla Costa
Adriatica. Lo stesso vale per una Manifestazione come Popsophia che ha
scelto di rivolgersi ad un target di pubblico (rispettabile) da...
"Buona Domenica" (definizione non mia ma del Consigliere di
maggioranza Giorgio Pollastrelli che condivido).




4) Lei, Signor Sindaco, ha sempre omesso, anche nella Conferenza di
ieri in Regione, di fornire un Rendiconto dettagliato di Entrate e
Uscite dell'intera Manifestazione.
So bene che il concetto di "Trasparenza Amministrativa" non è nelle...
"corde" della Giunta e di gran parte della sua maggioranza consiliare
ma fornire ai cittadini nomi e cifre è un suo dovere per permettere
loro di poter esprimere un giudizio informato anche in base al
rapporto costi/benefici.
Quale cifra hanno versato i singoli "Sponsor" e qual'è stato il costo
per il Comune, elenco nominativo con parcelle - emolumenti degli
oratori e di tutti i collaboratori, costi, gestioni e "convenzioni" di
tutte le Rassegne ed iniziative, questi sono i dati che è suo dovere
rendere pubblici, Signor Sindaco.




Solo così si potrà dare una valutazione complessiva dell'evento e,
dopo il giudizio già espresso sulla scarsa qualità, dire se il "1'
Festival del Contemporaneo" è stato degradato a.... "Sagra
Strapaesana".




Civitanova Marche, li 11 Agosto 2011


IVO COSTAMAGNA
(Già Sindaco di Civitanova ed Assessore Cultura Regione Marche)


domenica 7 agosto 2011

Camila mette in crisi il governo cileno

Camila mette in crisi il governo cileno

Dicono sia molto riservata, soprattutto per quel che riguarda la vita privata. Tranquilla e riflessiva. Dicono anche che negli ultimi mesi sia diventata più audace. Coraggiosa e determinata. Sono i tratti distintivi del carattere di Camila Vallejo. Questo nome non vi dirà niente. Ma Camila, 23 anni e studentessa di Geografia, in Cile è una star. Un po’ per le sue idee politiche che stanno mettendo in crisi il governo del Paese, un po’ perché è davvero bella. Lunghi capelli scuri. Occhi verdi tendente all’azzurro. Un piercing al naso. E ogni volta che i media (nazionali e non) le fanno notare la sua bellezza, lei risponde: “Non ho scelto io il mio aspetto fisico, ho scelto però le mie battaglie”.

La prima su tutte riguarda il sistema scolastico pubblico. Camila è il presidente del Fech, Federazione degli studenti dell’università del Cile. La seconda donna in 106 anni di storia. È stata eletta nel 2010, superando anche il leader Giorgio Jackson che le riconosce “una marcia in più”. Il punto è che Camila da quattro mesi sta guidando la protesta nel Paese. Migliaia di studenti in piazza. Centinaia di istituti occupati. Poi flash mob, carri allegorici e iniziative colorate. Come una corsa a staffetta di 1800 ore intorno al Palazzo del governo. Il dissenso è stato contagioso. E alla fine Camila ha portato in piazza per ben tre volte 200mila persone. Non solo studenti (compresi quelli delle scuole private) in marcia anche famiglie, anziani e cittadini. Tutti a chiedere un’istruzione più equa. E soprattutto meno dispendiosa: basti pensare che per andare all’università pubblica servono quasi mille euro al mese. Una spesa insostenibile per molti che si indebitano per decenni.

