*E sì, sono al capolinea, anche con Concita*
 
di Emanuele Macaluso* - "LE NUOVE RAGIONI DEL SOCIALISMO"
Nel luglio dello scorso anno uscì un mio libretto con un titolo provocatorio        “Al Capolinea” e un sottotitolo che diceva: “controstoria del partito democratico”.        Quel titolo aveva un significato polemico dato che Eugenio Scalfari aveva        scritto su “Repubblica” un articolo in cui affermava che le ragioni per        cui occorreva fare subito il Partito Democratico andavano ricercate nel        fatto che i Ds e la Margherita erano ormai al capolinea.      Insomma, due gruppi dirigenti che dichiaravano fallita la loro impresa politica        si mettevano insieme per farne una, chissà perché e come, vitale. Ho ricordato        questo precedente perché un anno dopo (26-08-2008) lo stesso Scalfari ha        scritto un articolo, “L’opinione pubblica è rimasta senza voce”, in cui        sostanzialmente si dice che il Pd è già al capolinea. Il fondatore di Repubblica        scrive che «oggi l’opinione pubblica è tendenzialmente orientata verso la        versione berlusconista della democrazia, con simpatie leghiste diffuse soprattutto        al Nord». E dubita che esista ancora un’opinione pubblica «di centro e di        sinistra, riformista, progressista, laica», anche perché «la sconfitta elettorale        di un anno fa sembra averla ridotta a uno stato larvale». Questa opinione        pubblica, scrive ancora Scalfari, «avrebbe bisogno di una voce che la rappresenti        e di una forma che la riposti in battaglia». Un anno fa dicevano, non solo        Scalfari, che quella voce e quella forma era stata finalmente trovata in        Veltroni e nel Pd e oggi ci raccontano che non c’è più nulla nemmeno la        speranza. L’anno scorso, nessuno ci spiegò perché i Ds e la Margherita erano        al capolinea e oggi nessuno ci spiega perché il Pd non è in grado di influire        sulla formazione di un’opinione pubblica progressista e riformista e si        ritrova, come i suoi soci fondatori, al capolinea. In altri momenti e in altre occasioni ho avuto modo di dire che nonostante        il mio radicale dissenso rispetto al progetto del Pd non mi auguro che questo        partito imploda e si sfasci. Oggi non vedo ancora un’alternativa e a perdere        terreno sarebbe tutta la sinistra. Del resto basta guardare quel che c’è        nei resti di quella che veniva chiamata “sinistra radicale” o sinistra alternativa        e Arcobaleno. I socialisti sono solo un seme che non riesce a farsi fiore.        Ecco perché in questa rivista avevamo scritto che il Pd poteva rianimarsi        solo se alle guerriglie sotterranee e personali si sostituiva una dialettica        politico-culturale chiara, limpida fondata su opinioni leggibili. Invece        si continua a demonizzare le correnti e nascono gruppi e gruppetti di potere        che dal Nord al Sud, in Piemonte o in Campania, in Toscana o in Sardegna        coinvolgono sindaci, presidenti di Regione, segretari regionali e provinciali        del Pd in guerriglie incomprensibili perché non hanno una base politica. L’ultima vicenda che illumina questo quadro è quella del cambio di direzione        all’“Unità” e delle cose che in questa occasione abbiamo letto sul giornale        fondato da Antonio Gramsci. Il richiamo ossessivo al fondatore serve anche        alla guerriglia che attraversa il Pd e “l’Unità”. A questo proposito vorrei        dire qualcosa che può apparire provocatorio. È vero che “l’Unità”, nel 1924,        fu fondata da Gramsci, ma è anche vero che nel 1944 fu rifondata - come        il Pci - da Palmiro Togliatti. Io non so quanti direttori hanno letto “l’Unità” di Gramsci. Io l’ho fatto,        e in quella clandestina scrissi nel 1942 il mio primo articolo. “L’Unità”        che tutti hanno conosciuto e di cui si parla è invece quella che - come        disse Togliatti - doveva essere “il Corriere della sera” della classe operaia,        così come il giornale di Albertini era stato per la borghesia. Fu Togliatti        a forgiarlo (quando la carta era razionata e c’era un solo foglio si trovò        lo spazio per lo sport e i numeri del lotto) e a costruirlo furono soprattutto        quel gruppo di giovani che a Roma si radunarono attorno a Pietro Ingrao:        Reichlin, Pintor, Pavolini, Maurizio Ferrara; Savioli, Coppola e altri.        E a Milano con altra cultura e stile un folto gruppo di bravi ragazzi che        lavorarono con Davide Lajolo (Ulisse). A Torino con Barca. A Genova con        Adamoli e Tortorella. Se li dovessi ricordare tutti i nomi e tutti i collaboratori        che rifondarono “l’Unità” non basterebbero le pagine di questa rivista.        Ma quel giornale era il giornale del Pci sostenuto dai militanti di quel        grande partito con l’associazione “amici dell’Unità” e le feste e vendeva        milioni di copie. Faccio queste notazioni perché nella polemica esplosa in questi giorni sull’“Unità”        sembra che si sia passati dal giornale di Gramsci (Togliatti è innominabile)        al giornale, sempre di Gramsci, resuscitato da Colombo e Padellaro. È qui        l’equivoco. Dopo la chiusura “l’Unità” fu rilevata da un gruppo di “imprenditori        democratici” ma sostenuto dal finanziamento di gruppi parlamentari Pds-Ds.        E restò il mistero: era o non era il giornale di quel partito? Mesi addietro        quegli imprenditori volevano vendere la testata e si fecero avanti gli Angelucci        (chi li sponsorizzava nei Ds?) e si manifestò una netta opposizione della        redazione. Non se ne fece nulla e si è fatto avanti l’imprenditore investito        dal Pd di un incarico pubblico, Soru, che ha acquistato tutto. Bene così.        Ora è ancora più chiaro che c’è un padrone ma è ancora meno chiaro il ruolo        del partito. Al quale fa capo anche “Europa” (altra proprietà privata).        Il nuovo direttore dell’“Unità”, Concita De Gregorio, a cui facciamo sinceri        auguri, nel suo articolo programmatico non ha, giustamente, mai nominato        il Pd, anche se Colombo e Travaglio hanno osservato che a sceglierla è stato        Veltroni. Insomma, il giornale fondato da Gramsci, come il Pd, è tra l’essere        e non essere. «L’Unità», ha scritto la De Gregorio, «sarà un normale giornale        di militanza, di battaglia, di opposizione». E dice che «la sinistra, tutta        la sinistra dal centro al lato estremo abbia bisogno di ritrovarsi sulle        cose, di trovare e dare senso a un progetto». E già, trovare e dare senso        a un progetto. Un progetto di tutta la sinistra, «dal centro al lato estremo»?        Era il “progetto” dell’“Unità” di Colombo e Padellaro, ma non del Pd di        Veltroni che ha voluto la De Gregorio. E proprio sul carattere dell’“opposizione        militante”, Colombo e Travaglio onestamente hanno detto che il Pd di Veltroni        è su un’altra sponda. Qual è questa sponda è difficile da definire. Ma anche        questa vicenda ci dice che ha ragione Scalfari.
Sono al capolinea e non sanno come ripartire.
Anche con “l’Unità” di Concita.
Emanuele Macaluso*
 
Sono al capolinea e non sanno come ripartire.
Anche con “l’Unità” di Concita.
Emanuele Macaluso*
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