di Angelo Tiraboschi
Esaminare i problemi contemporanei del socialismo democratico italiano ed europeo è un’impresa molto ambiziosa e complicata. Risparmio a me stesso e soprattutto a chi mi leggerà una specie di trattato lungo, noioso, sostanzialmente inconcludente e presuntuoso.
Come sappiamo la crisi del socialismo italiano (si potrebbe anche parlare di fallimento) ormai parte da lontano. Dopo le stagioni sterili e difficili degli “equilibri più avanzati” degli anni sessanta e dei primi anni settanta, la segreteria di Craxi aveva con grandi meriti promosso e realizzato un nuovo corso.
I primi segnali di una controtendenza si avvertono però già alla fine degli anni Ottanta.
All’inizio degli anni ‘90 la sconfitta socialista si compie. E’ così grande da escludere - come è avvenuto – repliche nel breve e nel medio periodo.
In sintesi si può dire che ad essa vi abbiano concorso molti fattori. Non ci sono solo i gravi errori altrui. Non c’è soltanto la miopia dei postcomunisti i quali credevano, con iattanza e pressapochismo, che, una volta ucciso il PSI, avrebbero avuto davanti a loro la strada spianata nel campo della sinistra italiana e nella automatica conquista del governo nazionale. Non c’è solo il ruolo arbitrario e anomalo, da colpo di stato, di alcune Procure che credo si fossero poste al servizio di convincenti “suggerimenti” interni ed esteri. Pagine di storia recente ancora tutta da scrivere.
Ci sono anche i nostri errori. Errori del gruppo dirigente del PSI del tempo. Abbiamo compiuto errori tattici e strategici. Quello - a mio giudizio - che ha pesato di più è non aver interrotto, a partire almeno dal ’91, l’alleanza con la DC.
Un’alleanza che si era consunta, che era arrivata al capolinea. Quando c’è una crisi di sistema così evidente non serve rispondere inseguendo e difendendo posizioni di potere. Ci vuole una risposta politica netta, di vera discontinuità.
Avremmo aperto una nuova fase politica e imbrigliato, sia pure nell’incertezza circa una crisi di governabilità, i giochi politici altrui, specie del PDS.
Inoltre, il PSI, si era troppo appesantito. Troppi opportunisti, troppo arrivisti erano saliti sul carro socialista al punto da renderlo “invadente”, tracotante, con crescenti riflessi negativi interni ed esterni.
Faccio queste osservazioni soprattutto per introdurre una cosa che credo fondamentale.
La illustro prendendo a prestito un’osservazione dello storico francese René Grousset:”nessuna civiltà viene distrutta senza essersi prima rovinata da sola, nessun impero viene conquistato dall’esterno, senza che precedentemente fosse già suicida”. Lo so è una asserzione molto forte.
Forse troppo. Ma c’è del vero. Da qui si apre un capitolo che ci porta più direttamente ai giorni nostri.
Quello che (oggi - ammetto – è più facile dirlo) non abbiamo compiuto è uno sforzo per capire fino in fondo le ragioni del nostro tracollo.
C’è chi tra di noi si è indignato; c’è chi è approdato su altre sponde; chi ha versato lacrime; chi ha legittimamente (parlo specie della base del partito) maturato la convinzione di aver subito un grave torto; c’è chi (io sono tra questi) ha cercato scorciatoie e soluzioni improvvisate quanto politicamente discutibili; c’è - ai nostri giorni – chi pensa che la Lega di Salvini sia un partito di sinistra (sic). Sia come sia bisognava piuttosto capire meglio. Diceva Baruch Spinoza: “nec indignari, sed intelligere”.
Ma, a parte le citazioni, lo dico perché bisogna sempre guardarsi dalle nostalgie e dai nostalgici. E’ giusto e perfino entusiasmante ricordare una storia, valorizzarla, difenderla contro i denigratori che non hanno alcun titolo o merito per dare lezioni. Senza però smarrire un adeguato spirito critico. Dobbiamo farlo senza pensare che ci si possa fermare alla constatazione di quanto eravamo bravi.
Sì, il gruppo dirigente del PSI (penso anche ai tanti ottimi amministratori locali) aveva qualità, competenze, passione. Penso allo straordinario uomo di governo che è stato Craxi. E Martelli alla Giustizia?
