La
sala ammutoli’ al suo ingresso. Sorretto da quattro ‘amici compagni’
che su pressante richiesta lo avevano accompagnato dalla modesta casa di
Monteverde all’Ergife, riusci’ a sedersi al tavolo della presidenza
solo grazie a Giorgio Ruffolo che gli lascio’ il posto. Lo speaker
imbarazzato, tanto quanto Bettino Craxi, chiese sommessamente a Riccardo
se volesse intervenire. L’Ingegnere con un largo sorriso, ringrazio’,
si rivolse verso Craxi, poi verso la platea che accenno’ timidamente
all’applauso. Con la mano tremante impugno’ il microfono e aiutandosi
con l’altra mano se lo appoggio’ quasi alle labbra ed inizio’ il suo
ultimo intervento al Comitato Centrale del Psi che da quel giorno, il 30
giugno 1984, non gli apparteneva piu’ a differenza del socialismo. Il
tono basso della voce improvvisamente, man mano che parlava, si alzo’,
al pari dell’analisi spietata, sullo smarrimento totale dei valori
fondamentali del socialismo: in particolare le condizioni di vita della
‘povera gente’, l’unita’ della sinistra. “Ci siamo isolati da tutti”. Lo
ripete’ ben tre volte e concluse: “Un Psi così non ha motivo di
esistere”. Saluto’ con lo sguardo sorridente il gotha schierato dietro
il tavolo, strinse la mano all’amico e compagno Ruffolo ringraziadolo
del nobile gesto e sorretto dai quattro ‘amici compagni’ se ne torno’
dalla sua Ena a Monteverde. Da quel giorno, il Psi scomparve dalla scena
politica: Tangentopoli confermo’ l’analisi spietata, ma ancora di piu’
la confermarono tutti i tentativi falliti di rigenerarlo, compresa
l’attuale gestione di Riccardo Nencini. “Noi non ci battiamo per il Psi,
noi ci battiamo per il socialismo: il principio del partito vale per il
Pci, il nostro è il popolo-lavoratore”, ripete’ anche quel giorno. Da
Craxi in avanti, tutti coloro che, nessuno escluso, si sono impossessati
del Psi, fatto esattemente il contrario: anche un Psi all1% per qualche
misero posto in Parlamento, ma poco, pochissimo spazio al socialismo.
Ed e’ quel che sta accadendo in queste ultime ore nella trattativa tra
Pd e Psi per la composizione delle liste. Snobbata e saltata la
candidatura alle Primarie, il Psi sicuramente non presenterà una sua
lista autonoma apparentata al Pd ma avra’ qualche posto, non più di sei,
nelle liste del Pd. Ma chi sono i magnifici sei, di cui tre interni e
tre esterni, oppure quattro interni e due esterni? Intanto tutti graditi
e alcuni suggeriti direttamente dal Pd! Tra gli interni, Nencini di
certo. Poi gradita e suggerita, pare proprio da Bersani, Pia Locatelli,
Presidente dell’Internazionale Socialista donne; quindi Bobo Craxi, pare
sia stato suggerito da Massimo D’Alema. E se dovessero esser quattro:
il tesoriere Oreste Pastorelli. Tra gli esterni, presi da una lista di
personalità che appoggiano il Psi, i papabili sono: Claudio Martelli,
già vice di Craxi, nel 1991 da Ministro della Giustizia affido’ a
Giovanni Falcone la Direzione Generale degli Affari Penali e con lui
lavoro’ alla Superprocura antimafia e di recente sulla spinosa e
controversa trattativa Stato-mafia, ha accusato l’ex-presidente della
Repubblica Oscar Luigi Scalfaro di esser: “Lui il dominus, colui che
regnava”; di aver lui scelto “Conso, Amato, Mancino e Capriotti”,
insomma di esser stato il protagonista di una “regia che ci fu per la
‘normalizzazione’ del rapporto con la mafia”, con l’obiettivo di fermare
le stragi. Insieme a Martelli, l’ex-portavoce del Psi e direttore
dell’Avanti! Ugo Intini. In un’improbabile ipotesi del terzo esterno,
c’e’ lo storico Mario Gervasoni. La partita insomma è chiusa nonostante
