Tonino prova a differenziarsi dagli alleati: giuste le sue idee
FABIO MARTINI
ROMA
All'improvviso Tonino si è acceso i riflettori con questa premessa: «Adesso dirò qualcosa che vi stupirà...». Giovedì 22 settembre, alla festa laziale dell'Italia dei Valori, dirigenti e simpatizzanti Idv ovviamente hanno alzato subito le antenne, non appena Antonio Di Pietro ha scandito: «Le idee politiche di Craxi? Erano giuste! Sigonella? Fu giusto comportarsi così! Ed era giusta l'idea di combattere la Russia ma al tempo stesso dimostrare che si può stare nel capitalismo in modo critico». Naturalmente Tonino aggiunge che Craxi vanificò quel talento politico con un'attitudine criminale, ma comunque «le sue scelte politiche io le considero importanti». E doveva considerarle significative anche più di venti anni fa, perché sempre Di Pietro fa capire che negli anni Ottanta seguiva con un certo interesse il Psi di Craxi.
Quella dell'altra sera non è stata una riabilitazione del detestato «cinghialone», ma certo una rivisitazione inattesa e spiazzante del personaggio che proprio Di Pietro per 20 anni ha contribuito a trasformare nell’uomo nero della stagione di Tangentopoli. E ora, perché questa riscoperta? Si tratta di una nuova tappa nel rapporto, che è sempre stato più complesso delle apparenze, tra Antonio Di Pietro e la figura di Bettino Craxi? Oppure è un escamotage per provare ad accreditare se stesso come un giustizialista che per tutto il resto vorrebbe apparire come un moderato?
Il rapporto tra Di Pietro e Craxi, in realtà, è sempre stato più altalenante di quel che è apparso. Nella fase iniziale di Mani pulite, Di Pietro operò con grande energia per mettere alle corde giudiziarie Craxi, ma poi quando il pm invitò il leader socialista a testimoniare in un’udienza di tribunale durante il processo Cusani, eviterà di maramaldeggiare, rivolgendosi a lui con un rispetto che non aveva avuto per Arnaldo Forlani. E ancora: nell'autunno del 1993 Di Pietro incontra Craxi segretamente e fuori dalle abituali sedi processuali, con tanto di verbalizzazione delle dichiarazioni del segretario socialista. Poi, quando Craxi se ne va dall'Italia e le sue condizioni di salute si aggravano, Di Pietro liquida le lamentazioni dell'ex leader socialista in modo particolarmente sprezzante. Definendo «foruncolone» le piaghe da diabete che in realtà accelerarono la morte di Craxi.
Cinque giorni fa la sorpresa. Per rispondere alla domanda su cosa farà da grande l’Italia dei Valori, Di Pietro ha spiegato che i tre partiti del Nuovo Ulivo «hanno necessità di differenziarsi» e, quanto all’Idv, guai se dovesse restare «il partito di Di Pietro», perché a quel punto sarebbe destinato a «morire» con la scomparsa politica ancor prima che fisica del suo leader. Un incipit generoso che poi è sfociato nell’elogio (politico e non giudiziario) di Bettino Craxi. Da interpretare come? Dice Felice Belisario, capogruppo Idv al Senato: «Politicamente Craxi ha rappresentato una cesura nella vicenda del socialismo italiano, ma storicamente resterà sempre un criminale e un latitante».
Ma la «riscoperta» di Craxi deve avere qualcosa a che fare con il nuovo rovello di Tonino, proprio quello di «differenziare» la sua offerta elettorale da quella di Bersani e di Vendola. Tanto è vero che ad un certo punto Di Pietro, che non è un cesellatore semantico, si è definito «liberal-progressista». Un’etichetta che è tutto un programma, o potrebbe diventarlo. E proprio la necessità di distinguersi da Pd e Sel ha portato Di Pietro a fare un’altra affermazione destinata a pesare nei prossimi mesi. Il candidato per palazzo Chigi? «Serve una figura di sintesi». Un modo per dire a Bersani che non è affatto scontato che la guida vada al leader del partito più forte. Dunque, gli è stato chiesto, serve un nuovo Prodi? «Certamente non un salvatore della patria del giorno dopo, uno che ci dice: vengo con voi il giorno che avete vinto». Una risposta che è apparsa una bocciatura al tempo stesso di Luca Cordero di Montezemolo e di Pier Ferdinando Casini. E che Di Pietro abbia intenzione di aprire il più possibile l’Idv lo conferma la simpatia con la quale ha trattato l’ex presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo, indicato ad esempio perché, «pur vittima», si è dimesso dal suo incarico.