A confronto coll’oggi è troppo facile avvertirne le differenze. Sì, nel complesso l’Italia ha perso molta vivacità e qualità politica.
Tutto sommato è stata la nostra, la mia una “bella stagione”, ma non con queste idee (sentimenti?) si costruisce il nuovo.
Tutto è ancora più difficile per le seguenti ragioni: chi, anche con qualche merito, ha ereditato la sigla PSI ha pensato a sopravvivere, soprattutto si è “coccolato” dentro ad una mediocre posizione di rendita personale e di gruppo.
Nessuna vera apertura. Anzi, è stato sagomato un minuscolo partito che sembra avere l’orticaria e che espelle ogni dialettica.
Un gruppo dirigente che per lo più chiude le porte anziché spalancarle. Con ristrettezze mentali conservative non si poteva né si può andare lontano.
Non è poco. Oltre questo, si deve porre all’ordine del giorno la crisi profonda del socialismo europeo.
Perché la crisi? Tante possono essere le spiegazioni avvalorate dagli enormi mutamenti di scenari, di modelli informativi, di modi di vivere e di pensare, di cambiamenti di enorme rilievo in tutti i campi.
Negli anni ’70 e negli anni seguenti i socialisti europei erano una primavera, erano portatori di idee innovative. Erano sostenuti da leader di enorme spessore. Erano il cambiamento rispetto alla vecchia Europa conservatrice e, in parte, massimalista e filo sovietica.
C’è stato un progressivo e inesorabile invecchiamento. Non c’è sinergia, non ci sono grandi idee per una nuova Europa dei cittadini.
Ciascun partito si chiude nel proprio paese nell’intento di “lucrare” qualche rimanente fetta di potere, con l’idea di contenere le perdite. In Spagna c’è una rinascita credo propiziata dallo slancio di un giovane leader e, nel contempo, dalla crisi profonda del centrismo conservatore.
Nel resto d’Europa c’è il silenzio a cui si aggiunge una tendenza a burocratizzarsi e a gettare lo sguardo sulle cose di tutti i giorni. Manca una strategia comune, né la si ricerca. Non si avverte che la prima grande urgenza è di tornare, su basi nuove, a caricare di significati e di contenuti il socialismo europeo. Il socialismo o ha una dimensione europea o non ha sbocchi. Occorre costruire un progetto. Che cosa si aspetta a lanciare una grande proposta europea di “cooperazione internazionale” che riguardi l’Africa? Ai sovranisti, ai nazionalisti pericolosi e dannosi, si può e si deve rispondere con una visione strategica ampia e concreta. Fermare e comunque selezionare gli immigrati è una impresa ardua, tuttavia bisogna provarci. Sono d’accordo con Claudio Martelli quando afferma che la sinistra italiana ha sottovalutato il drammatico ed enorme problema dell’immigrazione. Il problema c’è. Promuoviamo un’azione per convincere l’Europa ad investire in modo mirato ed organico in Africa.
Difficile? Certo. Soprattutto sarebbe difficile attuare in concreto quanto si dispone di fare.
Posso capire le obiezioni, ma negli anni ’80, sia pure con alcune deviazioni e alcuni limiti, la politica della cooperazione internazionale aveva il suo peso politico e sociale. L’Italia era più influente, più considerata, più in prima linea nel comprendere le terribili ragioni del sottosviluppo, della miseria, della fame.
Il modello di allora non serve, ma il tema di un corposo progetto di investimenti in Africa è ineludibile. Sarebbe anche un modo per assegnare una distinzione tra politiche rapinatrici di alcune grandi potenze ed un ….. che mette al centro correttamente i problemi dello sviluppo e della giustizia per i popoli emarginati.
Mentre l’Italia invecchia di contro c’è un problema demografico mondiale.
Sia pure non in sintonia con la Chiesa di Roma, il socialismo europeo dovrebbe proporre un Fondo per l’educazione alla procreazione responsabile nel quadro di un controllo di tipo formativo e culturale nel continente africano.
L’esplosione demografica che è già oggi una realtà e sarà ancora più grave nei prossimi anni, esporrà ancora di più l’Africa e l’intera umanità a gravissimi problemi di sostenibilità e di convivenza.
