Nella storia d'Italia, dal dopoguerra in poi, non c'era mai stato un governo di destra che stesse al potere così a lungo. In pratica, quasi dieci anni senza interruzione, se non consideriamo la breve parentesi del governo Prodi bis, che sicuramente non ha saputo interrompere la continuità di una tendenza rovinosa soprattutto per l'assetto civile e culturale del nostro Paese.
Mai era capitato che un ministro dell'Economia deridesse quel mondo della cultura che dovrebbe essere uno dei settori trainanti per le nostre finanze pubbliche, dato che possediamo circa un terzo del patrimonio artistico mondiale (e che purtroppo lasciamo in gran parte abbandonato al saccheggio), al punto tale da affermare senza ritegno che «la cultura non dà da mangiare». Come se non si sapesse che in un Paese moderno ed avanzato proprio questo settore è destinato non solo a fornire una gran quantità di posti di lavoro, ma anche ad assicurare un futuro alle nuove generazioni, mediante una adeguata formazione.
I governi di destra ed il berlusconismo imperante hanno invece tagliato risorse preziose al mondo della cultura, riducendo le sovvenzioni agli enti locali che promuovono inziative culturali, colpendo inesorabilmente la scuola pubblica e privandola di preziose risorse, e, al contempo, sovvenzionando quella privata e confessionale.
L'obiettivo di rendere l'Italia simile ad una sorta di repubblica delle banane sul modello di certi stati del terzo mondo, in cui una classe dirigente corrotta obbedisce alle direttive dei grandi centri strategici sul piano militare e dominanti su quello economico è stato quasi raggiunto. La guerra in Libia ha ampiamente dimostrato che la nostra sovranità ed i nostri interessi nazionali sono stati, di fatto, annullati, come mai era successo, non dico dal dopoguerra, ma dalla stessa nascita dell'Italia come Stato unitario. Tanto è che qualcuno, come rimedio, si appresta già a configurare una secessione e, paradosso tra i paradossi, nel 150° anniversario dell'Unità d'Italia, propone di dividerla di nuovo, mettendo, dagli scranni governativi, su di essa il timbro con la scritta: «fine».
Per portare a termine questa opera infame, manca solo di annullare i simboli fondanti della nostra Repubblica, le ricorrenze che, più di tutte, ci ricordano come essa è nata, e quali regole si è data per assicurare un futuro alle nuove generazioni.
Cancellare le festività del 25 Aprile e del 2 Giugno è consequenziale e direttamente collegabile alla abrogazione del 1 Maggio, proprio perché la nostra Costituzione, nata dalla lotta di Liberazione e dalla Resistenza, ci ricorda costantemente che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro e sui lavoratori che ne hanno diritto. E' questa una sorta di «trinità laica» che ha garantito per decenni la vitalità di tante lotte tra i lavoratori italiani, per la conquista di diritti essenziali e per tutelare la libertà dagli attacchi del rigurgito neo fascista e del terrorismo.
Far saltare queste fondamenta, vuol dire spargere sale sul significato stesso della democrazia italiana.
E' necessario reagire con fermezza, mobilitando tutte le forze della cultura, del lavoro, del sindacato ancora libero dai diktat padronali, tutta la società civile che ancora non si rassegna ad essere messa in ombra e ridotta a «servitù di casta», per difendere a tutti i costi questi simboli della nostra democrazia, della Repubblica Laica e del Lavoro come strumento di civiltà.
Da tempo vado sostenendo che la plutocrazia corrotta imperante è, sotto vari aspetti, anche peggio del fascismo, sebbene non si sia imposta a suon di manganellate, ma con un rigido controllo degli strumenti di comunicazione e mediatici, perché questa forma di subdolo dominio si impone in primo luogo nelle coscienze, impedendo l'uso degli strumenti essenziali per riconoscere il valore della libertà e della responsabilità, come la scuola pubblica. Essa annienta il passato e riduce tutto a «consumismo presente». Trasforma le persone in servi obbedienti ed incapaci di riconoscere un destino diverso da quello della servitù a cui si vuole vengano destinati dalla nascita, li «emancipa» soltanto per integrarli nel suo sistema imperialistico di vassallaggio, controllandoli come «vassalli», «valvassini» e «valvassori» a seconda del «beneficio» economico che riconosce loro, ed in cambio del grado di obbedienza che essi sono in grado di assicurare, annulla i simboli dello Stato e il significato stesso di Patria e della dignità e sovranità popolare e nazionale
Far parte quindi del «gruppo» dei «vassalli» di sinistra non è molto diverso dall'apprtenere a quello dei «vassalli di destra», anzi, può essere, di fatto, persino peggio.
Chiamarsi democratici senza lottare strenuamente per impedire che vengano rimosse con un colpo solo le fondamenta stesse della nostra democrazia è persino più rovinoso, anacronistico e irridente che avere palesemente una fisionomia, di nome e di fatto, neoliberista.
Se dunque il Partito Democratico, che rappresenta oggi gran parte dell'opposizione parlamentare esistente in Italia, consentisse questa sciagurata manovra e la rimozione delle festività fondanti della nostra civiltà, sovranità e democrazia, non sarebbe affatto più degno di chiamarsi democratico, il suo stesso nome non sarebbe altro che una truffa e una derisione dei suoi elettori.
Noi lanciamo quindi una grande inziativa a livello nazionale affinché ci sia presto una mobilitazione in tutte le piazze e in tutte le città italiane per tutelare la democrazia, la Costituzione ed il mondo del lavoro in Italia, preservando e valorizzando le festività che ci ricordano ogni anno questi valori: il 25 Aprile, il 1 Maggio e il 2 Giugno.
Aderiamo, sottoscrivendola, alla petizione della CGIL e facciamo anche nostre le sue osservazioni: «il ricordo della Liberazione del nostro Paese da una dittatura feroce e sanguinaria; la celebrazione del Lavoro come strumento di dignità per milioni di donne e uomini che con la loro fatica ed intelligenza consentono al Paese di progredire; la celebrazione del passaggio alla Repubblica parlamentare”, sono “tappe fondamentali che non intendiamo consentire vengano cancellate”. Per altro, sottolinea ancora la segreteria CGIL, “mentre irrisorio è il beneficio economico che ne deriverebbe, i costi civili sul versante della memoria e dell’identità sarebbero, se la norma venisse confermata, di gran lunga maggiori. Inoltre, è sufficiente un confronto con altre situazione per vedere come l’Italia è un Paese che ha un numero contenuto di festività civili e come in altri Paesi le ricorrenze civili siano celebrate e custodite con attenzione”. Esortiamo tutti a firmare: http://www.cgil.it/petizione/default.aspx
Invitiamo tutti i partiti della sinistra a "stringersi a coorte", a partire da SEL dal PSI e dalla FED, e tutte le associazioni a promuovere uno sforzo unitario per impedire la cancellazione di queste festività laiche, a cominciare dalla Lega dei Socialisti e dal Network per il Socialismo Europeo
Auspichiamo che il Partito Democratico non rinunci alla sua stessa identità democratica consentendo la rimozione dei simboli su cui esso pure si fonda, e invitiamo anche il Presidente della Repubblica, supremo difensore dei valori della Costituzione, a non firmare in alcun modo il decreto di soppressione delle festività del 25 Aprile, del 1 Maggio e del 2 Giugno.
Sono i pilastri della nostra Patria, della nostra libertà e del nostro futuro, se cadranno non avremo alcuna rinascita né resurrezione, ma solo una spietata eutanasia morale, civile e politica. Di conseguenza non c'è alcuna alternativa:
Patria o morte!
Vinceremo!
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