di Carlo Felici
Discorso del 17/12/2011 nell'aula consigliare del Comune di Tolentino, nell'anniversario del quarantennale del conferimento della cittadinanza onoraria a Sandro Pertini. La parte in corsivo non è stata letta per ragioni di spazio e di tempo. Il discorso è stato integrato con una lettura di un brano in cui Pertini ricorda Gramsci e dalla lettera che mandò alla madre con il rifiuto sdegnato della richiesta di grazia
Buongiorno,
ringrazio la cittadinanza, in particolare i ragazzi e i loro insegnanti qui convenuti, le autorità cittadine e comunali ed il sindaco di Tolentino: Luciano Ruffini, gli amici e compagni dell'ANPI, il suo Presidente: Lanfranco Minnozzi, e tutti coloro che hanno reso possibile questo incontro, a cui sono onorato di poter partecipare in veste di oratore. Un ringraziamento particolare anche al compagno Giuseppe Iacopini. Tengo a precisare che, anche se nel manifesto illustrativo dell'evento, c'è scritto prof., io non sono qui in veste di professore, e nemmeno di intellettuale socialista, ma essenzialmente in quella di patriota, proprio per celebrare la memoria di un grande patriota italiano: Sandro Pertini, a quarant’anni dal conferimento della cittadinanza onoraria avvenuta con il voto unanime del Consiglio comunale su proposta dell’allora Sindaco Roberto Massi (Deliberazione n. 90 del 6 maggio 1971).
Pertini, come sapete è stato ospite della Città di Tolentino due volte, da Presidente della Camera dei Deputati il 13 aprile 1975 e da Presidente della Repubblica il 30 ottobre 1981. E nella prima occasione ebbe modo di scrivere nel Registro delle visite illustri del Comune: “Al generoso e fiero popolo marchigiano con ammirazione e con affetto”.
Sandro Pertini è rimasto sicuramente nel cuore di tutti coloro che vissero durante il suo settennato di Presidenza della Repubblica, come il Presidente più amato dagli italiani, e così è anche per me, che durante il suo settennato ho forse vissuto gli anni più belli della mia vita.
Le sue parole, la sua immagine, in particolare, restano scolpite nell'animo di tutti coloro che hanno visto una Italia sicuramente più grande e più rispettata di quella che abbiamo oggi sotto gli occhi. Una Italia che entrava allora nel novero delle grandi potenze economiche del mondo e che riusciva a ridurre drasticamente l'inflazione, con la crescita del suo PIL di ben 20 punti di percentuale, anche se pure allora il rapporto debito PIL non era certo confortante.
Una Italia mai come in altri momenti in tutto il dopoguerra, così ammirata e rispettata e con un Presidente della Repubblica ed un Presidente del Consiglio ambedue socialisti.
Per ricordare la vita di Pertini non basterebbe una settimana di incontri e commemorazioni, ed io cercherò, in questa sede, di focalizzare solo gli eventi più salienti della sua lunga e memorabile testimonianza politica e civile. Ricorderemo oggi specialmente i passaggi più significativi del suo impegno sociale, morale, civile ed istituzionale e mi perdonerete se non riuscirò a menzionarli tutti anche nei minimi particolari, come meriterebbero.
Fu il prof. Barotono di filosofia, esegeta del Socialismo che “iniziò” il giovane Pertini a dare senso compiuto alle sue vocazioni e predilezioni, e questo ci fa capire quale “miracolo” può fare la scuola e quanto debba essere tuttora importante valorizzarla, fornendole mezzi adeguati per la sua “missione”.
Pertini, quando scoppiò la “grande guerra”, fu tra quelli che, come Matteotti, gridarono “abbasso la guerra!”, facendosi anche molti nemici tra i suoi compagni interventisti, ma ci andò, poi, militando in prima linea ed insegnando persino, da comandante, ai suoi “fratelli soldati”, un metodo infallibile per raffreddare le mitragliatrici, risparmiando acqua preziosa: pisciarci sopra. Questo però non gli impedì atti di valore, come la conquista del monte Jenelik, che gli fece meritare la medaglia d'argento al valor miliare, un vero scandalo per i vertici miliari costretti a riconoscerla ad un dichiarato pacifista e socialista, tanto che la pratica per la sua assegnazione andò misteriosamente persa.
Come si possa giustificare tutto ciò, ce lo spiega Pertini stesso affermando: “l'amore per l'umanità che ogni spirito eletto e libero non può non sentire, non esclude ma anzi comprende l'amore per la patria”. Primo grande atto di un grande patriota.
