Lo sappiamo fin troppo bene, quello che è accaduto ieri 15 Ottobre 2011 era ampiamente previsto e uno di noi lo aveva profeticamente prefigurato con molta lucidità: Norberto Fragiacomo scriveva pochi giorni fa: «C’è bisogno, quindi, che a Roma alziamo tutti la voce, nessuno le mani – e che il nostro messaggio arrivi a destinazione. Se riusciremo nell’intento, la prossima volta saremo il doppio, e per Natale sfileremo a milioni; se invece si cadrà nella trappola dei provocatori e dello sterile spontaneismo, ci toccherà tornare a casa malconci, screditati, sconfitti."
Siamo stati sconfitti e vari sono effettivamente tornati un po' malconci, ma possiamo ancora non essere screditati
Alcuni hanno confrontato le vicende di ieri con quelle di dieci anni fa, svoltesi a Genova, ma per chi, come me, ha vissuto di persona gli eventi, non è difficile rilevare alcune sostanziali differenze. Non soltanto, per fortuna, non è morto nessuno, ma è accaduta una cosa straordinara: persino un sindaco di destra, come quello della capitale, ha dovuto ammettere che i provocatori neri sono stati isolati, che gli stessi manifestanti li hanno costretti ad agire allo scoperto, inveendo contro di loro, in certi casi sporadici, persino aggredendoli fisicamente e, in altri, sostenendo l'opera delle forze di polizia indaffarate a contrastarli.
Non c'è stato nemmeno da parte delle forze dell'ordine alcun pestaggio indiscriminato contro i manifestanti, a larghissima maggioranza pacifici, e «armati» solo di bandiere multicolori. Le scene del massacro di manifestanti inermi per terra, che furono assai frequenti a Genova, ieri non si sono viste, anche se c'è da rilevare che il cordone di polizia è stato fin troppo stretto intorno al corteo, e piuttosto «lontano» durante il percorso. Nessun drappello di polizia o di carabinieri c'è stato ai lati del tragitto in zone che potevano ritenersi «a rischio». Solo quelle intorno alle entrate delle metropolitane, per altro chiuse, sono state presidiate, spesso addirittura bloccate, impedendo anche a soli semplici pedoni di poter passare uno alla volta, e dunque con il rischio di imbottigliare tutti in caso di improvvisi addensamenti di folla o di fughe indiscriminate verso i varchi.
Sembrava dunque quasi la «cronaca di un casino annunciato» quella che si è andata prefigurando fino circa a metà percorso, rilevando che il corteo è partito in maniera molto ordinata, festosa e sicuramente senza alcun incidente, dalla stazione Temini e da Piazza Esedra.
Evidentemente, era già stato «studiato» come «spezzarlo» in tre tronconi quando si fosse già dispiegato tutto: un taglio alla fine, uno in mezzo e uno in testa.
Chi ha agito per seminare caos e distruzione, lo ha fatto secondo un piano premeditato e non certo in maniera spontaneistica. I cosiddetti «black block» che molti pensavano dovessero addirittura giungere dall'estero, in realtà avevano un netto accento «meridionale» ed usavano come arma micidiale le «bombe carta», già ampiamente note per le loro fabbriche clandestine controllate dalla camorra in Campania, e per i frequenti incidenti di Capodanno con relativi morti e feriti. Le bombe carta, che producono un effetto esplosivo ed incendiario anche peggiore delle molotov, hanno bisogno di una fabbricazione molto più meticolosa di queste ultime, devono quindi essere preparate da specialisti, altrimenti rischiano di scoppiare in mano, di conseguenza, tali famigerati «provocatori in nero» avevano l'aria di essere un prodotto assai «casareccio».
Non c'è dubbio quindi che chi ha messo ieri a ferro e fuoco Roma avesse un preciso mandato, che poi si fossero aggiunti ad essi dei ragazzini pieni di rabbia e sostanzialmente allo sbaraglio, faceva parte del copione, purtroppo la violenza è contagiosa e attecchisce soprattutto in chi ha ancora una scarsa consapevolezza della vita.