sia in programma una ennesima segreteria domani: con Bobo Craxi, Claudio
Martelli e Ugo Intini, Bersani si assicura ‘la tradizione’ e con la
Locatelli un ottimo viatico nell’Internazionale socialista, mentre
Nencini con Pastorelli l’uomo di fiducia. Tra gli interni, nessun posto
per i colonnelli. E il socialismo? Inutile cercare, in Italia non c’e’
piu’ dal 30 giugno 1984. La base, ossia quanti ancora ci credono, si sta
rivoltando e chiede liste autonome del Psi. Difficilmente questa pur
legittima rivendicazione sarà accolta. Non aver candidato un socialista
alle Primarie; avervi partecipato con 20, forse 30 mila presenze e non
tutti per Bersani, molti voti sono andati a Renzi e Vendola; essersi
limitati alle primarie delle idee ‘confezionate’, senza cioè la
possibilità per il singolo di esprimere le proprie idee ma solo di
scegliere per ogni idea tra due o tre opzioni; sono tutte tappe di una
scelta che era prevedibilissima: non presentare liste autonome di
partito per il timore alquanto concreto di non superare il 2% ed essere
battutti dalle liste ‘Centro Democratico’ di Bruno Tabacci. Adesso il
rischio è che l’accordo che si profila a livello nazionale, si ripeta
nelle singole regioni, ossia che nelle liste del Pd figureranno solo i
graditi e suggeriti dal Pd in accordo con il Psi. Poi la base in
rivolta, delusa e amareggiata, si rivolgera’ altrove: ma dove? Si
oscilla dal ‘M5S’ di Beppe Grillo a ‘Rivoluzione civile’ del magistrato
Antonio Ingroia che è pronta ad accoglierli: del resto ha gia’ fatto suo
il famoso quadro di Pellizza da Volpedo, “Quarto stato”, non senza
significative rimostranze. Il sindaco di Volpedo – il paese dell’icona
socialista – Giancarlo Filippo Pio Caldone, in una lettera al magistrato
si dice “veramente disgustato dell’utilizzo indebito” e constata,
amaramente, che “il Comune e il paese che rappresento forse legalmente
non possono proibire l’uso ma moralmente si!”. Il portavoce del Gruppo
di Volpedo, Dario Dallamano: “Il Quarto Stato non è solo l’immagine di
un gruppo di contadini che si reca a rivendicare quanto giusto a Palazzo
Malaspina di Volpedo, è la rappresentazione di un movimento più ampio
che in quegli anni nasceva: il movimento socialista. [...] Ridurre il
tutto a simbolo di parte è un pessimo errore”. Il vecchio Lombardi
nonostante questa ripetuta deriva culturale e politica, pare comunque
godere ancora di buona considerazione, come altri protagonisti di quella
sinistra ‘eretica’, ‘riformatrice’ e ‘laica’, come Giuseppe Di
Vittorio, Bruno Trentin, Vittorio Foa, Antonio Giolitti, Giacomo
Brodolini, Gino Giugni, che tra gli anni sessanta e settanta doto’ il
Paese di grandi riforme che cambiarono le condizioni di vita della
‘povera gente’ e che oggi vengono rimesse in discussione, per una sorta
di rivincita, dalle forze moderate e liberiste raggruppate attorno al
prof. Mario Monti. Strano destino questo: a difendere lo Statuto dei
Diritti dei Lavoratori, la legge 300/70, la concertazione, l’Welfare –
conquiste dovute a quel nucleo di sei eretici riformatori e laici – sono
gli eredi del vecchio Pci che a quel tempo si astenne sullo Statuto
perchè lo ritenne troppo favorevole agli imprenditori e osteggio’
l’Welfare per un sentimentimento ostile alla socialdemocrazia. Così come
in maniera velata e ‘politica’, sono ancora gli eredi del vecchio Pci,
in particolare ‘i giovani turchi’, a rifarsi all’idea lombardiana di
‘una societa’ piu’ ricca perche’ diversamente ricca’.
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