La sua militanza politica inizia nel 1918 con l'iscrizione al PSI e nel primo dopoguerra, in particolare, dopo il delitto Matteotti, giunge a maturazione la sua storia di patriota antifascista militante e combattente. Il 22 maggio 1925 Sandro Pertini è arrestato, e il 3 giugno condannato a 8 mesi di detenzione (oltre che al pagamento di un'ammenda) per avere distribuito il libello: “Sotto il barbaro dominio fascista”, in cui rivendica la paternità di alcuni scritti antifascisti ed attribuisce la responsabilità alla monarchia per il perdurare del regime fascista, in particolare esprime sfiducia nell'operato del Senato del Regno, composto in maggioranza da filofascisti, chiamato a giudicare in Alta Corte di Giustizia l’ eventuale complicità del generale Emilio De Bono nel delitto Matteotti. In tale frangente si difende con tanto ardore e fermezza che anche i suoi avversari lo ascoltano in piedi, ammirati, in silenzio. Il 9 giugno 1925, alla vigilia dell'anniversario del delitto Matteotti, aiutato da alcuni operai, Pertini riesce ad appendere, sotto la lapide che alla fortezza di Savona ricordava la prigionia di Giuseppe Mazzini, una corona con un nastro rosso e la scritta: "gloria a Giacomo Matteotti".
Il suo studio legale viene devastato più volte e nel 1926 viene duramente malmenato e finisce in ospedale, però evita di denunciare il suo aggressore: un giovane operaio pagato dai fascisti. Nel dicembre dello stesso anno, viene condannato al confino per 5 anni, in seguito alla proclamazione delle leggi speciali anti-fasciste.
Per sfuggire alla condanna ripara a Milano ed entra in contatto con i più illustri militanti dell'antifascismo come Rosselli, Parri e Olivetti, avendo l'incarico di aiutare Turati a rifugiarsi in Francia. Ci riesce, ma Parigi non è ambiente consono per un combattente dedito all'azione come lui, si reca quindi a Nizza, dove vive con i più disparati mestieri e crea, con i soldi ereditati, una stazione radio, che però il governo italiano riesce a far chiudere, Pertini viene così condannato ma ad un solo mese, con la condizionale.
Rientra imperterrito clandestinamente in Italia e pianifica un attentato contro il Duce, ma viene riconosciuto ed arrestato il 14 aprile del 1929 dopo solo 20 giorni di libertà in Patria. Partecipa con distacco al processo ed alla fine non manca di gridare con disprezzo: “Abbasso il fascismo e viva il Socialismo!” E' condannato a 10 anni e 9 mesi di reclusione.
Si apre così la fase più dura della sua vita: ben 14 anni di privazione della libertà, con un carcere: Santo Stefano ed un numero di matricola: 6955. Per il compagno Sandro è finita la giovinezza ma inizia una maturità di lotta implacabile al fascismo che lo condurrà, assieme a tanti altri patrioti, fino alla vittoria.
Studia, e scrive, rivendicando sempre energicamente i suoi diritti. Si ammala nel 1930 e viene trasferito a Turi dove incontra Gramsci, e due anni dopo nel sanatorio giudiziario di Pianosa.
Sono veramente toccanti i ricordi di questi momenti, Pertini che implora, di nascosto al grande leader comunista, il direttore del carcere affinché, di notte, lo spioncino della sua cella venga chiuso senza sbatterlo per non interrompere il fragilissimo sonno di Gramsci, lo stesso che invita Pertini a dividere con lui il pranzo di Pasqua inviatogli dalla sua famiglia ma che, impossibilitato a ciò dalle autorità carcerarie, rifiuta poi di mangiarlo. Due uomini accomunati da una stessa passione politica e civile anche se ideologicamente distinti, ma mai opposti, mai conflittuali.
Rifiuta persino in modo duro e sdegnoso ma commovente, la domanda di grazia inoltrata dalla madre, dopo tre anni di condanna, arrivando quasi ad una rottura con lei.
Pertini ormai ha la coscienza, pienamente maturata nella lotta e nella sofferenza, di voler generare una Patria libera e democratica. E' già un padre della Patria repubblicana antifascista.
