Riflessioni sul monito di Napolitano sulla magistratura e i poteri
costituzionali
LA POLITICA E' MORTA. LA GIUSTIZIA E' MALATA. E LA SOCIETA' SOFFRE
(All'interno, il discorso del Presidente Napolitano ai giovani
magistrati in tirocinio e il richiamo alla "crisi di fiducia" nella
giustizia). Prende nuovo e diverso corpo la questione giustizia che in
questi ultimi trent'anni è stata influenzata da interferenze
politiche. Lo scontro tra garantismo e giustizialismo vedeva in campo
due contrastanti legioni: i garantisti che si richiamavano al
principio costituzionale del giudice soggetto solo alla legge; i
giustizialisti che si appellavano ad una forzata interpretazione della
norma costituzionale per invocare il diritto del giudice a leggere la
legge in stretta connessione con l'evoluzione politica e sociale della
società. Questa discussione si sta esaurendo perchè i pregi ed i
difetti delle due interpretazioni producono assoluzioni e condanne in
tutte le aree politiche. E' in via di esaurimento il sostegno assoluto
e acritico di una parte politica ad una tendenza partigiana della
magistratura. Bene ha fatto il Presidente della Repubblica a porre la
questione giustizia come crisi della giustizia all'interno di una più
vasta crisi di sistema. Ciò vuol dire una cosa semplice: non bastano
più le sentenze per modificare le leggi, e le leggi per correggere le
sentenze. L'attuale giustizia è un elemento di freno e di
disorientamento nel processo di sviluppo e di crescita civile della
società. Parlamento e C.S.M. non possono più essere camere in
conflitto tra di loro, ma insieme devono ridisegnare i confini tra
politica, giustizia e società per correggere le disastrose invasioni
di campo prodotte dal caos politico del "nuovismo" anni novanta. Ecco
un bel tema posto dal Capo dello Stato. Spetta al Parlamento e al CSM
svolgerlo. Ne saranno capaci? Vedremo!
La libertà d'opinione trova un limite negli effetti sull'ordinamento
Costituzionale delle "funzioni esercitate e qualifiche rivestite"
I MAGISTRATI NON DEVONO FARE POLITICA. Una sentenza della Corte
Costituzionale del 2009
Con la Sentenza numero 224 del 2009 la Corte Costituzionale in
relazione al principio di parità dei diritti di libertà garantiti a
tutti i cittadini, pone un limite nella natura "delle funzioni e della
qualifica rivestita dai magistrati" che non possono essere "prive di
effetti per l'ordinamento costituzionale". E che la libertà di
manifestazione del proprio pensiero politico trova un limite nella
"disciplina del tutto particolare contenuta nel titolo IV della parte
II (artt 101 e ss)" che comporta "l'imposizione di speciali doveri"
per salvaguardare il valore di indipendenza e imparzialità che la
Costituizione attribuisce ai Magistrati. Diamo di seguito alcuni
estratti della Sentenza:"
Magistrati per dettato costituzionale ( artt.101, secondo comma, e
104, primo comma, Cost.) debbono essere imparziali e indipendentl e
tali valori vanno tutelati non solo con specifico rlferlmento al
concreto esercizlo delle funzlonl giudiziarie, ma anche come regola
deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare
che possa fondalmentalmente dubltarsl della loro lndipendenza ed
imparzialità". "La Costltuzione, quindi, se non impone, tuttavia
consente che il legislatore ordinario introduca a tutela e
salvaguardia dell'imparzlalità e dell'indipendenza dell'ordine
giudlzlarlo, il dlvieto di iscrizione ai partlti politici per i
magistrati; quindi per rafforzare la garanzla della !oro soggezione
soltanto alla Costituzione e alla legge e per evltare che l'eserclzio
delle loro delicate funzioni sia offuscato dall'essere essi legati ad
una struttura partitica che importa vincoli anche gerarchici interni".
"In partlcolare, non contrasta con quei parametri l'assolutezza del
divieto, ossia il fatto che esso si rivolga a tutti i magistrati ,
senza eccezloni e quindi anche a coloro che, come nel caso sottoposto
all'attenzione della Sezione disciplinare rimettente, non esercitano
attualmente funzioni giudiziarie. Infatti l'introduzione del divieto
si correla ad un dovere di imparzialità e questo grava sul Magistrato,
coinvolgendo il suo operare anche da semplice cittadino, in ogni
momento della sua vita professionale, anche quando egli sia stato,
temporaneamente, collocato fuori ruolo per lo svolgimento di un
compito tecnico. Ne vi è contraddizione con il diritto di elettorato
passivo spettante ai Magistrati, e ciò sia per le diversità; delle
situazioni poste a raffronto (un conto è l'iscrizione o comunque la
partecipazione sistematica e continuativa alla vita di un partito
politico, altro è l'accesso alle cariche elettive), sia perchè quel
diritto non è senza limitazioni". "Il legislatore, piuttosto, è stato
spinto dall'esigenza di porre una tutela rafforzata dell'immagine di
indipendenza del magistrato, la quale può essere posta in pericolo
tanto dall'essere il magistrato politicamente impegnato e vincolato ad
una struttura partitica, quanro dai condizionamenti, anche sotto il
profilo dell'immagine, derivanti dal coinvolgimento nella attività di
soggetti operanti nel settore economico e finanziario".
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