di Emanuele Pecheux
Da venerdì 22 luglio la Norvegia, nazione nella quale annualmente si assegna il Premio Nobel per la pace, patria di Henrik Ibsen uno dei padri della moderna drammaturgia catatterizzata da un forte impegno sociale, ha cessato di rappresentare l'archetipo di nazione all'avanguardia nella convivenza civile. Da venerdì 22 luglio la terra dei fiordi è precipitata in un incubo biblico. La strage degli innocenti dell'isola di Utoya (i ragazzi morti ad oggi sono 85 ma il bilancio tra dispersi e feriti in condizioni disperate è destinato a salire) ci consegna una nazione investita da un' onda di morte di dimensioni impressionanti per le modalità con cui si è palesata, per la feroce e disumana determinazione dell'attore principale, soprattutto perchè la tragedia ha aperto il vaso di Pandora della psueudocultura del razzismo e della xenofobia intollerante e criminale che alligna soprattutto nel nord Europa, in alcune tra le nazioni a più alto tasso di benessere economico e sociale, generando un mostro del quale la vecchia Europa sembra non accorgersi. Sono emersi in tutta la loro grottesca pochezza il provincialismo la sconcertante inconsapevolezza che molti tra gli osservatori e politici nostrani hanno dimostrato nelle ore successive alla strage, improvvisando analisi del tutto sbagliate, fuorvianti e stravaganti. E' sufficiente scorrere una rassegna stampa nazionale di ieri per rendersi conto di quanto pochi siano coloro che hanno interpretato con consapevole lucidità i tragici fatti di Oslo. Ci voleva davvero poco per capire che Jihad islamica non c'entra un bel nulla e che la tragedia norvegese è domestica e ha avuto per protagonista un epigono, non è dato di capire quanto consapevole, di quel Vidkun Quisling, fervente nazista, che, nel 1942, rovesciando il legittimo governo socialdemocratico, favorì l'occupazione tedesca della Norvegia che divenne nei fatti la più ortodossa nazione scandinava al servizio di Adolf Hitler. L'attacco, di evidente stampo neonazista, preordinato e organizzato con scrupolo, è stato portato contro il Premier Jens Stoltenberg, leader socialista in possesso di un limpido profilo riformista e progressista e contro il suo partito, contro i ragazzi del movimento giovanile laburista che trascorrevano tra impegno e svago le loro vacanze nel Summer Camp.Stoltenberg ha ragione: i giovani socialisti norvegesi sono eroi, non fosse altro perchè le loro vite sono state spezzate mentre nutrivano la loro passione politica pacificamente e allegramente, a differenza dello sventurato Carlo Giuliani, il cui decennale della morte violenta a Genova è stato celebrato proprio ieri, che la sua passione la coltivava in ben altri modi e che, spiace sottolinearlo, oggi, di fronte al sacrificio dei giovani norvegesi, appare come un marziano. Ieri, 23 luglio, droga e alcol hanno spezzato la giovane vita di Amy Winehouse, icona della musica pop, che i media già hanno collocato nel Pantheon degli artisti maledetti, da Janis Joplin a Kurt Cobain. Una morte annunciata e (forse) anche cercata. I ragazzi di Utoya non cercavano certo la morte: al contrario intepretavano attraverso l'impegno politico la gioia di vivere e la passione per i valori della libertà e della giustizia e i loro anni spezzati ci parlano di una tragedia che merita ben maggiore rispetto perchè le morti dei giovani, poichè per definizione sono ingiuste, purtroppo, non sono tutte uguali.
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