Riacquista la libertà solo nell'agosto del 1943, dopo aver vissuto nei confini di Ponza (1935), delle Tremiti (1939) prima e a Ventotene poi. Finalmente entra nella Resistenza. E' a Roma tra le barricate del 10 Settembre per organizzare, con Nenni e Saragat, la lotta armata per il Partito Socialista. La repressione infuria in quel periodo nella capitale, con tristissimi episodi ed eccidi: via Tasso, le fosse Ardeatine, la banda Koch, il rastrellamento del Quadraro. Pertini è ancora in prima linea e viene arrestato di nuovo ed interrogato dalle autorità tedesche, condotto ancora in carcere, pende su di lui la condanna a morte. Ma, con spirito indomabile, fugge di nuovo aiutato dalla Resistenza romana.
Deluso dalla svolta di Salerno e dalla mancata insurrezione a Roma, si trasferisce al nord dove organizza l'esercito di liberazione. Tra i partigiani incontra la sua futura moglie Carla Voltolina, che allora operava come staffetta partigiana.
E' tra i protagonisti dell'insurrezione di Firenze e in seguito ad un avventuroso viaggio tra le Alpi, finalmente, nell'aprile del 1945, si trova a Milano.
E qui vorrei lasciare allo stesso Pertini, il ricordo e la spiegazione di tale memorabile esperienza, con le parole tratte da un suo celebre discorso del 1970:
“Giustamente, dunque, quando si ricorda la Resistenza si parla di Secondo Risorgimento. Ma tra il Primo e il Secondo Risorgimento protagoniste sono minoranze della piccola e media borghesia, anche se figli del popolo partecipano alle ardite imprese di Garibaldi e di Pisacane. Nel Secondo Risorgimento protagonista è il popolo. Cioè guerra popolare fu la guerra di Liberazione. Vi parteciparono in massa operai e contadini, gli appartenenti alla classe lavoratrice che sotto il fascismo aveva visto i figli suoi migliori fieramente affrontare le condanne del tribunale speciale al grido della loro fede.
Non dimentichiamo, onorevoli colleghi, che su 5.619 processi svoltisi davanti al tribunale speciale 4.644 furono celebrati contro operai e contadini.
E la classe operaia partecipa agli scioperi sotto il fascismo e poi durante l'occupazione nazista, scioperi politici, non per rivendicazioni salariali, ma per combattere la dittatura e lo straniero e centinaia di questi scioperanti saranno, poi, inviati nei campi di sterminio in Germania. Ove molti di essi troveranno una morte atroce.
Saranno i contadini del Piemonte, di Romagna e dell'Emilia a battersi e ad assistere le formazioni partigiane. Senza questa assistenza offerta generosamente dai contadini, la guerra di Liberazione sarebbe stata molto più dura. La più nobile espressione di questa lotta e di questa generosità della classe contadina è la famiglia Cervi. E saranno sempre i figli del popolo a dar vita alle gloriose formazioni partigiane.
Onorevoli colleghi, senza questa tenace lotta della classe lavoratrice - lotta che inizia dagli anni '20 e termina il 25 aprile 1945 - non sarebbe stata possibile la Resistenza, senza la Resistenza la nostra patria sarebbe stata maggiormente umiliata dai vincitori e non avremmo avuto la Carta costituzionale e la Repubblica.
Protagonista è la classe lavoratrice che con la sua generosa partecipazione dà un contenuto popolare alla guerra di Liberazione.
Ed essa diviene, così, non per concessione altrui, ma per sua virtù soggetto della storia del nostro paese. Questo posto se l'è duramente conquistato e non intende esserne spodestata.”
Queste sono parole molto chiare e significative che fanno giustizia, una volta per tutte, di ogni falso”revisionismo”, di ogni atteggiamento inopinatamente mistificatorio su una guerra di Liberazione che ebbe valore e spessore popolare, fu inesorabilmente lotta di popolo, per una Patria del popolo.
Pertini è in piazza il 25 Aprile a celebrare la vittoria di quel “popolo” che egli sottolinea “capace delle più grandi cose quando lo anima il soffio della libertà e del socialismo”.
E la sua umanità e il suo senso di giustizia, pur avendo patito il dolore di lunghi anni di privazione della libertà, non cedono mai al rancore, nemmeno a Piazzale Loreto, lucida è la sua testimonianza:
"...I corpi non erano appesi. Stavano per terra e la folla ci sputava sopra, urlando. Mi feci riconoscere e mi arrabbiai: «Tenete indietro la folla!». Poi andai al CLN e dissi che era una cosa indegna: giustizia era stata fatta, dunque non si doveva fare scempio dei cadaveri. Mi dettero tutti ragione: Salvadori, Marazza, Arpesani, Sereni, Longo, Valiani, tutti. E si precipitarono a piazzale Loreto, con me, per porre fine allo scempio. Ma i corpi, nel frattempo, erano già stati appesi al distributore della benzina. Così ordinai che fossero rimossi e portati alla morgue. Io, il nemico, lo combatto quando è vivo e non quando è morto. Lo combatto quando è in piedi e non quando giace per terra".