Insomma Camila vuole riformare il sistema in vigore dalla dittatura. E i cileni, restii alle proteste di massa, questa volta sono d’accordo, o almeno l’81 per cento di loro. Il governo che spende l’0,84 per cento del Pil (ben al di sotto delle media mondiale) nell’istruzione sembra non voler ascoltare. Ha proposto una riforma che prevede un aumento dei fondi, ma loro hanno rifiutato. Vogliono cambiare. E così la popolarità del presidente Sebastián Piñera è scesa dal 70 per cento, quando salvò i minatori dal pozzo, al 35. I media cileni ne attribuiscono la causa anche alla protesta degli studenti.
E Camila viene intervistata di continuo. Spiega con freddezza le ragioni degli studenti, snocciola dati. Non perde la calma nemmeno quando in un confronto televisivo, politici navigati fanno della suo aspetto un punto debole. “Sei tanto intelligente. Ma dovresti essere un po’ meno bella perché a questo modo capita che uno si distrae e non ascolta”. Sarà. Ma intanto “Compagna Camila” (di formazione socialista, come i suoi genitori), va dritta per la sua strada. Vuole vincere la battaglia per una scuola “più equa” e regolarizzare “la giungla delle private”. Per poi “continuare nella politica, nel partito”. E dalla sua ha migliaia di persone che la seguono. Oltre 20mila fan sulla sua pagina Facebook. Centinaia di commenti sui video, decine di “innamorati”. E c’è chi le ha dedicato pure una canzone.

Una sovraesposizione mediatica che in Italia a nessun giovane è concessa. È una mancanza di idee? O un problema del sistema?



venerdì 5 agosto 2011

*PSI news del 5 agosto 2011*








PSI news del 5 agosto 2011






*UNA CRISI SENZA PRECEDENTI, UN GOVERNO ANCORA ASSENTE*





di Riccardo Nencini






Si poteva fare di più per arginare la speculazione finanziaria contro
l'Italia? Sì, si poteva e si doveva. Il presidente del consiglio, nel
suo intervento alle Camere, ha mostrato un attendismo incomprensibile,
come se non avesse strumenti più incisivi da utilizzare di quelli finora
messi in campo. E non si può neppure dire che non manchino le proposte.
Ci sono quelle che hanno avanzato parti sociali, industriali e sindacati
assieme. Ci sono quelle suggerite da autorevoli economisti, a cominciare
dalla più semplice e immediata di un anticipo delle tappe della manovra
economica spostandone il peso maggiore nei mesi a venire e non a dopo la
scadenza naturale della legislatura. C'è anche la richiesta delle
opposizioni, chiara e accorata, di discontinuità con la maggioranza
attuale. E di crescita.







Serve solidità e serve una maggiore equità sociale, incardinata sul
principio secondo il quale chi più possiede deve contribuire con
maggiore responsabilità, evitando che la manovra sia un bagno di sangue
per le fasce più deboli.
Due provvedimenti dovrebbero essere assunti subito: tassare le rendite
finanziarie e introdurre una patrimoniale, 'idea 'forte' riemersa negli
interventi dell'ex presidente del consiglio Giuliano Amato. Una strada
indubbiamente difficile, ma che non può essere scartata a priori, anche
se il solo parlarne ha già generato una ripresa delle esportazione
clandestine di capitali verso paradisi fiscali e banche compiacenti.
L'Italia ha dimostrato in tanti frangenti della sua storia di saper
essere unita e decisa nelle situazioni di vera emergenza nazionale e
questa lo è. Questa può essere la carta decisiva per adottare
provvedimenti tali da spezzare la spirale perversa del debito pubblico.







Nei giorni scorsi, così come ha fatto il leader spagnolo Zapatero,
Berlusconi avrebbe potuto annunciare le sue dimissioni per portare il
Paese alle elezioni anticipate e a un nuovo governo all'altezza della
situazione. Oppure avrebbe potuto tentare un allargamento della sua
maggioranza, ovviamente rendendo disponibile la poltrona di Palazzo
Chigi.
La prima strada avrebbe il pregio di portare alla nascita di un
Esecutivo su un programma calibrato sulla crisi economica in atto, ma
ci esporrebbe anche ad un periodo di vuoto di potere.
La seconda avrebbe il pregio di dare subito la risposta che i mercati si
attendono, ma avrebbe comunque come naturale orizzonte quello di un
ritorno anticipato alle urne. Ed è forse oggi questa l'unica vera
strada percorribile.