Si è già in grave ritardo.
Penso, al tempo stesso, che non vi siano disponibilità a comprendere quanto sia devastante la situazione del prossimo futuro.
Se il Fondo sulla demografia dell’ONU è stato sostanzialmente fatto fallire non significa che l’Europa democratica debba rinunciare a realizzare politiche attive in questo campo. L’ignoranza si sposa con la miseria e con forme sempre più evidenti di disumanità, di discriminazione nei riguardi dei più deboli, dei bambini, delle donne.
Ugualmente va lanciato un programma del socialismo europeo per l’ambiente. Anche qui ci si può distinguere dalle insensibilità esistenti e, soprattutto, dagli interessi economici che sono la causa prima dell’uso forzato delle risorse e della devastazione ambientale.
Occorre nel contempo pensare alle aree emarginate del nostro continente, a cominciare dalla “questione meridionale” italiana. E’ questione decisiva. Le differenze economiche e sociali si sono allargate e aggravate. Vi sono due possibili e necessarie risposte: creare posti di lavoro, utilizzando anche risorse pubbliche ed investire seriamente sulla scuola e su efficaci centri di formazione professionale. E’ il minimo. E’ il minimo anche per combattere le economie illegali e la criminalità.
E’ il minimo per una politica riformista.
Ecco alcuni temi su cui far rifiorire una moderna idea socialista.
Nella storia del socialismo con le sue battaglie sono state aperte nuove prospettive di giustizia e di progresso. Sono stati raggiunti importanti traguardi. Ora, bisogna stare al passo con i tempi, aggiornarsi, studiare e comprendere quello che serve, quello che è indispensabile per preparare un futuro migliore.
Infine, ci sono i gruppi dirigenti. Ci sono le rappresentanze. Senza leader di qualità nella società liquida di oggi non si guadagna strada.
La visibilità può essere rimessa in moto se c’è un leader che abbia la personalità per farsi valere e introdursi nei complicati ed interessati meccanismi dell’informazione.
Poi, ovviamente, bisogna aprire le porte, riprendere una mobilitazione tematica che si può fare se ne si ha la voglia. E’ scomoda, è laboriosa ma serve per ricominciare. Può darsi che sia poco ma è utile.
Per esempio, nelle università qualche idea di futuro se c’è, si potrebbe diffondere tra gli studenti. E, soprattutto si dovrebbe ascoltare.
Per non parlare del mondo del lavoro che non è più quello di una volta a seguito dei grandi capovolgimenti sistemici intervenuti, ma che è pur sempre una realtà che va riscoperta, seguita, anche allo scopo di individuare e avanzare proposte con l’obiettivo di rendere più garantito, più remunerato, più tutelato il lavoro quale che sia la funzione e la specializzazione dei singoli addetti.
C’è da chiedersi se una parte di quanti ancora si riconoscono nel socialismo democratico avvertano il vero significato della variegata e movimentata realtà dell’Italia di oggi. C’è da interrogarsi sull’utilità di limitare le energie proponendo vecchi schemi fuori del nostro tempo. Affiora in quello che a volte si legge nel faticoso dibattito sul socialismo odierno, una realtà percepita che appare non sulla lunghezza d’onda della complessa situazione. Una Nazione che parla a se stessa più che alle nuove generazioni.
I sogni postdatati, le chimere non sono proibiti senza però mai perdere di vista che là fuori c’è un mondo che si muove a cui bisogna offrire soluzioni e idee che, soprattutto, non ha memoria del passato.
Un partito che s’ingegna a ricercare qualche piccolo posto di potere non si dispone a conoscere, non vuole conoscere, non pensa , non può attrarre, salvo qualche viva ma esigua eccezione del tutto personale e parziale.
Insomma, ci vuole un’altra mentalità, ci vogliono larghe vedute, ci vuole coraggio, ci vuole un dibattito aggiornato e informato. Forse non sarebbero sufficienti. Sono però le precondizioni per riaprire spiragli, per riprendere, senza alcuna illusione, un difficilissimo cammino di speranza e di rinascita.
Ci si può sempre soffermare su di una verità: senza parlare di un’idea di progresso e di giustizia, di razionale ed equo sviluppo cosa resta nel futuro degli uomini ?