Finisce quindi la fase del patriota impegnato nella lotta armata ed inizia quella del patriota dedito ad una lotta non meno dura e implacabile come giornalista, parlamentare, Presidente della Camera ed infine della Repubblica.
Dal 1945 al 1947 Pertini vive gli eventi con il suo consueto carattere passionale e anticonformista.
Esponente di spicco del partito socialista, ne diventa segretario nel 1945, viene eletto alla Costituente e poi, da deputato, sarà direttore dell' "Avanti!" negli anni 1945-1946.
Si schiera contro Saragat per evitare ogni eventuale rottura con i comunisti e lotta aspramente contro ogni forma di facile amnistia per i trascorsi crimini fascisti.
Ma evita anche di sostenere posizioni “fusioniste” verso il PCI, interrompendo per questo, dopo soli 4 mesi, la sua esperienza alla segreteria del partito socialista. A lui infatti preme l'unità del suo partito non meno della “unità organica della classe operaia” E non esiterà per questo, in una intervista rilasciata al quotidiano allora di sinistra Epoca a denunciare il fatto che nel Partito Comunista, a suo dire, “permane una mentalità autoritaria” e che piuttosto il Partito Socialista deve esercitare una missione di “mediatore tra il mondo occidentale ed orientale”, senza alcuna forma di subordinazione a Mosca, guardando in particolare al successo degli altri partiti socialisti in Europa.
E' l'unico socialista che va a palazzo Barberini in un disperato tentativo di scongiurare l'imminente scissione e senza accusare di tradimento gli scissionisti. Alla fine di aprile del 1947 inizia a dirigere “il lavoro nuovo di Genova” e continuerà a farlo per altri 21 anni, sviluppando già da allora i temi significativi dell'impegno socialista su questioni cruciali come la crisi del maggio-giugno del 1947, il piano Marshall, il trattato di pace, la costituzione del Cominform e la politica della Democrazia Cristiana.
Nel 1948 la sua passione politica torna a galvanizzarsi. Al XXVI congresso prende netta posizione contro l'eventualità di presentare liste comuni con i comunisti, viene sconfitto e non entra nella nuova direzione del partito, gettandosi nell'agone elettorale, e nonostante come membro della Costituente e la lunga prigionia sotto il fascismo gli garantiscano un seggio parlamentare di diritto. E' questo il periodo anche un po' ingenuo dell'esaltazione di alcune conquiste della Unione Sovietica. Ma anche quello dei limiti della socialdemocrazia europea succube della ferrea logica della guerra fredda.
Dal 1953 al 1957 l'impegno di Pertini è caratterizzato dal duro scontro parlamentare contro la legge truffa, ma quelli sono anche gli anni della rivolta di Berlino e dei fatti di Ungheria che vedono, ad onor del vero, Pertini elogiare anche Stalin, da vivo e da morto. Una cosa, ricordando tali eventi, va però ricordata con onestà e fermezza, se egli associa il nome del dittatore sovietico alle grandi realizzazioni del socialismo e soprattutto alla vittoria nel secondo conflitto mondiale, mai troviamo da parte sua parole di comprensione o approvazione, che altri in quel periodo pronunciano esplicitamente nel PCI e che poi rinnegheranno, per le purghe e per i terribili processi allora in corso nell'Europa centrale ed orientale.
Sono anni in cui l'impegno del patriota Pertini viene ribadito nella necessità, come lui stesso afferma, di “difendere la Patria contro chiunque tenti di aggredirla”.
Sui fatti di Ungheria è inizialmente cauto, per poi assumere nel gennaio del 1957 un atteggiamento decisamente critico verso le posizioni del partito comunista italiano a cui rimprovera di non avere tratto le doverose conclusioni dalle conseguenze del XX congresso del PCUS.
Dal 1958 al 1963 Pertini, come deputato, si afferma sempre di più sul piano nazionale, partecipa attivamente alla crisi Tambroni del 1960, scende in piazza con i dimostranti a Genova, sostenendo in sede giudiziaria gli imputati per quei fatti, senza mancare un solo giorno di udienza.