FABIO MARTINI
ROMA
All'improvviso Tonino si è acceso i riflettori con questa premessa: «Adesso dirò qualcosa che vi stupirà...». Giovedì 22 settembre, alla festa laziale dell'Italia dei Valori, dirigenti e simpatizzanti Idv ovviamente hanno alzato subito le antenne, non appena Antonio Di Pietro ha scandito: «Le idee politiche di Craxi? Erano giuste! Sigonella? Fu giusto comportarsi così! Ed era giusta l'idea di combattere la Russia ma al tempo stesso dimostrare che si può stare nel capitalismo in modo critico». Naturalmente Tonino aggiunge che Craxi vanificò quel talento politico con un'attitudine criminale, ma comunque «le sue scelte politiche io le considero importanti». E doveva considerarle significative anche più di venti anni fa, perché sempre Di Pietro fa capire che negli anni Ottanta seguiva con un certo interesse il Psi di Craxi.
Quella dell'altra sera non è stata una riabilitazione del detestato «cinghialone», ma certo una rivisitazione inattesa e spiazzante del personaggio che proprio Di Pietro per 20 anni ha contribuito a trasformare nell’uomo nero della stagione di Tangentopoli. E ora, perché questa riscoperta? Si tratta di una nuova tappa nel rapporto, che è sempre stato più complesso delle apparenze, tra Antonio Di Pietro e la figura di Bettino Craxi? Oppure è un escamotage per provare ad accreditare se stesso come un giustizialista che per tutto il resto vorrebbe apparire come un moderato?
Il rapporto tra Di Pietro e Craxi, in realtà, è sempre stato più altalenante di quel che è apparso. Nella fase iniziale di Mani pulite, Di Pietro operò con grande energia per mettere alle corde giudiziarie Craxi, ma poi quando il pm invitò il leader socialista a testimoniare in un’udienza di tribunale durante il processo Cusani, eviterà di maramaldeggiare, rivolgendosi a lui con un rispetto che non aveva avuto per Arnaldo Forlani. E ancora: nell'autunno del 1993 Di Pietro incontra Craxi segretamente e fuori dalle abituali sedi processuali, con tanto di verbalizzazione delle dichiarazioni del segretario socialista. Poi, quando Craxi se ne va dall'Italia e le sue condizioni di salute si aggravano, Di Pietro liquida le lamentazioni dell'ex leader socialista in modo particolarmente sprezzante. Definendo «foruncolone» le piaghe da diabete che in realtà accelerarono la morte di Craxi.
Cinque giorni fa la sorpresa. Per rispondere alla domanda su cosa farà da grande l’Italia dei Valori, Di Pietro ha spiegato che i tre partiti del Nuovo Ulivo «hanno necessità di differenziarsi» e, quanto all’Idv, guai se dovesse restare «il partito di Di Pietro», perché a quel punto sarebbe destinato a «morire» con la scomparsa politica ancor prima che fisica del suo leader. Un incipit generoso che poi è sfociato nell’elogio (politico e non giudiziario) di Bettino Craxi. Da interpretare come? Dice Felice Belisario, capogruppo Idv al Senato: «Politicamente Craxi ha rappresentato una cesura nella vicenda del socialismo italiano, ma storicamente resterà sempre un criminale e un latitante».
Ma la «riscoperta» di Craxi deve avere qualcosa a che fare con il nuovo rovello di Tonino, proprio quello di «differenziare» la sua offerta elettorale da quella di Bersani e di Vendola. Tanto è vero che ad un certo punto Di Pietro, che non è un cesellatore semantico, si è definito «liberal-progressista». Un’etichetta che è tutto un programma, o potrebbe diventarlo. E proprio la necessità di distinguersi da Pd e Sel ha portato Di Pietro a fare un’altra affermazione destinata a pesare nei prossimi mesi. Il candidato per palazzo Chigi? «Serve una figura di sintesi». Un modo per dire a Bersani che non è affatto scontato che la guida vada al leader del partito più forte. Dunque, gli è stato chiesto, serve un nuovo Prodi? «Certamente non un salvatore della patria del giorno dopo, uno che ci dice: vengo con voi il giorno che avete vinto». Una risposta che è apparsa una bocciatura al tempo stesso di Luca Cordero di Montezemolo e di Pier Ferdinando Casini. E che Di Pietro abbia intenzione di aprire il più possibile l’Idv lo conferma la simpatia con la quale ha trattato l’ex presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo, indicato ad esempio perché, «pur vittima», si è dimesso dal suo incarico.
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