Il riformismo in questo Primo Maggio
       
 
         Il riformismo in questo Primo Maggio
di Emanuele Macaluso
Scrivo    il mio primo editoriale da direttore del Riformista il primo  maggio,    una data che dà un senso anche alla nostra testata. E lo dà  non  solo  se  penso a un passato, in cui anch’io sono stato coinvolto  negli  anni  in  cui ho diretto la Cgil in Sicilia, ma pensando al  difficile  domani   delle nuove generazioni. E ho pensato molto anche al  primo maggio  del   1982 quando dedicai l’editoriale sull’Unità a Pio  La Torre ucciso  il  30  aprile. Oggi, la parola riformismo è  deprezzata, svalutata: tutti   si  definiscono riformisti, pure a  destra, e ogni legge o leggina   sfornata  dal Parlamento viene indicata  come “riforma”. Anche chi vuole    stravolgere la Costituzione e il  ruolo che essa assegna al lavoro  nella   società, parla di “riforme.  Nel centrosinistra manca una forza  con una   identità tale da ricordare  la storia di quel riformismo che  richiama il   socialismo democratico  italiano ed europeo, le sue  conquiste sociali,   politiche e civili.  Una forza che richiami anche le  grandi innovazioni   politico-culturali  che in Europa hanno compiuto  quei partiti, segnati  da  sconfitte e da  vittorie, i quali, però, sono  sempre la sola forza   alternativa alla  destra e alla conservazione. Il  “Riformista” non ha   partiti potentati  di riferimento, ma sappiamo che  la democrazia italiana   può superare  le sue difficoltà solo se sarà  sostenuta da grandi  partiti   alternativi, al governo o all’opposizione.
In   questo quadro,  con le  nostre modeste forze, vogliamo contribuire  alla  costruzione di  un grande  partito della sinistra, attraverso   un’informazione corretta e  puntuale,  il dialogo e una lotta politica   con le forze che oggi  confluiscono nel  centrosinistra.
In  questo  primo maggio il sindacato  è più debole  perché più diviso: le   confederazioni, come negli anni  cinquanta,  appaiono agganciate al   governo o all’opposizione. I problemi  nuovi e per  molti versi   drammatici che la globalizzazione pone al  mondo del lavoro  esigono   invece un sindacato unito. La vertenza Fiat ci  dice che è stato    sconfitto chi non ha firmato gli “accordi”, ma anche  chi ha firmato, a    pagare sono i lavoratori. Non solo, si rende così più  difficile un    assetto sociale, diverso dal passato, ma più giusto di  quel che vediamo   e  più condiviso. Tuttavia, va ricordato che nel  sindacato, nel   movimento  cooperativo, che si sta unificando, nelle  associazioni   imprenditoriali,  nel volontariato, si ritrovano milioni di  persone   motivate non solo dai  loro interessi più immediati, ma  dall’esigenza   di pesare nelle scelte  politiche. La democrazia italiana  ha retto   anche per la consistenza di  questo associazionismo, dato che  la   politica è in crisi e sempre meno  credibile. E per uscire da questa    crisi occorre ripartire proprio dai  problemi del paese che il complesso    di questo associazionismo pone, per  fare emergere con un forte   impegno  politico culturale un riformismo  moderno in grado di   promuovere  sviluppo e giustizia in una società in  cui le divaricazioni   sociali si  allargano anziché restringersi. Il  berlusconismo è  fallito  su questo  terreno. E si può uscire dal tunnel  non con la  sentenza di  un  tribunale, che può anche avere rilevanza  politica, ma  con una   alternativa che metta al centro il domani di questo  paese. Su  questo   terreno vogliamo dare il nostro contributo.
Cosa   sarà questo   giornale che forse ha una storia breve ma significativa   segnata dalla   sua nascita dall’opera di Antonio Polito, che seppe   affermarlo nel   difficile panorama editoriale, e dalle direzioni di  Paolo  Franchi e poi   ancora Polito e anche la crisi di cui tanto si è  parlato.  La breve   direzione di Stefano Cappellini ha dimostrato che  nei giovani  della   redazione ci sono energie che possono assicurare un  avvenire al    Riformista.
Con  loro, io e Marcello Del Bosco (che ha una grande    esperienza di  direzione nella carta stampata e nelle Radio e Tv)    lavoreremo per  fare di questo giornale una voce autonoma e possibilmente    ascoltata.
Ringrazio  tutti, sono molti, compagni, amici, colleghi    giornalisti,  parlamentari di schieramenti diversi che hanno voluto  fare   gli auguri  a me e al giornale.
Non  sono sciocco da non capire  che a   87 anni non si dovrebbe assumere la  direzione di un giornale. Ma  in   questa prima fase, come hanno deciso  i compagni e gli amici che  con me   condividono questa avventura,  forse era necessario, anche  perché la mia   storia politica e  giornalistica vuole indicare in  concreto un indirizzo   editoriale e un  metodo nei rapporti politici.
Ringrazio     particolarmente il Presidente Napolitano per i suoi auguri che sono     anche affettuosi. Qualche giornale ha scritto che, con me direttore,  il    Riformista sarà il “giornale del Presidente”. Sciocchezze di chi  non    conosce bene né me, né Napolitano. Il quale assolve il suo ruolo  con    autorevolezza e autonomia. Con minore autorevolezza ma con totale     autonomia dirigerò questo quotidiano. A ciascuno il suo.
Buon lavoro a tutti.
 
 
 
 
          
      
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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