Quando dunque ci si trova in una situazione di tale caos, o si ha un'arma in mano e la si sa usare nella maniera giusta, essendo «giustificati» a farlo, per porre fine rapidamente al caos e raggiungere gli obiettivi necessari, oppure si deve solo ripiegare in buon ordine e lasciare tale compito a chi di dovere.
E questo avrebbe dovuto fare una seria organizzazione di un serio coordinamento, in una seituazione serissima come quella di ieri, al primo accenno di devastazioni o di incendi dolosi.
Il corteo avrebbe dovuto arrestarsi nella zona più larga: probabilmente il Colosseo e attendere che i disordini cessassero, isolando i provocatori invece di avanzare ulteriormente per arrivare a tutti i costi alla meta e, al limite, disperdersi lì. Proseguire, purtroppo, non ha fatto che da «copertura» ulteriore ai «mercenari neri».
Questo, in ordine alla tattica sul campo, per ciò che invece attiene alla strategia generale, si rileva che questa manifestazione segna inevitabilmente il fallimento del movimentismo spontaneista, buono solo, di fatto, a costruire una copertura agli atti violenti, al vandalismo strumentale che alimenta poi i «media» padronali e li rivolge contro un'opinione pubblica sempre più disorientata ed imparurita.
Il coordinamento della protesta del 15 marzo si è fatto trovare impreparato per questa sfida globale, non ha saputo agire all'unisono con una organizzazione tale da saper prevenire e contrastare efficacemente il rischio degli infiltrati. Ha messo a disposizione un numero verde per assistenza legale, ma non ha saputo allestire un vero e proprio servizio d'ordine come quelli che un tempo sapevano organizzare, non solo i sindacati, ma i veri partiti di massa di una sinistra che adesso è polverizzata sotto le sue macerie.
Chi ricorda le manifestazioni del 77 sa bene che le code e i fianchi dei cortei erano «sorvegliati» da file di volontari con i famigerati «stalin» (nome alquanto lugubre ma efficacissimo per designare dei lunghi bastoni) spesso usati per impedire che le direzioni imboccate non fossero quelle giuste, oppure che i manifestanti avessero obiettivi non consoni a quelli stabiliti. C'è pure da dire che i «casini» accadevano lo stesso, ma sovente più perché dall'altra parte c'era chi sparava (pallottole vere) nel mucchio, che non per una degenerazione interna dei cortei.
Ovviamente le realtà di allora, già ampiamente concluse e implose per cause che tutti conosciamo (infiltrazioni ideologicamente strumentali, terrorismo, mancanza di assunzione di una guida e di una responsabilità da parte di un partito comunista allora in cerca di una spasmodica via d'ordine verso il potere, polverizzazione in movimenti conflittuali tra loro e via dicendo), non sono più né ipotizzabili né proponibili, perché le sfide attuali sono profondamente diverse.
Esse infatti oggi sono, contrariamente ad allora, globali e globalmente vanno affrontate e risolte. Ma può farlo un coordinamento che, prima ancora che riuscire a rapportarsi con quello di altre nazioni, non riesce a farlo efficacemente al suo interno? E' questo il punto fondamentale.
Un movimento del genere fa paura più dei partiti o dei sindacati, perché è destinato a raccogliere un consenso crescente e dunque chi vuole screditarlo deve farlo sul nascere, dimostrando che esso non esiste e, se c'è, è costituito solo da gente che non ha altro obiettivo che «spaccare tutto», e che quindi non dimostra di possedere né progettualità e tanto meno capacità di alternativa al sistema vigente. Solo questa è l'arma disperata di un potere che sta in piedi con la corruzione e non esita ad «arruolare» per i suoi sporchi fini anche le truppe di una criminalità organizzata che, da sempre, ha come unico obiettivo i propri affari e il controllo del proprio territorio (con tutti quelli che, volenti o nolenti, sono costretti a viverci dentro).