Pertini lotta ancora strenuamente in quegli anni per l'unità del partito e per la sua autonomia in un periodo cruciale caratterizzato dall'opera di straordinari personaggi come Kennedy e Giovanni XXIII, ai quali dedicherà pagine di grande simpatia ed apertura, oltre che di fiducia, nella nuova prospettiva di una più autentica e duratura pace mondiale.
Dal 1964 al 1969, attraverso l'esperienza del centrosinistra, cruciale per Pertini è il 1968, che lo vede eletto per la prima volta Presidente della Camera dei Deputati.
Alla partecipazione al secondo governo Moro, nel 1964, però egli nega il proprio voto, e spesso esprime disagio ed apprensione per la partecipazione dei socialisti più al sottogoverno che al governo del Paese, nel suo consueto stile schietto e battagliero.
In politica estera la sua condanna dell'invasione della Cecoslovacchia è netta, e il 24 Gennaio del 1969 fa celebrare alla Camera il sacrificio del giovane Jan Palach immolatosi per la libertà del suo popolo. Non mancano, in quegli anni cruciali di lotte e di crisi delle due superpotenze, le sue battaglie libertarie anche in favore dei popoli oppressi dalle dittature e dai regimi militari in Occidente, contro il regime di Franco in Spagna e quello dei colonnelli in Grecia, e più tardi anche contro la tirannia militare cilena.
Negli anni successivi il suo impegno non si esaurisce e resta una testimonianza indelebile di difesa strenua delle istituzioni democratiche sotto l'attacco del terrorismo che culmina con l'assassinio di Aldo Moro. La reazione democratica dello Stato coincide proprio con la sua elezione a Presidente della Repubblica l'8 luglio 1978, con voto quasi unanime del Parlamento (832 voti su 995 votanti).
Gli anni del Presidente della Repubblica Pertini, sono quanto di più bello abbia potuto produrre la storia della nostra pur fragile e giovane Repubblica Democratica. Una pagina indelebile di umanità, semplicità e fermezza e forza comunicativa, in un periodo terribile per gli attacchi della criminalità e del terrorismo e per i nuovi allarmanti segnali dell'acuirsi del confronto tra est e ovest, con nuove e micidiali armi missilistiche transcontinentali. Negli anni della sua presidenza, Pertini manifesta più volte con grande determinazione il suo impegno nella lotta per tutelare i diritti umani, si schiera contro l'apartheid in Sudafrica, contro le dittature sudamericane, così come contro l'intervento sovietico in Afghanistan.
Grande comunicatore, dimostra in tutte le occasioni ufficiali una straordinaria schiettezza e, al tempo stesso, un grande equilibrio, che conferiscono alle sue parole una dimensione universale. Nessun capo di stato o uomo politico italiano ha conosciuto all'estero una popolarità paragonabile a Sandro Pertini, ovunque, nelle sedi più disparate. Gli vengono conferite lauree honoris causa dalle più prestigiose università, diventa Accademico di Francia, e gli organi di informazione stranieri lo ricercano in continuazione. Con lui l'immagine dell'Italia nel mondo fa un tale salto di qualità che risulta tuttora irripetuto.
Sempre, nelle occasioni più tragiche e in quelle più festose, la testimonianza del Presidente più amato dagli italiani è momento di conforto, di speranza e di gioia, oltre che di fermezza inflessibile, nell'affrontare i nemici della democrazia, e di amorevole pazienza per propiziare il superamento dei passaggi più cruciali della nostra storia.
Costante è la sua presenza nei casi umani più tragici della nostra storia recente: e potremo citarne molti, tutti contraddistinti dallo stesso filo conduttore : severità verso i responsabili, umanità verso le vittime e commossa partecipazione nella tragedia. Ricordiamo tra i tanti: Vermentino, la tragedia dell'Irpinia, e ancora le innumerevoli morti di vittime innocenti ed eccellenti, in particolare il giorno della strage di Bologna, quando è l'unico ad essere applaudito dalla folla ed in lacrime dice: «non ho parole, siamo di fronte all'impresa più criminale che sia avvenuta in Italia».
Memorabili le sue parole contro la mafia da lui definita “la nefasta attività contro l'umanità”
Ogni volta, in ognuna di tali occasioni, la sua voce tuona letteralmente di indignazione, di furibonda e sincera ira verso i colpevoli e scende come una tenera carezza a consolare le tante famiglie delle vittime che se lo trovano sempre accanto, con affetto come uno di loro, uno di noi, un fratello, un padre, un nonno.
