*E sì, sono al capolinea, anche con Concita*
di Emanuele Macaluso* - "LE NUOVE RAGIONI DEL SOCIALISMO"
Insomma, due gruppi dirigenti che dichiaravano fallita la loro impresa politica si mettevano insieme per farne una, chissà perché e come, vitale. Ho ricordato questo precedente perché un anno dopo (26-08-2008) lo stesso Scalfari ha scritto un articolo, “L’opinione pubblica è rimasta senza voce”, in cui sostanzialmente si dice che il Pd è già al capolinea. Il fondatore di Repubblica scrive che «oggi l’opinione pubblica è tendenzialmente orientata verso la versione berlusconista della democrazia, con simpatie leghiste diffuse soprattutto al Nord». E dubita che esista ancora un’opinione pubblica «di centro e di sinistra, riformista, progressista, laica», anche perché «la sconfitta elettorale di un anno fa sembra averla ridotta a uno stato larvale». Questa opinione pubblica, scrive ancora Scalfari, «avrebbe bisogno di una voce che la rappresenti e di una forma che la riposti in battaglia». Un anno fa dicevano, non solo Scalfari, che quella voce e quella forma era stata finalmente trovata in Veltroni e nel Pd e oggi ci raccontano che non c’è più nulla nemmeno la speranza. L’anno scorso, nessuno ci spiegò perché i Ds e la Margherita erano al capolinea e oggi nessuno ci spiega perché il Pd non è in grado di influire sulla formazione di un’opinione pubblica progressista e riformista e si ritrova, come i suoi soci fondatori, al capolinea. In altri momenti e in altre occasioni ho avuto modo di dire che nonostante il mio radicale dissenso rispetto al progetto del Pd non mi auguro che questo partito imploda e si sfasci. Oggi non vedo ancora un’alternativa e a perdere terreno sarebbe tutta la sinistra. Del resto basta guardare quel che c’è nei resti di quella che veniva chiamata “sinistra radicale” o sinistra alternativa e Arcobaleno. I socialisti sono solo un seme che non riesce a farsi fiore. Ecco perché in questa rivista avevamo scritto che il Pd poteva rianimarsi solo se alle guerriglie sotterranee e personali si sostituiva una dialettica politico-culturale chiara, limpida fondata su opinioni leggibili. Invece si continua a demonizzare le correnti e nascono gruppi e gruppetti di potere che dal Nord al Sud, in Piemonte o in Campania, in Toscana o in Sardegna coinvolgono sindaci, presidenti di Regione, segretari regionali e provinciali del Pd in guerriglie incomprensibili perché non hanno una base politica. L’ultima vicenda che illumina questo quadro è quella del cambio di direzione all’“Unità” e delle cose che in questa occasione abbiamo letto sul giornale fondato da Antonio Gramsci. Il richiamo ossessivo al fondatore serve anche alla guerriglia che attraversa il Pd e “l’Unità”. A questo proposito vorrei dire qualcosa che può apparire provocatorio. È vero che “l’Unità”, nel 1924, fu fondata da Gramsci, ma è anche vero che nel 1944 fu rifondata - come il Pci - da Palmiro Togliatti. Io non so quanti direttori hanno letto “l’Unità” di Gramsci. Io l’ho fatto, e in quella clandestina scrissi nel 1942 il mio primo articolo. “L’Unità” che tutti hanno conosciuto e di cui si parla è invece quella che - come disse Togliatti - doveva essere “il Corriere della sera” della classe operaia, così come il giornale di Albertini era stato per la borghesia. Fu Togliatti a forgiarlo (quando la carta era razionata e c’era un solo foglio si trovò lo spazio per lo sport e i numeri del lotto) e a costruirlo furono soprattutto quel gruppo di giovani che a Roma si radunarono attorno a Pietro Ingrao: Reichlin, Pintor, Pavolini, Maurizio Ferrara; Savioli, Coppola e altri. E a Milano con altra cultura e stile un folto gruppo di bravi ragazzi che lavorarono con Davide Lajolo (Ulisse). A Torino con Barca. A Genova con Adamoli e Tortorella. Se li dovessi ricordare tutti i nomi e tutti i collaboratori che rifondarono “l’Unità” non basterebbero le pagine di questa rivista. Ma quel giornale era il giornale del Pci sostenuto dai militanti di quel grande partito con l’associazione “amici dell’Unità” e le feste e vendeva milioni di copie. Faccio queste notazioni perché nella polemica esplosa in questi giorni sull’“Unità” sembra che si sia passati dal giornale di Gramsci (Togliatti è innominabile) al giornale, sempre di Gramsci, resuscitato da Colombo e Padellaro. È qui l’equivoco. Dopo la chiusura “l’Unità” fu rilevata da un gruppo di “imprenditori democratici” ma sostenuto dal finanziamento di gruppi parlamentari Pds-Ds. E restò il mistero: era o non era il giornale di quel partito? Mesi addietro quegli imprenditori volevano vendere la testata e si fecero avanti gli Angelucci (chi li sponsorizzava nei Ds?) e si manifestò una netta opposizione della redazione. Non se ne fece nulla e si è fatto avanti l’imprenditore investito dal Pd di un incarico pubblico, Soru, che ha acquistato tutto. Bene così. Ora è ancora più chiaro che c’è un padrone ma è ancora meno chiaro il ruolo del partito. Al quale fa capo anche “Europa” (altra proprietà privata). Il nuovo direttore dell’“Unità”, Concita De Gregorio, a cui facciamo sinceri auguri, nel suo articolo programmatico non ha, giustamente, mai nominato il Pd, anche se Colombo e Travaglio hanno osservato che a sceglierla è stato Veltroni. Insomma, il giornale fondato da Gramsci, come il Pd, è tra l’essere e non essere. «L’Unità», ha scritto la De Gregorio, «sarà un normale giornale di militanza, di battaglia, di opposizione». E dice che «la sinistra, tutta la sinistra dal centro al lato estremo abbia bisogno di ritrovarsi sulle cose, di trovare e dare senso a un progetto». E già, trovare e dare senso a un progetto. Un progetto di tutta la sinistra, «dal centro al lato estremo»? Era il “progetto” dell’“Unità” di Colombo e Padellaro, ma non del Pd di Veltroni che ha voluto la De Gregorio. E proprio sul carattere dell’“opposizione militante”, Colombo e Travaglio onestamente hanno detto che il Pd di Veltroni è su un’altra sponda. Qual è questa sponda è difficile da definire. Ma anche questa vicenda ci dice che ha ragione Scalfari.
Sono al capolinea e non sanno come ripartire.
Anche con “l’Unità” di Concita.
Emanuele Macaluso*
Sono al capolinea e non sanno come ripartire.
Anche con “l’Unità” di Concita.
Emanuele Macaluso*
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