L'Italia è l'unico Paese al mondo in cui la protesta è degenerata in violenza indiscriminata, questo per noi è un tristissimo primato di inciviltà, che, nell'epoca dei media globali, si paga immediatamente.
Dimostrare di essere un paese con servizi di sicurezza incapaci di prevenire, prima ancora che di combattere, sul campo fenomeni eversivi e mostrare a tutto il mondo di non avere un movimento di protesta in grado di autoproteggersi e di organizzarsi, al punto da rendere impossibili, con adeguati servizi d'ordine e di sorveglianza, fenomeni strumentali violenti e degenerativi, è la cosa peggiore che ci possa capitare in un momento di crisi generale, istituzionale, morale, civile e politica.
Il nostro striscione «socialismo o barbarie» è stato però, in tutto questo, un faro che abbiamo portato lungo tutto il percorso, finché ci è stato possibile, come monito e come soluzione verso quella stessa barbarie che ha aggredito al cuore la città che, per antonomasia ed eternamente, si è sempre eretta a baluardo di civiltà e di spiritualità contro ogni barbarie.
Esso dunque va preso molto sul serio, perché il Socialismo che oggi noi invochiamo e testimoniamo è quello della civiltà che si oppone ai grandi potentati che hanno continuamente lucrato nel «divide et impera», perché hanno da sempre cercato di dividere ogni movimento di protesta, seminando in esso odio, violenza ed ignoranza allo stato puro, ed in modo puramente distruttivo, con il solo fine di autoconservarsi.
E' quel Socialismo che invoca il diritto al dissenso ma sa, allo stesso tempo, costruire anche la valida ed efficace alternativa dell'assenso: democratica, libera e non violenta, europea, globale, e che, infine sa combattere, senza esclusione di colpi, chiunque minacci la civiltà, in tutte le sue forme.
Noi dunque continueremo ad illuminare il nostro faro, portando la «civiltà del Socialismo» anche in altre manifestazioni ed in altri contesti, augurandoci che il consenso intorno a noi cresca e si rafforzi. E cercheremo di fare in modo che questa possa essere la vera bandiera di civiltà condivisa da tutto il movimento di protesta per un mondo migliore, possibile e necessario.
Se, di conseguenza, faremo parte di un prossimo coordinamento di una futura manifestazione che abbia gli stessi obiettivi di quella di ieri, esigeremo che ci sia un adeguato servizio d'ordine interno ai manifestanti e che, con poliziotti e carabinieri che hanno subito un taglio alle loro risorse di ben 60 milioni di euro, si raggiunga una sinergia di intenti, per una causa che interessa anche loro. E soprattutto porteremo in piazza non solo sterile protesta, ma concrete alternative.
In quanto i veri antagonisti che incarnano oggi la barbarie sono i «manovali» della violenza al servizio dell'assolutismo dei sacerdoti del profitto fine a se stesso, con chirichetti ben nascosti nei partiti che esercitano il potere o stanno perfino in una falsa opposizione.
Noi piuttosto vogliamo costruire una società in cui i meriti e i profitti siano equamente condivisi e da ciascuno possa provenire il meglio delle sue capacità, mentre si deve andare incontro alle necessità basilari di tutti.
Non ci fermeremo finché la nostra civiltà non saprà prevalere sull'oscurantismo della barbarie che si abbatte sulle categorie più povere e disgraziate di cittadini: giovani, precari, sfruttati, cassintegrati, licenziati, pensionati, disabili, e via dicendo.
La nostra forza sarà molto più grande e più potente di quella di quei criminali mercenari comuni mascherati da «protestanti neri» che hanno cercato di inquinare solo il ramo di un fiume in piena in tutto il mondo, poiché condivisa da un mondo intero che rifiuta che il costo della crisi del capitalismo debba essere pagato soltanto dalle masse popolari. Non passeranno! Non prevarranno, la nostra civiltà prevarrà sulla loro barbarie.
SOCIALISMO O BARBARIE !
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