Il suo spirito di indomito lottatore, spesso acre, mordace e ironico trova modo di stemperarsi e di manifestarsi in un linguaggio pacato e persuasivo, sempre proteso alla tutela dei valori della Costituzione.
Alla sua morte, il 24 febbraio del 1990 all'età di 94 anni, gli italiani hanno pianto non solo la scomparsa di un loro caro amico e compagno, ma anche quella di un'epoca di grande passione ed impegno civile.
Citiamo adesso alcuni brani tratti da alcuni suoi celebri discorsi o interviste:
“Più volte ho fatto il bilancio della mia vita e tutte le volte sono arrivato a questa conclusione: se si avverasse per me il miracolo di Faust e mi fosse dato di ricominciare da capo, prenderei la stessa strada che presi ventenne nella mia Savona, e la percorrerei con la fede, la volontà e l'animo di allora, pur sapendo di doverne pagare il prezzo, lo stesso prezzo che ho pagato, così, giunto al termine della mia giornata, mi volgo a guardare la strada che ho percorso, e mi sembra di avere speso bene la mia vita.”
“Oggi la nuova resistenza in che cosa consiste. Ecco l'appello ai giovani: di difendere queste posizioni che noi abbiamo conquistato; di difendere la Repubblica e la democrazia. E cioè, oggi ci vuole due qualità a mio avviso cari amici: l'onestà e il coraggio. L'onestà... l'onestà... l'onestà. [...] E quindi l'appello che io faccio ai giovani è questo: di cercare di essere onesti, prima di tutto: la politica deve essere fatta con le mani pulite. Se c'è qualche scandalo. Se c'è qualcuno che da' scandalo; se c'è qualche uomo politico che approfitta della politica per fare i suoi sporchi interessi, deve essere denunciato!”
“Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza la giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista offrissero la realizzazione della riforma più radicale di carattere sociale, ma privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare. [...] Ma la libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero.”
“L'Italia, a mio avviso, deve essere nel mondo portatrice di pace: si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame. Il nostro popolo generoso si è sempre sentito fratello a tutti i popoli della terra. Questa è la strada, la strada della pace che noi dobbiamo seguire.”
Vorrei chiudere questo mio intervento commemorativo con l'esortazione a considerare l'esempio e la testimonianza del Patriota Pertini come faro di luce nel buio di una contingenza afflitta da perduranti problemi di ingiustizia sociale e di pericoli di guerra, ed in particolare, per questi giorni della nostra Patria, tuttora offesa dalla criminalità e dalla corruzione. Oggi gli arsenali non vengono ancora svuotati, ma sono piuttosto riempiti con armamenti e bombardieri sempre più sofisticati e costosi. E i granai, la sussistenza e in vari casi ormai la stessa sopravvivenza per la gente più povera del nostro Paese, fin anche la dimora stessa in cui ciascuno non può fare a meno di abitare, si impone che abbiano costi sempre crescenti, fino a diventare insopportabili, e che la stessa vita dedicata al lavoro non trovi, nel suo inevitabile crepuscolo, un compimento di pace e di riposo, ma si debba andare incontro ad una quiescenza, per altro sempre dilazionata nel tempo, nella marginalizzazione e nella povertà. La giustizia sociale è, oltre tutto, in vari casi ancora oggi vilmente asservita alla libertà ed ai privilegi di pochi che non sono mai disposti a rinunciarvi.
Questo dovrebbero considerarlo in particolar modo i giovani che non hanno attualmente, nella classe politica dirigente al potere, purtroppo, sufficienti esempi di grande onestà, saggezza e trasparenza morale e civile, come quello che seppe darci Sandro Pertini.
Vedete, cari giovani, certe virtù non piovono dal cielo, né basta insegnarle se poi non si è pronti a viverle e a testimoniarle con la propria vita, come fecero tanti altri giovani come voi, sulle montagne di questi luoghi bellissimi che essi hanno irrorato con il loro purissimo sangue.
Certe virtù possono solo sgorgare da un animo libero, che rifiuta sdegnosamente la “grazia accomodante” di servire il potere in cambio di vantaggi e clientele, o per affermarsi o tanto meno per sopravvivere, così come fece Sandro Pertini, quando rifiutò di chiedere la grazia e si incamminò pazientemente verso altri lunghi e dolorosi anni di carcere, senza sapere se, all'uscita di quel tunnel, ci sarebbe stata ancora una luce.