Certamente senza l'ingresso nel governo di forze politiche
responsabili, capaci di un riformismo vero - e nell'opposizione ve ne
sono - rischiamo
una burrasca al giorno, ognuna potenzialmente in grado di affondarci.
Invece di discutere su un carnascialesco trasloco di ministeri al Nord o
sull'ennesima legge che garantisce un solo italiano e la nega a tutti
gli altri, come quella che allunga i processi fino a farli morire,
dovremmo sederci attorno a un tavolo, affrontare i problemi reali e
prendere le iniziative che servono.







Berlusconi invece, di nuovo, ha scelto di non scegliere, lasciando
l'Italia nel guado. Con la piena in arrivo.







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*"AVANTI, UNA NUOVA ITALIA !"
FESTA NAZIONALE SOCIALISTA (BOLOGNA, 3-11 SETTEMBRE)*














Si svolgerà a Bologna quest'anno
la Festa Nazionale Socialista, dal 3 all'11 settembre prossimi,
caratterizzata dallo lo slogan "Avanti, una nuova Italia!", a
prefigurare una nuova stagione politica per il centrosinistra e il Psi.
Lo spazio dedicato alla festa, che avrà luogo a Borgo Panigale (tra
Viale Togliatti e Viale Salvemini),
ospiterà interessanti occasioni di
confronto tra le forze politiche di maggioranza e di opposizione e vari
momenti di approfondimento e riflessione su temi di maggiore attualità
dell'agenda politica nazionale: dalla questione relativa alla
preoccupante crisi economica che attraversa in questi mesi il Paese, al
tema del federalismo, delle pari opportunità, della sempre crescente e
allarmante precarizzazione del lavoro, alla problematica relativa ai
costi della politica, tema caro al Psi guidato dal suo leader, Riccardo
Nencini, che ha lanciato per tutto il mese di agosto una campagna in
rete per abbattere gli sprechi dei costi della politica. La festa
nazionale socialista sarà anche occasione per analizzare la situazione
di crisi del Governo, nell'intento di fornire proposte e contributi per
una valida alternativa dell'area riformista di centrosinistra.








Tra gli ospiti del segretario nazionale socialista Riccardo Nencini, il
leader del PD Pier Luigi Bersani e il vicesegretario Enrico Letta, l'ex
guardasigilli e neosegretario del Pdl Angelino Alfano, il leader
dell'Udc Pier Ferdinando Casini, Italo Bocchino e Benedetto Della Vedova
di Fli, Leoluca Orlando, portavoce di Idv, i deputati Radicali Rita
Bernardini e Maurizio Turco, il presidente della regione Campania
Stefano Caldoro, Virginio Merola, Matteo Renzi e altri sindaci delle
maggiori città italiane.
Sarà anche presente una delegazione di rappresentanti dell'AUF,
l'associazione dei giovani laburisti norvegesi, i quali verranno
ospitati dal Psi e dalla FGS, Federazione dei Giovani Socialisti, per
condividere con loro il ricordo delle vittime dei terribili avvenimenti
del Summer Camp nell'isola di Utoya, in un evento dal titolo "Nel nome
della Rosa".
Alla festa socialista non mancheranno occasioni di dibattito culturale -
come l'appuntamento giornaliero con "La Biblioteca del Riformista" - che
saranno animate da dirigenti del Psi, illustri ospiti del mondo
universitario, della cultura e del giornalismo.
Ancora, all'interno della festa sarà allestita una mostra fotografica a
cura della fondazione "Anna Kulishioff" di Milano, che farà ripercorrere
la storia del socialismo italiano dal 1889 all'avvento del fascismo.
Spazi dedicati al ristoro, librerie, musica e serate danzanti, wi-fi
free.







Info: Qui
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http://www.partitosocialista.it/Portals/PartitoSocialista/Documents/Fes
taNazionaleSocialista.htm
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