La luce, anche nel cammino più buio, bisogna conservarla dentro di noi, come diceva un altro grande martire dell'antifascismo, compagno ed amico fraterno di Sandro Pertini: Carlo Rosselli “La nostra missione è quella di tener duro quando tutti cedono; di alzare la fiaccola dell'ideale nella notte che circonda; di anticipare con l'intelligenza e l'azione l'immancabile futuro.”
Io sono venuto, per questo, qui, come un umile tedoforo, per consegnarvi questa sacra fiaccola affinché voi la facciate ardere e risplendere ed impediate che nel futuro si spenga.
E non si spegnerà se nelle piazze, nelle città, nei paesi, nelle fabbriche, nelle scuole, nei luoghi delle amministrazioni civili e politiche, la gente tornerà a lottare e non resterà chiusa in casa a farsi indottrinare da uno schermo televisivo, se anche i nuovi strumenti di comunicazione tecnologica diventeranno rete di lotta e di emancipazione civile, per la condivisione di un impegno comune di giustizia e di libertà.
Siamo oggi di fronte ad un momento particolarmente cruciale e difficile nella storia del nostro paese e rischiamo anche questa volta di subire un'altra dittatura non meno subdola e feroce: quella del mercato, della speculazione e del profitto.
Non dobbiamo rassegnarci a consegnare permanentemente il nostro destino nelle mani di “tecnici esperti” affinché lo rendano compatibile con gli obiettivi di un nuovo ed ancor più potente autoritarismo. Perché il destino di un Paese, specialmente in una democrazia che sia tale di fatto e non solo di nome, è del popolo. E' nostro e solo nostro!
Dobbiamo quindi riprendere nelle nostre mani la capacità di gestirlo, e di orientarlo, con grande coraggio e senso di responsabilità, anche se il mondo ci appare troppo piccolo per le nostre aspirazioni o troppo grande per la nostra capacità di reagire.
Ricordo con nostalgia e tenerezza la finale dei campionati del mondo vinti dall'Italia nel 1982, quando, assistendo al terzo gol, Pertini si alzò in piedi con il dito levato verso l'alto, e, scuotendolo forte, gridò al cancelliere Schmidt che era lì vicino a lui: “No, no, non ci riacchiappate più!” Erano compagni socialisti, prima ancora che responsabili dei governi di due fondamentali Paesi europei, e la partita, da noi vinta con un secco 3-1, si concluse poi con un abbraccio tra i due.
Ebbene, lo stesso Schmidt, ormai noventaduenne e su una sedia a rotelle, pochi giorni fa, non ha voluto mancare al recente appuntamento del congresso dell'SPD, levando alta la sua voce ed ammonendo che (cito un articolo uscito di recente su L'Unità):
- «Dobbiamo avere nel cuore un sentimento di compartecipazione verso i nostri amici e i nostri vicini», non solo per ragioni morali, ma anche perché, senza integrazione, tutti gli stati d`Europa, anche quelli forti, sarebbero oggetto di una marginalizzazione in un mondo in cui si va affermando la forza degli altri continenti e in cui la loro quota percentuale di ricchezza e potenza economica sarà sempre minore.
Egli ha ribadito con molta chiarezza che per sopravvivere, «a lungo termine sarà inevitabile un indebitamento comune di tutta l`Unione». E che la strada giusta è proprio nel rispetto di quest`obbligo alla solidarietà comune che gli stati dell`eurozona dovrebbero evidenziare, accordandosi presto su «stretti criteri di regolazione dei mercati finanziari». Poche migliaia di operatori sui mercati «hanno preso in ostaggio le responsabilità politiche in Europa: ora è arrivato proprio il tempo di ribellarsi». Per farlo sarebbe necessario puntare anche sugli strumenti dell`indebitamento comune. A questi strumenti, ha aggiunto l`ex cancelliere, polemizzando contro il no del governo Merkel agli eurobond, e a un ruolo più ampio della Bce, «noi tedeschi non dovremmo opporre un rifiuto egoistico». Tanto più che, anche se i governi «non fanno alcunché per renderne consapevoli i cittadini», l`interesse comune a una maggiore integrazione è destinato a crescere per ragioni oggettive. Lo afferma uno che ha contribuito a far crescere la casa europea, che «intanto è diventato vecchissimo» con le stesse idee e la stessa fiducia e che non condivide l`europessimismo diffuso. «Tutte le chiacchiere su una presunta crisi dell`euro sono superficialità» diffuse da certi politici e dai media. L`euro è più forte del dollaro e del marco negli ultimi tempi della sua esistenza. -
L'Italia e l'Europa hanno oggi bisogno più che mai del Socialismo di Sandro Pertini e di Helmut Schmidt, fondato su una vera e propria “rivoluzione morale e civile”, ma tale nobile intento non può essere affidato ad una istituzione monetaria, ad un partito di proporzioni minimali, e tanto meno ad una corrente di partito subordinata a logiche di potere e di accomodamento politico sostanzialmente diverse o distanti dagli obiettivi del Socialismo europeo e globale. L'Italia ha bisogno di un grande partito del Socialismo Democratico Europeo, come la SPD e come altri che tuttora, pur con severe autocritiche ed emendando errori passati, riescono validamente a contribuire al progresso dei popoli europei e della grande famiglia politica del PSE. Esso può nascere solo da una valida scomposizione e da un conseguente riassemblamento, su base socialista e democratica, di tutta la sinistra italiana, mediante la progressiva esautorazione dei vertici di partito ed un autentico rinnovamento che provenga dal basso, essenzialmente con il metodo validamente sperimentato delle primarie.
Perché il “socialismo” non è, come qualcuno inavvedutamente vorrebbe farci credere, “un errore antropologico”, una sorta di “deviazione umana” da scopi spiritualmente più nobili. No, cari, compagni, amici e compatrioti, il socialismo è tuttora, come ha testimoniato Sandro Pertini sempre, con inarrestabile fermezza nel corso della sua lunga vita, e come testimoniano ancora validamente decine di milioni di persone nel mondo, in particolare dal Sudamerica all'Europa, una delle migliori risposte alla tirannia di un mondo dominato esclusivamente dalla volontà di profitto, dall'egoismo, di pochi a danno della felicità, della vita e della sopravvivenza di molti. E' quella dittatura che, prima ancora di mandarvi in una prigione, o in un confino, ne costruisce una su misura per ogni coscienza, confinandovi solo in voi stessi e distruggendo sistematicamente, privatizzando o facendo scadere gli strumenti formativi di una società libera: le scuole, le università, la cultura e tutti i luoghi della sua creazione. Oggi, secondo l'implacabile totalitarismo del profitto, l'unica libertà che ci è concessa è quella di competere, come merci, nel mercato. Se, in tale orizzone liberticida, non siamo “merce di valore”, siamo destinati a non contare nulla, o se non contiamo più, a svendere tutto quello che abbiamo conquistato con duri sacrifici, per continuare a sopravvivere. E la conseguenza di tutto ciò produce giovani ridotti sul lastrico di una avvilente e perdurante precarietà, lavoratori cinquantenni considerati “rottamabili”, anziani impossibilitati a sopravvivere con pensioni non più adeguate al costo della vita, disabili privati dell'assegno di accompagnamento o del sostegno nelle scuole. I ragazzi della Resistenza sacrificarono la loro migliore gioventù perché si avesse uno Stato sociale migliore di quello che, nel suo aberrante razzismo e totalitarismo, il fascismo pur ebbe, non affrontarono il martirio per vederlo abrogare del tutto, non per stare addirittura peggio, per scardinare il sistema pensionistico e le tutele dei lavoratori! Se si è lottato duramente un tempo, a maggior ragione, dobbiamo lottare efficacemente e ancor di più oggi, con con tutti i mezzi che abbiamo, soprattutto quelli della comunicazione, della formazione e dell'impegno politico. Affinché la nostra libertà, la nostra dignità umana non venga più delegata o svenduta ai plutocrati (che per altro non esitano a dichiarare apertamente di riconoscersi nel duce del fascismo) i quali, nel loro monopolio, la crocifiggono prima sulle antenne sopra i tetti, e l'appiattiscono poi su quegli schermi che equivalgono alla parete di una caverna in cui si resta servi, destinati a confondere le ombre con la realtà, grigi ed inconsistenti, esattamente come le ombre. Ecco, io spero oggi di avere un poco contribuito a segnare il sentiero che porta fuori da quella caverna, anima e corpo, magari ancora in montagna, come nuovi e non meno agguerriti patrioti, alla luce di un sole che, da sempre, è quello del nostro migliore avvenire e..ne sono convinto, vinceremo!
Grazie
C.F.
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